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C’è vita senza mediano nel calcio di Ancelotti

Cosa succederebbe senza Allan. Il tecnico ha sempre dimostrato duttilità. Al Milan inventò Pirlo davanti alla difesa. A Madrid giocò e vinse senza incontristi

C’è vita senza mediano nel calcio di Ancelotti

L’incontrista

Una vita da mediano, una vita a catturar palloni. Ma poi, almeno secondo il credo di Ancelotti, senza mediano si può anche fare. Ecco perché – oltre alle ragionevoli ragioni economiche – l’allenatore ha dato il suo consenso a trattare la cessione di Allan al Psg. In fondo, nel credo di Ancelotti, si può anche giocare senza incontrista e lo potrebbe fare anche questo Napoli che ha trovato in Fabian Ruiz un protagonista del centrocampo partenopeo – come ha dimostrato, per l’ennesima volta domenica sera contro la Lazio, senza Allan – e cerca in Fornals del Villarreal un giocatore con visione di gioco e ottima tecnica. Lui che una volta arrivato a Roma fu spostato proprio a fare il mediano (dai piedi buoni, però) da Nils Liedholm, ha poi vissuto una sorta di nemesi una volta cominciata la carriera di allenatore. Prima abbracciato al credo del mediano di rottura (Crippa, Conte, Gattuso con Parma, Juventus, Milan), poi via via a rendere più liquida la sua idea di gioco, sperimentando come a Madrid dove abbassò a centrocampo Di Maria per sfruttarne le potenzialità offensive

Il Parma

Come giocava bene quel Parma, con Fabio Cannavaro e Liliam Thuram, ma anche con i piedi da mediano di Massimo Crippa e quelli di Dino Baggio. Davanti c’era Hernan Crespo dominatore dell’area di rigore. Nei due anni trascorsi in Emilia, Ancelotti ottiene al primo anno uno storico secondo posto con qualificazione ai preliminari di Champions League e, l’anno seguente, una quinta posizione che vale la qualificazione alla Coppa Uefa ma anche l’esilio di Zola al Chelsea nel nome del 4-4-2.

Conte, Deschamps e Davids

Alla Juventus schiera Zidane trequartista alle spalle di Henry ed Esneider. Per lui, abbandona la dottrina del 4-4-2. Zidane gli ha cambiato la vita, come ha confessato la settimana scorsa al Corriere dello Sport. Al centro del campo Conte, Deschamps e Davids. Una linea Maginot dai piedi buoni. Il passaggio bianconero sarà comunque ricordato come la parentesi più anonima del tecnico di Reggiolo, pur con due secondi posti consecutivi. Al Milan arriva in sostituzione di Fatih Terim e allunga la storia prestigiosa del club rossonero; vince la finale di Champions League all’Old Trafford di Manchester contro la Juventus.

Far coesistere i campioni

Uno dei suoi meriti più grandi da allenatore è il definitivo spostamento di Andrea Pirlo da mezzapunta a regista di centrocampo. Accanto a lui Rino Gattuso l’ultimo dei mediani propriamente detti che scorrazzano per il campo a raccattar palloni e a stendere qualche avversario. L’idea meravigliosa che gli consente di esaudire i desideri di Silvio Berlusconi e allo stesso tempo trovare una formula che garantisce il sempre agognato equilibrio che è poi il Sacro Graal del pallone.

Due Champions League, uno scudetto, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana, due Supercoppe europee, una Coppa del mondo per club il suo palmares in rossonero. Ancelotti abbandona lo schema tattico del 4-4-2 e valorizza lo straordinario potenziale offensivo in suo possesso. Far coesistere i campioni per sfruttare le loro qualità senza però intaccare – appunto – l’equilibrio collettivo. Prende forma il 4-3-1-2: Pirlo play basso, Gattuso mezzala destra, Seedorf mezzala sinistra e Rui Costa trequartista in appoggio alle punte Inzaghi e Tomasson. Pirlo e Rui Costa non più doppioni. Gattuso non più centrale. In quei giorni Pirlo disse: «Nel nuovo Milan ci sacrifichiamo tutti ma ci divertiamo di più».

