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Il tifoso contestatore, spesso non pagante, pretende ma ci mette poco di suo

La presenza allo stadio è sempre più ridotta e invece i tifosi avrebbero potuto partecipare più attivamente ai destini del Napoli

Il tifoso contestatore, spesso non pagante, pretende ma ci mette poco di suo

Finalmente, come sospirano in molti, la stagione calcistica del Napoli non ha più nulla da dire. È finita con tre giornate di anticipo.

Resta nell’aria la severità con cui ormai troppi napoletani giudicano quella che un tempo era definita la loro “squadra del cuore”.

Amarezze premeditate per una parte di tifoseria che, sin dalla scorsa estate, aveva già manifestato tutto il suo disamore per una squadra che aveva perso forse l’unico motivo per cui in tanti affermavano di seguirla. Il “comandante” Sarri era riuscito a farsi amare dal pubblico, non solo per il suo gioco accattivante, ma soprattutto per essersi dichiarato figlio di questa città. Ma anche per essere stato spesso il primo oppositore interno della società per la quale lavorava e con la quale stava portando il Napoli sempre più vicino al sogno scudetto, stabilendo record su record.

Questa squadra, orfana di Sarri, era stata accreditata “coram populo” di zero possibilità. Inutile tornare sui giudizi degli esperti pallonari, sulle griglie estive e sullo sconcerto di Sconcerti.

Questa squadra, anche agli occhi di molti tifosi, già ad agosto era avviata verso un fallimento totale, nonostante l’ingaggio di un allenatore ambito da tante squadre europee, e che prima di accettare Napoli, aveva detto no al Milan e alla Nazionale. Il mancato arrivo di Cavani, un calciomercato incomprensibile da parte di chi, molto pratico di social network ma poco esperto di calcio nazionale ed internazionale, si aspettava i grandi nomi per rispondere all’acquisto di Cristiano Ronaldo da parte dell’odiata Juventus, ha fatto il resto.

La parola fallimento, ancora una volta in maniera premeditata, e quasi con soddisfazione, fece subito capolino pochi giorni dopo la fine del ritiro estivo a valle della sconfitta per 0-5 nell’amichevole contro il Liverpool. Poi ancora dopo lo 0-3 in casa della Sampdoria, e poi ad ogni occasione in cui il Napoli non portava a casa i 3 punti. Uno stillicidio usurante esploso poi nelle contestazioni, anch’esse premeditate, più recenti.

I tifosi non sono soddisfatti, e basta dare un’occhiata ai social network o ascoltare le trasmissioni delle radio locali per averne la prova.

Non lo sono per un secondo posto che conferma invece il Napoli ai suoi (alti) livelli recenti, non lo sono per l’uscita ai quarti di Europa League contro la squadra forse più forte del lotto, non lo sono perché (così dicono in tanti) quest’anno si sono annoiati.

Purtroppo il chiacchiericcio dei social network ci sta profondamente cambiando. Il tifoso è sempre più convinto di capirne più di Ancelotti, più di Giuntoli, più di De Laurentiis. I consigli (non richiesti) si sprecano. Dal modulo più adatto alla squadra fino ai giocatori da schierare in campo. Dai calciatori da mandare via fino all’ammontare degli ingaggi di quelli che, secondo il tribunale social, devono restare. Fino a stabilire con precisione il budget che il presidente deve mettere a disposizione per la prossima campagna acquisti.

Perché noi “meritiamo di più”. Con quale motivazione non è ben chiaro però. Prima di tutto perché la storia dice l’esatto contrario. Ovvero che una continuità di risultati pari a quella attuale non si era mai vista dalla nostre parti, se non negli anni di Maradona..

Ma anche perché la partecipazione degli stessi tifosi che poi “pretendono” è sempre meno assidua. E l’amore per la squadra sempre più ad intermittenza.

Tanto per rispolverare dei vecchi ricordi, dal 1984 al 1990 i tifosi del Napoli si autotassarono attraverso la famigerata quota ATCN, una sorta di azionariato popolare che però non aveva alcun valore legale. Fu un escamotage che consentì a Ferlaino di pagare Maradona e gli altri campioni che portarono il Napoli nella sua età dell’oro.

La gente di Napoli non esitò un attimo a pagare un cospicuo sovraprezzo sul proprio abbonamento, un po’ perché c’era Maradona, ma anche perché sapeva che senza quel prezioso abbonamento sarebbe stato quasi impossibile vedere il Napoli al San Paolo.

Le dirette TV non c’erano, i biglietti finivano quasi tutti nelle mani dei bagarini, e soprattutto c’era un amore realmente viscerale per gli azzurri. Perché se è vero che dal 1984 al 1989 il Napoli (grazie a Maradona e ai primi titoli conquistati) vendette mediamente circa 60000 abbonamenti a stagione su una media di 71000 spettatori a partita, ci si deve chiedere come fosse stato possibile per l’anonimo Napoli di Santin (e poi di Marchesi) del 1983-84 (12° in Serie A) raggiungere la media di 55000 spettatori a partita (tutti i dati sono sul sito stadia postcards).

Il modo di vivere il calcio è cambiato, ma è giusto domandarsi quanto effettivamente i tifosi del Napoli stiano mettendo nel piatto della bilancia in questi ultimi anni.

Il San Paolo ha toccato nel 2018-19 il punto più basso della propria storia in termini di spettatori. 29200 presenze medie, pari al 48.5% della sua capienza massima. Ma non è che negli anni scorsi le cose fossero andate meglio. Persino durante la scorsa stagione, con il Napoli a lungo in testa e in lotta fino alla fine per il titolo, la capienza superò di poco il 70% dei posti disponibili.

Che la vendita dei biglietti sia ormai una quota trascurabile nei bilanci di una società di calcio è risaputo. Ma quanto avrebbero significato in termini economici  (nonostante i prezzi bassi praticati dal Napoli rispetto ad altre società) quei quindici-ventimila spettatori in più (almeno) ad ogni partita? Facendo i conti della serva si sarebbe trattato di almeno 10-12 milioni di euro che il Napoli avrebbe potuto reinvestire. E si parla solo di questa stagione.

È anche vero che queste cifre spostano poco in termini di capacità economiche. Avrebbero però rappresentato la partecipazione attiva di molti più tifosi ai destini del Napoli.

Invece il tifoso contestatore, ma spesso non pagante, pretende ma ci mette poco di suo. Sogna i grandi investimenti ma si fa il pezzotto, la maglia e la sciarpa le compra (se le compra) dalla bancarella abusiva.

E allo stesso tempo vuole molto di più. Per questi motivi si ritiene insoddisfatto del secondo posto.

Che visti certi scenari è una specie di miracolo.

Ma siamo certi di meritare di più?

O è forse vero il contrario?

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