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Strage del bus di Avellino: assolto Castellucci l’ad di Autostrade

Il pm aveva chiesto per lui dieci anni. Sgomento e rabbia in aula. Furono 40 i morti. Condannati alcuni dirigenti di Autostrade, 12 anni al titolare dell’agenzia di viaggi

Strage del bus di Avellino: assolto Castellucci l’ad di Autostrade

Castellucci casca in piedi. È arrivata ieri la sentenza per la strage del viadotto Aqualonga di Monteforte Irpino (Avellino) che il 28 luglio 2013 provocò 40 morti. Assolto l’ad di Autostrade, per il quale i pm avevano chiesto una condanna a dieci anni. Dei quindici indagati ne sono stati condannati solo otto, scatenando la rabbia dei parenti delle vittime.

Quel maledetto giorno di luglio la comitiva di pellegrini tornava da Pietrelcina a Pozzuoli nel bus guidato da Ciro Lametta. Sul viadotto Acqualonga dell’A16 Napoli-Canosa, dopo aver abbattuto le barriere di protezione, il bus precipitò nel vuoto provocando 40 vittime: la più giovane aveva 16 anni. Si salvarono solo in 10, tra cui 3 bambini. Dalle perizie emerse subito che il bus era deteriorato e che girava con una revisione falsa e che la barriera era danneggiata tanto da non riuscire a resistere all’urto del mezzo.

Quello di Acqualonga, scrive Il Fatto, “è il più grave incidente stradale della storia del Paese”, e “per radunare un numero sufficiente di bare dovettero correre in soccorso le imprese funebri di mezza Campania”.

I condannati e gli assolti

L’assoluzione di Castellucci arriva come un fulmine a ciel sereno. Il procuratore Rosario Cantelmo lascia l’aula senza commentare il verdetto: ora la Procura di Avellino valuta di presentare ricorso.

Otto condanne in primo grado e sette assoluzioni. La pena più dura (12 anni) è inflitta a Gennaro Lametta, titolare dell’agenzia di viaggi che noleggiò il bus e fratello dell’autista, morto nel disastro.

Otto anni di reclusione alla funzionaria della motorizzazione Civile Antonietta Ceriola. Per quanto riguarda Autostrade, i dirigenti Nicola Spadavecchia e Gianluca De Franceschi sono stati condannati a 6 anni; Paolo Berti (indagato anche per il crollo del Ponte Morandi, ndr) e Giovanni Marrone a 5 anni e 6 mesi; Michele Renzi e Bruno Gerardi a 5 anni ciascuno.

Assolti, insieme a Castellucci, l’ex condirettore generale di Autostrade Riccardo Mollo, il dipendente della Motorizzazione civile Vittorio Saulino, i coordinatori del centro esercizio addetti alla viabilità Michele Maietta e Antonio Sorrentino e i dirigenti di Autostrade Massimo Fornaci e Marco Perna.

La responsabilità di Autostrade si ferma a Cassino

La responsabilità di Autostrade nel disastro di Acqualonga, scrive Dario Del Porto su Repubblica, “si è fermata a Cassino”. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza, si può desumere che il giudice Luigi Buono “ha ritenuto provata la responsabilità, a titolo di colpa, delle strutture tecniche della direzione di tronco che, dalla città del Frusinate, estende la sua competenza anche sul tratto dove è avvenuto l’incidente, ma non dei vertici della società”.

Del Porto ricostruisce la parte processuale. Alla direzione centrale di Autostrade era stata contestata la mancata riqualificazione delle barriere, mentre la direzione del tronco doveva rispondere della loro manutenzione. Il procuratore di Avellino Rosario Cantelmo aveva chiesto per Castellucci la condanna a 10 anni di reclusione. L’accusa aveva preso in esame il verbale del consiglio di amministrazione della società che, il 18 dicembre 2008, aveva stanziato le risorse per intervenire sulle barriere.

