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Un documento del 94 fissò nel 2030 la fine del Ponte Morandi

Rassegna Stampa / Non c’è giorno in cui non emerga uno studio che evidenzia le criticità dell’infrastruttura crollata. Il mistero del sensore

Un documento del 94 fissò nel 2030 la fine del Ponte Morandi

Ormai non passa giorno senza che spuntino nuovi documenti sulle criticità del ponte Morandi evidenti ben prima del tragico crollo del 14 agosto.

Su uno di questi si sofferma lungamente, oggi, la Repubblica.

L’articolo del trimestrale Autostrade del 1994: degrado diffuso sugli stralli delle pile 9, 10 e 11

Si tratta di un articolo pubblicato nel luglio 1994 sul trimestrale Autostrade, una relazione tecnica sull’intervento di consolidamento degli stralli della pila 11, effettuato tra il 1992 e il 1993. A firmarla furono, all’epoca, Francesco Martines y Cabrera, docente del Politecnico di Milano, Gabriele Camomilla e Michele Donferri Militelli per Autostrade, il progettista Francesco Pisani, e Agostino Marioni, della società Algo-Preco spa.

Dalla relazione emerge che era già evidente, all’epoca, un degrado diffuso sugli stralli delle pile 9, 10 e 11 “ed una serie di altri degradi concentrati”, ma il problema, allora, era rappresentato dalla necessità di “evitare di interrompere il traffico”.

Dice proprio così la Repubblica: “La soluzione tecnica che venne adottata, stralli convenzionali esterni a quelli di Morandi, venne scelta perché era impensabile interrompere il traffico per effettuare le riparazioni”.

Il fantomatico sensore posto sul pilone numero 9

Gli interventi di riparazione si limitarono alla pila 10, dove il problema “era concentrato nella sezione di attacco della sommità della torre”. Sul pilone 9, invece, quello crollato provocando 43 vittime, non fu effettuato alcun intervento, “poiché gli strati di corrosione erano più limitati sia nei cavi secondari che principali”.

Per tenere sotto controllo la situazione e verificare lo stato del degrado, tuttavia, fu installato sul pilone 9 un “sistema di controllo continuo reflettometrico”. Lo spiega, a la Repubblica, l’ingegner Camomilla: “Esisteva un monitoraggio, un sensore tradizionale per rilievi di deformazione esterni dei cavi. Funzionava come un modem collegato a computer. Doveva misurare l’intensità della tensione dei cavi”. L’ingegnere smise di lavorare per Autostrade nel 2005 dunque non sa cosa sia successo al sensore: “Se c’è, lo troveranno tra le macerie”, dice.

Ma, secondo quanto riferisce, allo stesso giornale, il professor Carmelo Gentile del Politecnico di Milano, autore dello studio del 2017 che ha segnalato “le profonde anomalie dei cavi di acciaio consigliando approfondimenti teorico sperimentali”, quel sensore non esiste più. “I sensori erano collegati alla sede di Bologna – racconta – che monitorava i dati. Nel 1996 vennero messi fuori servizio. E no, quando abbiamo eseguito nell’autunno scorso le nostre misurazioni non mi risulta ve ne fossero altri”.

La previsione: agghiacciante e purtroppo sbagliata

La relazione del 1994 si concludeva con una previsione purtroppo sbagliata: “Assumendo una legge empirica che governa la velocità di degrado – vi si legge – la condizione limite viene stimata intorno al 2030”. Purtroppo il Ponte Morandi è crollato 12 anni prima del previsto.

La demolizione di ciò che resta del Ponte

I giornali tornano anche oggi sul punto già discusso ieri nella nostra rassegna stampa https://www.ilnapolista.it/2018/08/ferrazza-avrebbe-potuto-chiudere-il-ponte-morandi/. Il Corriere lo fa con una lunga intervista al procuratore Francesco Cozzi: “Per noi – afferma Cozzi – in questo momento quello che prevale è salvaguardare l’acquisizione delle prove”.

Cozzi rassicura, ancora una volta, che la Procura chiederà che la demolizione venga fatta in modo da consentire di salvaguardare le prove e afferma: “documentiamo giorno dopo giorno quel che cambia nella struttura, repertiamo, cataloghiamo e conserviamo le parti crollate che riteniamo di interesse per le indagini”.

Nessuna fretta

Nessuna fretta di far scomparire per sempre quel maledetto viadotto, quindi: “Il tempo che ci prenderemo – dichiara Cozzi – deve essere un tempo utile, ricco, sensato. Ma non possiamo pensare di prendere decisioni sulla base del ripristino della viabilità (…). Prima dobbiamo eseguire tutti gli accertamenti necessari, è una garanzia per tutti. Se c’è necessità di fare verifiche su un pezzo di ponte che può rimanere dov’è,quel pezzo resta lì”.

Giusi Fasano, autrice dell’intervista a Cozzi, gli chiede se è vero che la Procura sta preparando una lista di indagati: “Vorrei mettere in chiaro fin da ora una cosa – risponde il procuratore – Che indagare questo o quello non sarà una affermazione di responsabilità. Vorrei ricordare a tutti che non c’è nessun automatismo”.

Il conflitto di interessi interno alla commissione del Mit

Dopo le dimissioni del professor Brencich e l’allontanamento forzato di Roberto Ferrazza, il Ministero starebbe effettuando, secondo Il Fatto, “una verifica a tappeto degli incarichi esterni, a partire da quelli retribuiti da Autostrade per l’Italia e ottenuti da dipendenti del ministero, partendo dagli alti dirigenti. Fino a un livello più profondo, che analizzi anche eventuali collegamenti più subdoli, come l’ottenimento di benefici a persone legate, dal punto di vista professionale o familiare, alla burocrazia pubblica”.

Tutto ciò per fare luce, scrive Il Fatto, “su eventuali opacità nel rapporto tra le concessionarie autostradali – Autostrade per l’Italia su tutte – e in primo luogo la struttura del Mit che ha il compito di controllarle”.

Il conflitto di interessi all’interno di Autostrade

Il Fatto si sofferma anche su un conflitto di interessi interno ad Autostrade che riguarda il capo della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che è anche presidente del collegio sindacale della società, cosa su cui rimandiamo all’articolo integrale https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/lazionista-di-autostrade-e-anche-controllore/.

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