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Guida al Napoli di Ancelotti: il calciomercato (quello reale, e un po’ quello virtuale)

Il secondo longform introduttivo sul nuovo progetto tecnico del Napoli: l’analisi dei nuovi arrivi e delle trattative di mercato in entrata.

Guida al Napoli di Ancelotti: il calciomercato (quello reale, e un po’ quello virtuale)
Il secondo longform sul Napoli di Ancelotti indagherà sulla sessione trasferimenti. Sulle operazioni fatte, sulle operazioni da fare. Qui trovate la prima puntata, sulla rosa azzurra prima del mercato.

Alfonso Fasano (AF): Abbiamo aspettato un po’ prima di iniziare a lavorare sul secondo pezzo della nostra “Guida al Napoli di Ancelotti”. Il calciomercato, del resto, era ed è un argomento abbastanza spinoso, diciamo pure controverso. Proprio per questo, è bene chiarire le cose fin da subito: il nostro approccio resta realistico, non scriveremo di trattative virtuali e non cercheremo di somministrare alcuno scoop, piuttosto analizzeremo impatto tecnico e politico dei nuovi acquisti, cercheremo di capire cosa manca all’organico del Napoli, quali saranno gli equilibri gerarchici e tattici rispetto ai giocatori reduci dall’era-Sarri, e in relazione alle idee del nuovo tecnico. Insomma, parleremo di campo. Non di Cavani e Benzema – non subito, almeno -, ma di Fabian Ruiz, Verdi, Meret, Karnezis.

Anzi, comincerei subito lasciando la parola ad Alessandro. Un personaggio che – ve lo dico prima – mi ha letteralmente trascinato nel club degli amici adoranti di Fabian Ruiz, associazione di cui è presidente e fondatore. Per una presentazione completa del centrocampista andaluso, non potevamo chiedere di meglio. O di peggio, a seconda dei punti di vista.

Alessandro Cappelli (AC): Il dettaglio più interessante è che così ho ricevuto due inviti in contemporanea, per altrettante cose che mi piace fare: mi hai chiesto di parlare di calcio e di campo, non di fantacalcio o (fanta)mercato. E poi di raccontare quel blocco di argilla da modellare che è Fabian Ruiz.

Per descrivere il giovane Fabian potremmo iniziare a dire cosa non è: non è il sostituto naturale di Jorginho, tanto per cominciare. E non è – perché non potrebbe esserlo – l’acquisto che, da solo, ti garantisce tutto e subito come farebbe un campione più affermato. Una sola stagione da titolare non può dare queste certezze. Però basta per spingerti a scrivere cose impegnative. Per esempio, che il centrocampista andaluso può essere perfetto se calato in un contesto funzionante.

Napoli-Gozzano

La prima uscita in maglia azzurra

Nel Betis ha giocato prevalentemente da mezzala, più spesso a destra, quindi sul lato del piede debole, con attribuzioni molto ampie. È un giocatore estremamente moderno, ha un ruolo che non si definisce nella parola mezzala, o interno (o qualsiasi altra cosa: non è solo un mediano non è solo un trequartista); è alto 190cm, è molto dinamico, ed ha letture particolarmente sviluppate per un classe ‘96. Infine, possiede un sinistro buono per il gioco corto e per quello lungo.

Fabian, potenzialmente, può fare qualsiasi cosa. Per questo Quique Setien, il suo allenatore al Betis, lo ha piazzato nello slot di mezzala destra nel suo 4-3-3 fluido, dopo averlo provato da centromediano. In fase di prima costruzione il suo compito era offrire un’uscita comoda dal suo lato, muovendosi nel campo visivo dei difensori.

Non rappresentava necessariamente la prima opzione (c’erano il mediano Javi Garcia e il messicano Guardado), piuttosto un appoggio valido per caricare il gioco a destra, dove poteva sfruttare l’ampiezza in orizzontale scambiando con il laterale, cercare in verticale le punte o, più raramente, provare il cambio di gioco. Dopo lo scarico, l’obiettivo diventava “pensare in verticale”, mettere pressione alla difesa – anche per l’idea offensiva che caratterizza il gioco di Setien – quindi attaccare lo spazio e diventare una minaccia aggregandosi all’attacco.

