Il (vero) gol fallito a Liverpool è dello spagnolo, in un momento complicato dopo un ottimo avvio di stagione. Una riflessione sulla sua imprescindibilità.
Un giocatore finale
Dopo Napoli-Psg abbiamo dedicato un sacrosanto articolo a José Maria Callejon. Un titolo emblematico, secco, già utilizzato in passato: “Quanto è forte Callejon”. Il testo esaltava il contributo dello spagnolo al gioco del Napoli, ma raccontava pure un cambiamento di prospettiva tattica: José aveva adattato il suo calcio al Napoli e il Napoli di Ancelotti si era adattato a lui. Era un lavoro di contrappunto che funzionava benissimo, anche perché Callejon aveva riciclato il suo killer instinct sotto porta in un altro tipo di giocata finale: l’assist vincente ai compagni. Erano 5 in campionato e 2 in Champions League, con una media superiore alle 2.5 occasioni create a partita. I numeri sono rimasti inalterati, più di un mese dopo.
Insomma, Callejon era ed è rimasto il giocatore di sempre. Solo che a Liverpool abbiamo assaggiato il suo lato oscuro, il suo momento negativo di forma e partecipazione. È la condanna dei giocatori finali: se non sei presente nel tuo momento, quello in cui si conclude l’azione con il tocco decisivo – la conclusione in porta o l’appoggio per i compagni -, sei condannato a dover fare altro. A dover garantire altro. Callejon, invece, è scomparso.
Non solo Liverpool
Nel nostro giudizio, ovviamente, pesa come un macigno la rete fallita un quarto d’ora prima del “grande errore” di Milik. Palla dalla sinistra dietro la difesa, la solita; Robertson manca l’impatto, Callejon se la ritrova lì a porta praticamente spalancata. Fuori.
Qualora avesse segnato, José sarebbe diventato (ancor di più) il nostro idolo. Non l’ha fatto, finendo per pregiudicare in maniera irreparabile una prestazione incolore, sintomatica di una condizione deficitaria che si trascina da un po’. Forse proprio da Napoli-Psg di cui sopra, probabilmente l’ultima partita ad altissimo livello giocata dallo spagnolo. Da allora in poi, solo Napoli-Chievo è stata una partita all’altezza del Callejon che conosciamo: cinque occasioni create, la perfetta interpretazione del suo nuovo ruolo di esterno che determina situazioni pericolose. Che agisce troppo lontano dalla porta per concludere (è ancora a zero reti), ma che innesca le azioni da gol.
Dopo Napoli-Chievo, ecco Stella Rossa ed Atalanta. Partite “normali”. Infine, Liverpool. Nessuna colpa specifica, oltre il gol sbagliato. Però anche una forte sensazione di inconsistenza offensiva, al netto della solita applicazione difensiva.
Irrinunciabile (?)
Ora, ovviamente, la croce non va buttata addosso a Callejon. Ripetiamo: nessuna colpa specifica, però quel gol mancato pesa nell’economia della partita, sul giudizio di uno che ha sempre saputo essere presente nei momenti decisivi. E che, nel frattempo, lavora e funziona come grande equilibratore tattico.
Callejon non scompare mai dal gioco difensivo, è sempre presente, è sempre puntuale e preciso e attento. Solo che però a volte viene l’idea che si possa pensare a qualcosa di diverso in fase d’attacco, qualcosa di più creativo. In alcune partita, quelle da vincere a tutti i costi, questo Callejon – quello fuori forma – fa fatica ad essere determinante. È il discorso di prima sui calciatori finali: se sei famoso per un certo contributo al gioco offensivo, se sei famoso per i tuoi ultimi tocchi, la mancanza di giocate decisive rende quasi inutile la tua presenza. Come il gol per l’attaccante: è la condanna che orienta – anzi determina – ogni giudizio.
Se Callejon scompare, allora il Napoli perde una fonte creativa e risolutiva. Perde la possibilità di schierare Ounas o Zielinski o Fabian Ruiz da quel lato per creare nuovi circuiti di rifinitura.
Ora, ovviamente, Callejon non va sostituito e/o destituito. L’equilibrio nelle valutazioni e nelle scelte deve essere sempre massimale, un mese fa Callejon era imprescindibile e ora non è cambiato tutto. Solo che il Napoli potrebbe anche pensare ad un’alternativa che cambi le carte in tavola, che in qualche modo consenta di variare quando c’è bisogno. Anche perché Callejon è indistruttibile, ci siamo. Ma non è eterno – fino a prova contraria.
Il futuro
È la valutazione che si dilata nel tempo, quel tempo che pone una domanda chiara: Callejon sarà per sempre imprescindibile? No che non può esserlo, anzi non deve esserlo. Ne ha scritto ieri Mario Colella, José appartiene a quel gruppo storico che si potrebbe pensare di “resettare”. O che comunque, volendo essere meno severi, va in qualche modo aggiornato con nuovi hardware, non fosse altro che per l’età dei suoi componenti: Callejon va per i 32 anni, esattamente come Mertens e Hamsik. È la classe 1987, classe di ferro che non arrugginisce ma che comunque si incammina verso il finale di carriera.
E allora, l’idea di pensare a un altro presente per sopperire alle sparizioni – rare, ma possibili – di Callejon vuol dire anche preparare il futuro. Vuol dire programmare. A volte, voler bene significa anche prendere decisioni difficili, drastiche. Insieme è più doloroso, ma può essere anche la scelta migliore. Callejon resta una pedina fondamentale del Napoli, anche in quello di Ancelotti. Non ci rimangiamo questa lettura, solo che l’idea di costruire un’alternativa interna da utilizzare anche ai massimi livelli ci pare un’idea giusta. Per oggi e per domani. Male che vada, Callejon può sempre tornare e prendersi tutto, di nuovo. Ci ha abituato anche a questo.