ilNapolista

Intensità e nemmeno uno sputo in campo. Davvero dite che il calcio femminile è noioso?

L’Italia perde 1-0 contro il Brasile. Rigore di Marta l’incazzata col rossetto. Ma le italiane ti fanno venire voglia di mettere le scarpette e giocare. Prime nel girone

Intensità e nemmeno uno sputo in campo. Davvero dite che il calcio femminile è noioso?

Battute 1-0 dal Brasile di Marta la bambola assassina dal rossetto marrone perfettamente steso sulle labbra e lo sguardo incazzato.

Potrebbe essere questo il sunto della partita, a voler rimanere fermi al risultato. Venuto, in realtà, da un rigore fin troppo generoso, concesso per uno spalla a spalla da far gridare all’ingiustizia chiunque, a prescindere dal sesso di chi è in campo.

Ma finiamo prime del girone (grazie anche ai gol segnati sugli altri campi), tra esultanze, abbracci e sorrisi. Niente di più che un allenamento alla fine, dispendioso certo ma non determinante.

Loro, le nostre ragazze, appassionate, altruiste, belle, alle quali bastava un pareggio e che invece hanno giocato come se dovessero segnare quattro gol di scarto per passare.

Nel primo tempo hanno combattuto come se non ci fosse un domani per poi calare di forma fisica e intensità nella ripresa, addormentando un po’ il ritmo della partita.

Ma che bella, questa Italia fatta di femmine.

La Girelli dallo sguardo dolcissimo che sotto porta non perdona (bellissimo il gol che le hanno annullato per fuorigioco), la Linati che canta l’inno come se non esistesse nient’altro al mondo, l’irruenta Bartoli che quasi manda a quel paese l’arbitro, la Guagni e i suoi cross al bacio, la piccola (solo di stazza) Manuela Giugliano, con il suo sguardo furbetto. Una a cui la palla non la togli nemmeno se la ammazzi.

E gli occhi chiari, quasi abbaglianti, sicuramente ipnotici del portiere del Brasile, Barbara.

Ma come si fa a definire noioso il calcio femminile? Non si butta via niente, nemmeno un’azione. Queste ragazze fanno venire voglia di prendere il telefono e chiamare le amiche: “Ché, sei libera domani, per una partitella?”. Non importa se hai vent’anni, trenta, quaranta o se sei alla soglia dei cinquanta.

Battono gli angoli come nessun uomo mai. Niente schemi inutili e inconcludenti. Qua si mira, si tira e la palla arriva dritta dove deve, dove era progettato che arrivasse.

L’ordine e la precisione sono quello che sorprende. Nei rilanci, nei cross, nel posizionare la palla all’altezza della bandierina del calcio d’angolo. La concentrazione. Pura femminilità in campo. La consapevolezza che c’è un’occasione soltanto e che è bene non sprecarla, che si può e si deve, sempre, essere concrete, affrontare – è proprio il caso di dire – le questioni di petto.

Non cede di una virgola Laura Giuliani, se non su quel maledetto rigore. Ad un certo punto, dopo averne parata una bellissima, si lascia andare a un “li mortacci tua”. E, nonostante questo, ha una classe infinita.

L’azione più bella quella al 39’, quando le ragazze mondiali si fanno il campo da un lato all’altro e finiscono con la Bonansea che si coordina alla perfezione ma si fa respingere da Barbara dagli occhi chiari.

Marta che ha un rossetto perfettamente sistemato sulle labbra. Eccessiva, dallo sguardo alla veemenza. Perché non è che un’ambasciatrice Onu per la parità di genere debba essere sempre così incazzata. Ludmila, velocissima, una spina nel fianco.

Se le guardi senza farne una questione di genere, queste ragazze, quasi stenti a ricordarti che sono femmine. Hanno dei tocchi di palla a volte esagerati. Solo la stazza ti fa ricordare chi sono. Che grinta, che voglia, quanta personalità ci mettono. Se pure non è calcio, come tanti dicono, è comunque qualcosa di bellissimo da guardare.

Lo smalto, il rossetto, i capelli legati che dopo novanta minuti sono ancora fermi negli elastici che li trattengono. I calzettoni come autoreggenti, che ci ricordano Callejon.

Il calcio femminile è come una prateria incontaminata. Niente razzismo, niente maleducazione, nessuna simulazione, come se nel regolamento le balle che ti fanno far finta di cadere come se stessi morendo non fossero proprio contemplate. Nessuno sputo in campo (che meraviglia!).

Gioia, entusiasmo, energia, vita. Un’oasi di pace nel mondo. Nessuna delle nostre, nel post partita, che mostri un sia pur flebile capriccio per un rigore troppo generoso.

Un calcio primordiale, in cui, finita la partita, come era un tempo anche per i colleghi maschi, ci si toglie la divisa con le scarpette e si va a lavorare. Un lavoro che non è quello del calcio, ma magari in un panificio, in un ospedale, in un’aula con dei bambini a cui insegnare.

Un ritorno alle origini che mai più di ora era necessario, bellissimo da vedere.

Un’unica pecca: questa ghettizzazione sfrenata. Un ambiente quasi tutto al femminile. A partire dalla telecronaca, tutta appannaggio di donne. Tra queste, la telecronista con l’accento romanesco. Ecco, l’unica nota stonata. Non si poteva sentire.

ilnapolista © riproduzione riservata