Un gol dopo pochi secondi in una partita discretamente sentita, a Siviglia

Quello appena tracciato è il profilo di un centrocampista che potremmo definire, per comodità, box-to-box. Un giocatore associativo, con un fisico importante, capace di coprire ampie porzioni di campo e, soprattutto, giocare in molti contesti diversi. Dico “soprattutto” perché, come abbiamo detto anche nel pezzo precedente, non sappiamo ancora che Napoli vedremo sotto la guida di Ancelotti. In questo momento mi stuzzica l’idea di una squadra in grado di giocare con un sistema più fluido di quello visto con Sarri, dove i centrocampisti non hanno posizione fissa. E dove Fabian Ruiz fa la mezzala, il mediano e il regista offensivo, tutto insieme, magari alternandosi con Zielinski che gli gioca a specchio nel settore opposto del campo.

È uno scenario verosimile, ma in potenza, altrimenti non staremmo parlando di un ragazzo di 22 anni che per la prima volta si allontana (così tanto) da casa. E che per la prima volta gioca in una squadra di vertice. Per questo inizialmente ho parlato di argilla da modellare: quel che si è visto fin qui di Fabian, in prospettiva, lascia immaginare cose bellissime. Ora però bisogna che diventino concrete, più vere in un certo senso. In questo caso, l’assicurazione si chiama Carlo Ancelotti: un allenatore che apprezza e valorizza il talento come lui (esattamente come Quique Setien) è forse l’incastro migliore possibile per la carriera di un potenziale “crack” (non a caso si parlava di possibili trasferimenti a Madrid e Barcellona).

Poi se parliamo di calcio liquido, un approccio al gioco per cui i giocatori devono saper fare più cose, essere universali in qualche modo, il Napoli ne ha preso più di uno. Perché Verdi sembra un altro fit perfetto in un contesto del genere. E poi è perfettamente ambidestro, una cosa che mi fa andare fuori di testa. E che fa andare fuori di testa anche Alfonso, ci scommetto.

Destra e sinistra

AF: Lo sapevo, mi hai anticipato. Avrei iniziato a parlare di Verdi citando le due punizioni segnate contro il Crotone, una col destro e una con il sinistro nella stessa partita, entrambe splendide. Un primato assoluto che ha un solo precedente di buon livello, nella Liga spagnola, una roba di tanti anni fa. Ora sono costretto a inventarmi un’altra intro, e allora mi affido alla statistica per risolvere l’impasse: Simone Verdi è reduce dalla prima doppia doppia della carriera (10 gol e 10 assist nell’ultima stagione a Bologna). Ma soprattutto ha una media di 1,5 passaggi chiave e 1,3 cross per match.

Basterebbero questi numeri a individuare la microrivoluzione della liquidità che Verdi si appresta a innescare nell’attacco del Napoli. La sola presenza di Simone permetterà ad Ancelotti di pensare calcio in molti modi diversi, e non parlo solo di semplice schieramento posizionale quanto delle nuove possibilità creative e conclusive assicurate dall’ex Bologna.

Nel Bologna, Verdi agiva da esterno associativo nel 4-3-3, indifferentemente a destra a sinistra. L’avverbio “indifferentemente” non è scelto a caso, perché la posizione di Verdi era davvero fluida, dalla sua fascia si spostava verso il centro e anche dall’altra parte, del resto questa è la caratteristica del calciatore associativo. Volendo banalizzare il concetto, si potrebbe dire che “va lì dove serve, quando serve”, cioè quando c’è da giocare il pallone e dare qualità.

Verdi gioca bene praticamente ovunque

Torniamo ai numeri con cui ho iniziato questa piccola presentazione: al netto della posizione in campo, Verdi poi fa quelle cose che si leggono sopra, nelle statistiche. Ovvero crea occasioni offensive, per sé e per gli altri, in base alla situazione sceglie la soluzione migliore per provare a fare gol, in prima persona o servendo un compagno. Inscatolare queste qualità nel Napoli vuol dire collocarlo nello slot destro del tridente, data la (presumibile) intoccabilità di Insigne dall’altra parte. In questo modo, Ancelotti può pensare di riprodurre anche a destra gli stessi meccanismi compositi che il Napoli di Sarri sviluppava soprattutto sulla corsia mancina.

Da questo punto di vista, le mie sensazioni dal vivo qui a Dimaro vanno esattamente in questa direzione, e del resto ne avevamo parlato anche nel nostro pezzo precedente: Ancelotti cercherà di esaltare i calciatori più talentuosi, li inserirà in una struttura per principi senza legarli a un meccanismo immutabile.

In un contesto del genere, almeno secondo me, Verdi è destinato a superare Callejon nelle gerarchie: la creatività nella costruzione del gioco offensivo, la capacità di leggere il gioco nei mezzi spazi e la qualità dei piedi (entrambi) lo porteranno a diventare primo riferimento a destra, non voglio dire titolare perché parliamo di Callejon, di un automa, di un eroe invincibile, una specie di Super-Sayan.

