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Il Napoli dell’ultimo triennio: un’azienda senza obiettivo condiviso

Il paradosso degli ultimi tre anni è stato illudersi di osservare un calcio collettivo quando invece ciascuno conduceva solo la propria battaglia

Il Napoli dell’ultimo triennio: un’azienda senza obiettivo condiviso

I Key Performance Indicator

Ora che le storie degli allenatori e degli avvocati si sono finalmente concluse e che la nostra nuova avventura ha pienamente inizio, ha senso prendere spunto da quanto detto l’altroieri da De Laurentiis in conferenza stampa sul lavorare per sé o per gli altri.

Noi veniamo da tre anni strani per il Napoli. Anni in cui ci si è divisi quasi quotidianamente sullo scopo della stagione, sugli obiettivi e dunque i significati di quest’ultima. Sono stati anni in cui spesso si è citato il collettivismo per caratterizzare il calcio di Sarri – il gioco come più della somma delle parti. Questa coralità ha vissuto però su una non condivisione dei fini, su lotte intestine e trasversali, su polemiche di fatturati e giocatori.

Generalmente in una azienda privata gli obiettivi sono decisi dalla dirigenza – i famosi KPI, Key Performance Indicator – e solo su di essi si misura l’impatto di singoli e gruppi. Il calcio fa storia a sé per un motivo evidente: il tifo. Esso è allo stesso tempo una dimensione ortogonale alle altre eppure parallela: genera aspettative, muove l’economia, influenza il percorso pur non sedendo in un consiglio di amministrazione. I tifosi non sono propriamente clienti né esattamente azionisti. Il paradosso è che il calcio nasce e vive per il tifo, eppure gli obiettivi che una squadra si pone devono essere il più possibile indipendenti da esso per far sì che la storia collettiva sportiva rimanga sana. “Se uno dovesse ascoltare i tifosi non vincerebbe mai” è la frase che va scolpita nelle teste di ciascuno: è il paradosso e forse anche il senso di questo sport.

Ciascuno conduceva la propria battaglia

L’ulteriore paradosso degli ultimi tre anni è stato illudersi di osservare un calcio collettivo proprio quando ciascuno conduceva solo la propria battaglia. Gli “assist”, come li ha chiamati De Laurentiis. A cosa serve inventarsi un KPI alternativo? Un record da battere? A prepararsi una via d’uscita privata. Nel calcio lo si può fare proprio perché ne esiste il racconto che lo tiene in vita, il tifo, appunto: esso legittima e crea la possibilità che uno sbilanciamento di una azienda possa esistere e persino fiorire e svilupparsi fino alle estreme conseguenze, senza apparenti strappi.

Questi assist personali, inutili eppure degni di essere vissuti e raccontati, hanno avuto forza e vita proprio nel Napoli più collettivo della sua storia recente. Quel Napoli non ha vinto nulla. Zero. Non ha centrato alcun obiettivo. Ma si è costruito un mondo parallelo nel quale ha alimentato le fantasie di moltissimi, probabilmente dei più.

Cosa può insegnarci il triennio passato, dunque. Personalmente, credo ci suggerisca di far bene attenzione alle illusioni. Esse non sono un peccato mortale. Probabilmente le cose più memorabili nella vita di un uomo ne sono composte. È necessario però fare attenzione a non smarrire completamente una visione d’insieme. Insomma è lecito vivere di illusioni, purché si sappia che illusioni restano. Quando ci si rifiuta di conoscere questo nesso che separa e congiunge reale e virtuale si diventa fanatici, e in quel campo di calcio è meglio non andarci.

Buona stagione e forza Napoli a tutti.

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