Nelle loro arringhe, i legali di Castellucci, Paola Severino e Giorgio Perroni, hanno sostenuto che al cda spettava mettere i finanziamenti a disposizione, ma non di entrare nel merito del programma di interventi che era invece di competenza della struttura tecnica dell’azienda.

Secondo la Procura, invece, la scelta di non intervenire nel merito degli interventi sulle barriere va considerata “espressione di una precisa linea aziendale”, dettata “da ragioni economiche e di profitto”.

Una volta individuati i fondi, ha replicato la difesa, toccava agli esperti, alla luce delle loro competenze, e non al cda, valutare quali barriere sostituire.

La sentenza lascia immaginare che il giudice abbia individuato nella manutenzione dei new jersey la criticità che, accanto alle pessime condizioni del veicolo, ha provocato la tragedia. Un passaggio che ferma le responsabilità negli uffici di Cassino, alla direzione di tronco, senza spingersi fino a Roma.

La rabbia dei familiari

La sentenza viene letta dal giudice e tutti aspettano solo un nome, scrive il Corriere della Sera, quello di Castellucci, il più alto in grado tra gli indagati.

Ma quando arriva quel nome, è collegato ad un’assoluzione. “I parenti delle vittime restano immobili, zitti – scrive il quotidiano – Si sente solo il singhiozzo di una ragazza, la prima dei tanti che poi piangeranno qui dentro. Ma nient’altro. Il giudice può andare avanti nella lettura, non deve interrompersi né chiedere a nessuno di fare silenzio. Arriva fino in fondo al dispositivo, e solo quando si gira per uscire dall’aula comincia l’inferno. È un’escalation di urla, insulti, lacrime, accuse violentissime e irriferibili”.

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Il Secolo XIX scrive che i parenti delle vittime gridano “ottantatrè morti”, perché sommano le vittime della loro tragedia a quelle del Ponte Morandi di Genova, “perché questa storia potrebbe tracciare un solco”.

È ciò che scrive anche Il Sole 24 Ore poiché lo schema difensivo scelto da Aspi per Genova è lo stesso di quello di Avellino.

Una delle più arrabbiate, scrive Repubblica, è Partorina De Felice. Era anche lei sull’autobus, con il marito, il cognato e il nipote: tutti morti. Visto come è andato il processo dice che avrebbe preferito morire anche lei quel giorno: come è possibile, si chiede sfogandosi con i cronisti, che Castellucci sia stato assolto se ci sono stati 40 morti? “E Genova? Mi vergogno di essere italiana. Non deve finire così”.

Al Secolo Partorina racconta che “il giorno in cui è crollato il ponte Morandi ho spento la tv d’istinto, non ce la facevo. Ma ho pensato che è pericoloso il solo fatto di muoversi, in qualunque parte d’Italia, che ci sono pericoli diffusi e ricorrenti. E questo verdetto è riduttivo”.

E accusa i risarcimenti che hanno inciso sull’esito delle udienze: “Hanno estromesso le famiglie delle vittime. I nostri avvocati, dopo l’accordo con la società, non avevano più titolo a intervenire in aula, a sostenere le nostre tesi. In pratica c’era una voce dell’accusa, quella del pm, e poi di tutti gli avvocati difensori, i rapporti di forza erano squilibrati così come la possibilità di avere voce in capitolo. Non sono ipocrita, so che quei soldi ci hanno aiutato e li abbiamo accettati perché nessuno ci restituisce i nostri cari e molte famiglie dopo la strage si sono trovate in difficoltà. Ma a Genova non deve accadere che con questa dinamica si perdano la forza e il contributo dei familiari delle vittime al processo. L’ho detto all’avvocato che assiste i parenti di quattro ragazzi di Torre del Greco”.

Giuseppe Bruno, che nell’incidente ha perso i genitori, presiede da quattro anni l’associazione “Vittime della strada A16”: “Chiediamo al governo e al ministero delle Infrastrutture più controlli. Ma dopo questa sentenza, non crediamo più a nulla. In aula c’è scritto “La legge è uguale per tutti”, evidentemente non vale per i potenti”.