L’albero di Natale

Non si smette mai di sperimentare. Per Carlo Ancelotti il terreno di gioco è come carta da musica, si diverte con i giocatori come con le note. Kakà non è Rui Costa. Bisogna trovare un’altra soluzione tattica. E nasce l’albero di Natale che negli anni seguenti diventa anche 4-3-1-2, con Kakà che agisce prevalentemente nell’ultimo terzo di campo e Seedorf che si accentra con maggiore frequenza. E vince la seconda Champions, dopo la terribile finale di Istanbul persa con il Liverpool di Rafa Benitez. Una sconfitta che avrebbe distrutto un toro. Non lui.

Poi, comincia la vita da emigrante. Arrivano gli anni del Chelsea. Ancelotti e John Terry festeggiano nel 2010 il double Premier League-FA Cup. In quella squadra ci sono Lampard e in parte Mikel a reggere il centrocampo. Essien gioca di meno. Anche a Stamford Bridge porta la visione che ha illuminato la sua lunga permanenza rossonera. Giocano insieme Drogba, Anelka, Malouda, Ballack. Segna più di cento gol in Premier. Record che viene battuto l’anno scorso dal City d Guardiola.

Al Psg centrocampo ricco di piedi buoni. Ci sono Marco Verratti e Blaise Matuidi. Il primo che deve illuminare, il secondo che deve contenere. Libertà al potere con Pastore, Thiago Motta, Lavezzi e Sissoko. Ancelotti resta a Parigi una stagione e mezza. Il secondo anno affronta il Barcellona nei quarti di Champions League. All’andata finisce 2-2 e il Psg schiera dal primo minuto Beckham, Pastore, Ibrahimovic e Lavezzi. L’idea di calcio fluido si fa sempre più strada nella visione di Ancelotti.

Di Maria

La decima senza mediano di rottura

Poi arriva a Madrid. E qui il tecnico di Reggiolo compie un altro salto con l’arretramento di Di Maria che viene trasformato in centrocampista ovviamente con licenza di offendere. È il possesso della palla che gli interessa. Nella squadra che conquisterà la Decima, l’allenatore italiano compie una sorta di rivoluzione. Arriva a far giocare insieme Di Maria, Bale, Cristiano Ronaldo e Benzema. Come a Monaco di Baviera dove ne rifila quattro a Pep Guardiola. E a centrocampo giocano Modric e Xabi Alonso. Nella finale vinta contro l’Atletico Madrid per 4-1 e acciuffata per i capelli al 93esimo da Sergio Ramos, si gioca gli ultimi 35 minuti con Di Maria, Bale, Benzema, Cristiano Ronaldo, Isco. Più Modric.

Quel Real ha in rosa due soli centrocampisti di rottura: Khedira e Casemiro. Il primo si infortuna ai legamenti e gioca 13 partite in Liga e 5 in Champions in cui salta tutte le gare a eliminazione diretta e gioca i primi sessanta minuti della finale. Il secondo entra – scrivere gioca sarebbe eccessivo – in 6 partite di Champions e in 12 di Liga. Quell’anno, di fatto, Ancelotti schiera il suo Real senza uomini di rottura a centrocampo.

Come se nulla fosse, l’anno dopo guarda andar via la sua più importante innovazione tattica: Angel Di Maria si trasferisce a Manchester sponda United; saluta Xabi Alonso. E accoglie Toni Kroos e James Rodriguez pupillo di Florentino Perez. Casemiro è al Porto, Khedira trascorre decisamente più tempo tra infermeria ed esami diagnostici che in campo. Quell’anno il mediano non esiste. Ci sono Kroos e Modric. In Champions viene eliminato dalla Juventus in semifinale, a Torino perde 2-1 e gioca con Ronaldo, Bale, Isco, James e Sergio Ramos a centrocampo. Al ritorno al Bernabeu finisce 1-1 e dal primo minuto vanno in campo tutti insieme CR7, Benzema, Bale, Isco, James. Più Marcelo.

Poi c’è l’esperienza Bayern dove si affida a Thiago Alcantara, Vidal, Xabi Alonso. Lì i problemi sono di natura diversa. Ora, a Napoli, sta creando un Napoli modello spagnolo. E, soprattutto, modello Milan. Uno che non batte ciglio guardando andar via Di Maria, non ha certo timore di rimanere eventualmente senza Allan a Napoli.

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