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Chelsea: le radici di Abramocivh alla base della scelta di Boston

Lo scrive la Cnn: le radici ebree e la campagna del club erano motivi più importanti della fatica della trasferta e fanno passare in secondo piano le polemiche

Chelsea: le radici di Abramocivh alla base della scelta di Boston

Abramovich non ha scelto Boston a caso per l’amichevole del Chelsea di mercoledì scorso. E l’infortunio di Loftus-Cheek, a leggere la Cnn, passa del tutto in secondo piano, rispetto alle polemiche scatenate prima e dopo la partita.

L’emittente americana spiega con dovizia di particolari il motivo per cui il proprietario del Chelsea ha scelto proprio quell’amichevole da giocare, anche se così lontano e spiega anche il motivo per cui insieme alla squadra ha voluto esser a Boston anche lui. La partita con il New England Revolution aveva uno scopo benefico. È servita a raccogliere 4 milioni di dollari per le organizzazioni che combattono l’antisemitismo e le discriminazioni nel mondo.

Abramovich, ebreo, è particolarmente sensibile all’argomento e sicuramente anche un giocatore infortunato è sacrificabile sull’altare della causa. È tanto sensibile da aver donato per quella causa, insieme al proprietario della squadra avversaria, Robert Kraft, 1 milione di dollari.

La partita è stata organizzata dopo l’attentato dello scorso ottobre alla Sinagoga Tree of Life di Pittsburg. In quell’occasione morirono 11 persone. Tra le 15 organizzazioni che riceveranno i proventi dell’amichevole di mercoledì c’è anche la sinagoga.

Alla KNN Kraft ha elogiato la scelta del collega. Ha detto che entrambi erano rimasti molto colpiti dalla tragedia di Pittsburgh e che volevano fare qualcosa: “E’ stato davvero magnanimo da parte sua (si riferisce ad Abramovich) portare qui la sua squadra, specialmente quando stanno ancora gareggiando per l’Europa League”. Un volo di sette ore non è cosa da poco ma anche questo, come un possibile infortunio, di fronte ad una causa tanto sentita può passare in secondo piano.

Kraft elogia anche il fatto che il Chelsea, da sempre impegnato in cause del genere, non sbandieri la cosa ai quattro venti: “Molti parlano, il Chelsea fa e resta in disparte”.La campagna antisemita del Chelsea (“Say No to Anti-Semitism”) ha ottenuto consensi in tutto il mondo del calcio. L’idea è nata nel 2017 perché Abramovich, preoccupato per l’aumento degli incidenti antisemiti in tutto il mondo, ha chiesto al Chelsea di tentare di affrontare la questione. Da quando la campagna è stata lanciata, nel gennaio 2018, il Chelsea ha portato sostenitori ad Auschwitz per istruirli sugli orrori dell’Olocausto, ha invitato i sopravvissuti a parlare alla squadra e ha contribuito a raccogliere fondi per una nuova mostra sull’olocausto all’Imperial War Museum di Londra. “L’olocausto è stato un crimine senza precedenti nella storia. Non dobbiamo mai dimenticare tali atrocità e dobbiamo fare tutto il possibile per evitare che ciò accada di nuovo. Eppure, in tutto il mondo stiamo assistendo a un aumento dei casi di antisemitismo”. Sono parole di Abramovich.

L’amichevole di mercoledì era solo un ulteriore passo verso una missione di educazione, consapevolezza e presa di coscienza che ben venga sia portata avanti dal proprietario di una squadra di calcio. Ideali da lodare. Peccato che non tutti lo abbiano capito, alzando un polverone assurdo. Le cose vanno sempre guardate da punti di vista diversi. Quello del proprietario del Chelsea dovrebbe essere accolto universalmente.

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