Napoli non è Bologna

Qualcosa che mi lascia perplesso su Verdi? La personalità, o meglio il fatto che il Napoli non è il Bologna. Non sto discutendo della piazza e delle responsabilità, piuttosto del fatto che Simone non potrà essere il centro di gravità della propria squadra, non sarà il calciatore più forte, o più determinante. Anzi, dovrà saper affermare i diritti della sua qualità all’interno di un sistema che, per valore assoluto e gerarchie, ha dei leader che sono più avanti di lui. Molto più avanti di lui.

È una pura questione statistica, più che di incidenza individuale: con meno palloni da lavorare e da trasformare in occasioni offensive, Verdi avrà meno opportunità di essere decisivo. Del resto questo è il destino di chi fa upgrade, di chi scommette su se stesso e non ha margine d’errore, perché la concorrenza è forte e la panchina è un’ipotesi concreta – soprattutto quando i competitor per un posto da titolare sono Insigne, Mertens, Callejon.

È un discorso tecnico, tattico ma anche politico, ed è su questo piacevole spunto che lascio la palla a Charlie. Per me Verdi è un perfetto investimento da Napoli, anche perché il rischio di fallire è più del calciatore che del club – ne abbiamo appena parlato. Per gli altri due acquisti “rimasti”; la situazione è differente: l’esito dell’operazione Meret-Karnezis cambierà il giudizio sul mercato del Napoli, perché sostituire Reina con un giovane di 21 anni è sicuramente un azzardo. Non voglio dire rischio, ma mi ripeto e riscrivo azzardo, sono certo che coglierai la differenza sottile ma sostanziale. Tu come la vedi?

So che non si parla di gioco liquido, ma so anche che non ti risparmierai sul discorso-giovani in Italia, sulla percezione dei calciatori Under-2x che abbiamo nel nostro movimento calcistico. Ovviamente, legherei il tutto alle qualità del giovane Alex, se sei d’accordo.

Effetto De Rossi

Charlie Repetto (CR): Sospettavo che avreste lasciato a me l’ingrato compito di indagare le turbe dell’inconscio collettivo calcistico italiano. Mettiamola semplice: il calcio italiano non ha tanto un problema con la gioventù, lo ha piuttosto nei confronti del talento. Si tratta di una diffidenza inspiegabile: per il movimento calcistico italiano il talento puro è un problema prima che una risorsa, gli italiani sono preoccupati dal talento prima che esserne affascinati. E chiaramente il modo in cui noi stessi raccontiamo la predestinazione non aiuta: i talenti sono sempre irrequieti, indisciplinati; se scriviamo genio a seguire c’è sempre la sregolatezza.

Ed è da qui che deriva la paura nei confronti della precocità: immaginiamo sempre che un giocatore precoce sia anche inesperto (e non è automaticamente vero: direste di Diawara che è inesperto?) o che possa fare errori grossolani (e invece succede a tutti di farne, direste mai che Reina sia stato esente dal fare errori durante la sua esperienza napoletana?)

Il punto è che i nostri calciatori di talento subiscono tutti quello che mi piace chiamare Effetto De Rossi: quel fenomeno inspiegabile che ti porta ad arrivare ad avere trent’anni e a sentirti chiamare ancora Capitan Futuro. Prendete la generazione calcistica nata nei primi anni ’90: Verratti, Immobile, Insigne, Bernardeschi, Berardi, Perin, sono tutti calciatori nel pieno della loro maturità calcistica – o sono in procinto di raggiungerla – eppure parliamo ancora di loro come di una generica generazione del futuro. Ma il futuro è un concetto tossico perché volendo può essere spostato sempre di un giorno più lontano.

Meret e Karnezis

Ed è per questo che vorrei smettere di parlare di Meret come di un investimento. Non perché non lo sia, ma perché vorrei riconoscerne il talento e valutarlo per quello che può fare oggi senza appellarci ad una generica futuribilità (come quando Coco Capitàn si chiede: “ma poi cosa ce ne faremo di tutto questo futuro?)

Vuoi sapere se credo che Meret, ad oggi, possa essere un azzardo? Sì, lo penso. Nel senso: non credo che Meret nella prossima stagione sarà una saracinesca impeccabile; penso che ci farà vedere qualche parata di alto livello perché ha le caratteristiche tecniche per impressionarci (e dell’endorsement di Zoff tenderei a fidarmi). Nel frattempo penserà a costruirsi la fiducia che serve ad un portiere per lavorare bene: giocare spesso lo aiuterà ad acquisire la personalità che serve per controllare la linea difensiva, per gestire l’area e per farsi sentire in campo.

