Da seconda punta, nove gol nelle prime dieci partite. Poi più niente. Non segna dal 6 novembre. E non vorremmo che un dubbio si fosse insinuato in lui
Non segna dal 6 novembre
L’ultimo gol risale al 6 novembre. Su rigore, contro il Psg. Buffon gli rise in faccia per innervosirlo. E lui quel risolino lo ricacciò indietro. Lo elogiammo – non solo noi – e ci sembrò che fosse la svolta. Lorenzo Insigne era diventato il leader di questo Napoli. Insieme con Kalidou Koulibaly. Ma lui, a differenza di Koulibaly, aveva subito una trasformazione. Appena cinquanta giorni prima, in occasione di Napoli-Fiorentina, dopo la scoppola subita a Genova contro la Sampdoria, Ancelotti aveva varato il ritorno al suo amato 4-4-2 e aveva spostato Insigne più vicino alla porta. La cara, vecchia, seconda punta. Che oggi viene anche declinata come sottopunta. Ci siamo capiti. Gli aveva tolto la coperta di Linus. Non più sull’esterno e pronto ad accentrarsi, ma più in area, per fare più gol. Anche perché le statistiche dicevano, e dicono, che Lorenzo è uno di quei calciatori che tirano di più in porta. Con percentuali realizzative non proprio da sbandierare.
Nove reti nelle prime dieci partite nel nuovo ruolo
Sembrava che gli fosse piaciuto il nuovo ruolo: sei gol in sette partite di campionato e tre su tre in Champions. Fanno nove reti in dieci partite. Sua la rete che mise kappaò a Napoli il Liverpool di Klopp. Sua la rete al Parco dei Principi. Suo il rigore che avrebbe fatto tremare i piedi e il resto del corpo anche a calciatori mentalmente più robusti di lui. Quasi tutti gol in area di rigore. A Torino ricordò persino José Altafini. Sembrò l’inizio di una nuova vita professionale. Per lui che ha 27 anni e mezzo e a giugno ne compirà 28. «Ancelotti? Forse l’ho incontrato troppo tardi», disse in Nazionale.
Cè anche un dettaglio che per i tifosi del Napoli è rivelatore ben più di altri. Sembrava scomparso il tiro a giro, una delle magnifiche ossessioni di Lorenzo. Al Sassuolo segnò così, con una deliziosa parabola. Poi basta. Non ne provava quasi più. A Belgrado colse una traversa con un tiro potente da fuori area. Sembrava un altro giocatore.
E invece quel 6 novembre, contro Buffon, fu l’inizio della risacca. Da quella sera ha giocato dieci partite e non ha più segnato. Soltanto a Cagliari è partito dalla panchina, le altre le ha giocate tutte dal primo minuto. Il problema non è tanto l’assenza di gol, è che ha cominciato a girare più a largo. Alle prime difficoltà, è tornato a cercare la posizione che probabilmente considera naturale. E, va da sé, a riprendere con quei tiri che sappiamo.
La tentazione di tornare nel suo fazzoletto di terra
Ieri sera Ancelotti lo ha elogiato e ringraziato. «Ha giocato più largo perché Ounas a sinistra non vuole giocare». Non sappiamo quanto fossero vere le parole di Ancelotti. Non facciamo gli allenatori, ma a nostro avviso se fai l’attaccante e hai voglia di fare l’attaccante, non preferisci mai allontanarti, risistemarti sulla fascia. Lontani dall’epicentro. Non vorremmo che il seme di dubbio si fosse insinuato in Insigne. Il dubbio che quella nuova posizione non faccia per lui. Che lui possa rendere di più nella sua zona madre, in quel fazzoletto di terra dove per anni ha lanciato meraviglie e in una stagione – 2016-17 – riuscì a segnare anche venti gol.
In questa stagione è a dieci, ma tutti segnati fino al 6 novembre. I giorni di digiuno sono sessantanove. E diventeranno ottantuno perché lui contro la Lazio non ci sarà per squalifica. Perse la testa in mondo ingenuo nel finale di Inter-Napoli. Lo ritroveremo a San Siro, contro il Milan in campionato. Il 6 novembre, con sette gol, era lassù in cima alla classifica marcatori. Solo Piatek aveva fatto meglio. Ora, è sceso. In tanti lo hanno scavalcato. Nella speranza che tutto questo tempo non abbia rafforzato in lui la certezza che il suo vero e unico ruolo sia in quel fazzoletto di terra, sulla sinistra. Sarebbe uno stop per lui, per la sua crescita. Ma anche per quella del Napoli.