Il rammarico espresso da Autostrade

Sul sito web di Autostrade una scarna nota in cui la società “nel ribadire nuovamente la più profonda e sentita vicinanza ai parenti delle vittime, esprime rammarico in merito alla sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Avellino nei confronti delle strutture tecniche della Direzione di Tronco di Cassino”.

Quasi è urtata per la condanna, insomma, tanto da aggiungere che “i legali dei dirigenti e dei funzionari coinvolti si riservano la lettura delle motivazioni per ricostruire il percorso logico-giuridico seguito dal Giudice, a fronte delle solide argomentazioni difensive proposte dagli imputati nel corso del dibattimento che hanno dimostrato la correttezza del loro operato”.

E naturalmente si traggono le conclusioni puntando il dito esclusivamente sul bus. Scrive la società: “Autostrade per l’Italia ribadisce altresì che nel corso del dibattimento è emerso con chiarezza che la causa dell’incidente è riconducibile alle disastrose condizioni del bus – che viaggiava con un milione di chilometri, non aveva meccanica in ordine, non era mai stato sottoposto a revisione e aveva gli pneumatici usurati e non omologati, oltre che il sistema frenante non funzionante – e alla condotta dell’autista”.

Un video smonta la tesi della bobina

E veniamo a Genova. Un video girato da un privato smentisce la ricostruzione di Autostrade e la memoria difensiva che attribuisce il crollo del Ponte Morandi alla caduta della bobina di acciaio di 3,5 tonnellate dal tir Mcm. Nel filmato acquisito dagli inquirenti si vede il tir cadere insieme al ponte: le bobine, insomma, sarebbero precipitate dopo il cedimento del viadotto.

Il video, scrive Repubblica Genova, è stato acquisito tempo fa dalla Procura e dalla Finanza, tanto che già ne parlammo tempo addietro anche su queste pagine. Non solo il video: dalla foto pubblicata da Repubblica Genova, scattata dai vigili del fuoco nel pomeriggio del 14 agosto, si nota il cassone del tir nel letto del torrente Polcevera e, accanto ad esso, la bobina mezza srotolata.

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La controffensiva della società – scrive Il Secolo – è diretta a ribaltare la tesi più accreditata dall’accusa, e cioè il cedimento strutturale legato al deterioramento degli stralli. Secondo Autostrade per l’Italia anche i primi accertamenti condotti dal laboratorio svizzero Empa indebolirebbero questa versione dei fatti. Un antipasto di ciò che si consumerà a processo.

Autostrade: “Pagheremo ma rivediamo le cifre”

Autostrade scrive ai genovesi: “Siamo pronti a pagare a rate, ma rivediamo le cifre chieste”. Lo riporta Il Secolo, parlando di una proposta di pagamento arrivata dalla società nero su bianco.

Il Comune ha presentato un conto complessivo di 449 milioni di euro che comprende il preventivo della demolizione e ricostruzione del nuovo ponte e gli indennizzi per tutti i soggetti coinvolti. Già prima della fine del 2018, Autostrade si era mossa chiedendo delucidazioni su parecchi aspetti e il commissario aveva risposto. Ma finora la società non aveva mai assicurato la disponibilità a pagare, anche se Atlantia il 9 novembre scorso aveva accantonato circa 350 milioni di euro “quale stima preliminare degli oneri direttamente collegati al crollo di una sezione del Viadotto Polcevera a Genova”.

Adesso Autostrade conferma la volontà di pagare “ma esprimendo riserve sugli importi richiesti, proponendo le modalità di erogazione degli stessi e, ricevuto un riscontro da parte del commissario, riservandosi di portare all’approvazione del Consiglio di Amministrazione del prossimo 17 gennaio le suddette modalità”.

Secondo quanto filtra, la proposta di Autostrade verterebbe sulla possibilità di un pagamento diretto e rateizzato alle società che costruiranno il nuovo ponte, “in modo da risparmiare sulle imposte”.

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