ilNapolista

La complessità del caso Özil e la conferma che siamo tutti stranieri

È politica, integrazione, lavoro, ma offre anche lo spunto per ragionare sulle nostre origini. Entrambi, il calciatore e la federazione, difendono un privilegio

La complessità del caso Özil e la conferma che siamo tutti stranieri
La foto contestata tra Özil e Erdogan

Tedesco se vince, turco se perde

Il caso Mesut Özil è esemplare della potenza analitica che il calcio mette a disposizione.

È un caso che restituisce la complessità di cose come politica, integrazione, lavoro, e mi suggerisce uno spunto sul tema delle origini.

La complessità: Özil è un campione tedesco di origine turca. Vince il mondiale con la Germania ed è il simbolo del melting pot tedesco. Poi la sua carriera si affievolisce, lui fa una foto con Erdogan che non gli viene perdonata, la Mannschaft capitola malamente agli ultimi Mondiali e decide di lasciare la Nazionale.

Il calciatore dice di aver subito un atteggiamento razzista, o quanto meno si è sentito scrutinato perché ha ammesso di avere un doppio cuore, turco e tedesco. Dice di sentirsi trattato da tedesco se vincente e da turco se perdente. Lothar Matthäus lo ha criticato per il suo “body language”: un calciatore senza gioia, una indolenza che nasconde un conflitto, un non essere completamente sicuro di indossare la maglia tedesca. O completamente degno? La Germania ha ancora un senso esclusivo della cittadinanza, legato ad un retaggio di sangue: nessuna doppia cittadinanza possibile, o tedesco o no. E Özil non canta l’inno.

Putin, Infantino e Matthaeus

La foto di Matthäus con Putin

Poi c’è la foto. È con Erdogan, un tiranno. Mesut dice di aver solo onorato l’istituzione massima della terra dei suoi padri. Il governo tedesco con quello turco non ci va troppo d’accordo. La destra tedesca sfrutta la foto per ridiscutere il mito della integrazione culturale, Özil ha qualche guaio anche con gli sponsor. Eppure, dice lui, Matthäus ha fatto una foto con Putin e nessuno ha battuto ciglio.

Ora, dov’è il punto interessante. Per me è uno: che tutto quanto contenuto in questo succinto riassunto è vero. Sono veri l’indolenza di Özil e la sua classe, la foto con un tiranno che ovviamente è politica e il doppiopesismo della federazione con il più tedesco Matthäus, la retorica populista e xenofoba della destra e i legittimi dubbi sul senso di Özil per i principi laici e democratici della nazione che lo ospita.

Ma lo spunto che mi permetto di offrire è a monte. Ed è il problema delle origini. Per cui tutto quanto sopra è vero eppure non corretto.

Straniero al mondo

Ed è il concetto di straniero: ogni uomo deve accettare di esserlo. Straniero al mondo. Ciascuno deve trovare il coraggio di appassionarsi per una bandiera e sapere dentro di sé che quella bandiera deve dimenticarla perché è la sua maledizione. Per questo il calcio è una palestra gigante: insegna una sospensione del giudizio, un infoltimento temporaneo per poi tornare alla ragione dell’umano. La bandiera è un orpello necessario ma che ciascuno in vita deve imparare ad abbandonare.

L’ex capitano tedesco serve due cuori. Serve il cuore suo e del padre e del padre del padre. Male. Il senso estetico di sé lo coltivi solo nel complicarti la vita, non nel perpetrare un cuore asfittico e lontano – quella è una ragione cieca. E pericolosa. La Germania serve il proprio sangue: una idea esclusiva di patria in cui l’integrazione ha ancora un connotato di necessità al servizio di una bandiera. Un concetto del genere non può essere laico, ma è religioso per definizione.

Dunque né Özil è un eroe contro il razzismo, né la federazione tedesca difende alcun valore. Entrambi difendono un club esclusivo di cui essi si trovano a far parte per caso e a difendere per ragioni di privilegio.

Ma gli eroi nel calcio ci sono stati, ci sono e ci saranno. Qualcuno l’ho ricordato durante i Mondiali. #UnEroeAlGiorno. Breitner. Socrates. Weisz. Gli eroi sono sempre anarchici. Fanno poche foto a supporto di qualcuno perché sono loro il supporto che gli altri cercano. Non si riuniscono sotto una bandiera perché sono quasi sempre dei rinnegati. Si riuniscono sotto un’idea – questa sí umana e laica: Democracia Corinthiana.

Noi, ad Atene, facciamo così.

ilnapolista © riproduzione riservata