Anche se Meret dovesse fare un qualche tipo di errore grossolano, preferisco sempre che lo faccia indossando la maglia del Napoli piuttosto che quella di un’altra squadra. Può sembrare un controsenso, ma un talento puro come il suo vorrei sempre avercelo in squadra che contro. Altrimenti finiamo per assecondare quell’atteggiamento, ancora una volta molto italiano, di far fare esperienza ai ragazzi sempre nell’azienda degli altri.

Quello che abbiamo visto di Alex Meret

In tutta sincerità credo anche che Meret sia il portiere giusto nel momento giusto: è da quando abbiamo visto arrivare Ancelotti sulla nostra panchina che ci siamo messi a parlare di lui come di un normalizzatore, uno che pensa a giocare al calcio prima che a seguire ossessivamente una contemporaneità che non gli appartiene (e che forse mai gli apparterrà del tutto), dico questo perché mi sembra chiaro che Meret non è il tipico sweeper keeper (non vi sembra che questa parola abbia subito un abuso così forte da essere stata spogliata da ogni accezione?) e ne sono felice.

Si tratta di un portiere solido. Non appartiene alla categoria che unisce Reina a Neuer ed Ederson, e non è detto che tutti i portieri debbano appartenere a quella scuola lì. Non è vero che tutti i centrocampisti davanti alla difesa debbano giocare come Busquests, non tutti i nueve devono essere sempre falsi. Credo che in un momento di transizione sia anche necessario impostare alcuni punti fermi e su questo Ancelotti può darci una mano: i difensori difendono, i portieri parano, i terzini terzinano. Come a dire: il gioco di posizione è un gioco non il gioco.

Karnezis

A questo punto vorrei prendermi due secondi per parlare della scelta di Karnezis come secondo. È la classica scelta didattica che mi vede tendenzialmente d’accordo come approccio. Il secondo portiere, nella mia idea, deve essere prima un buon coach e sono sicuro che sia stata questa la motivazione che ha portato la società ad acquistarlo. C’erano sicuramente dei portieri visibilmente più adatti all’insegnamento, ma non potremo mai conoscere profondamente le qualità umane di Karnezis in allenamento. Perciò, credo che in questo caso dovremo sospendere per un po’ il giudizio su di lui.

Detto questo: stando alle parole di De Laurentiis la campagna acquisti del Napoli continuerà su questa falsariga, lui è un uomo di teatro ma non credo abbia chissà quale colpo in canna al momento. Credo davvero che faremo qualche altra operazione di contorno e ci muoveremo in altre direzioni solo in caso di contingenze estreme, alla luce di questa realtà vorrei chiedere ad Alessandro di chiudere con una considerazione: è questa la campagna acquisti che ti aspettavi? Si tratta della campagna che intimamente desideravi? E soprattutto: è stata, fino ad ora, la campagna acquisti giusta per il Napoli di Ancelotti?

Ancora: vivendo quotidianamente la città la mia impressione è che si viva un’aria di generale delusione, acuita forse dall’arrivo dell’innominabile di questi giorni e non ho ancora deciso se darle ascolto o se ignorarla del tutto. Tu come ti poni nei confronti di questo spettro che aggira sulle nostre teste, che, non so se lo riconosci, è lo spettro del GRANDE NOME.

Il messaggio di quest’anno è meno evidente

AC: Mi prendo la libertà di iniziare dalle domande meno scomode. La risposta è sì, ragionando per grandi linee è il mercato che mi aspettavo, e in un certo senso anche quello che desideravo. Fabian Ruiz e Verdi sono giocatori che vorrei sempre nella mia squadra, ancor di più se l’allenatore si chiama Carlo Ancelotti. Dalle prossime settimane mi aspetto giusto un completamento numerico della rosa e poco altro.

Prima di parlare del grande nome, però, c’è dell’altro. Mi piace essere pignolo e voglio ragionare su un dettaglio, forse irrilevante, che segna una grossa differenza rispetto all’estate scorsa: se un anno fa, di questi tempi, si delineava una strategia chiara, definita (il famoso “patto per lo scudetto”: mantenere l’ossatura della squadra per fare all-in sul campionato 2017-18), quest’anno il messaggio è meno evidente. Sia chiaro, ne faccio una questione di indirizzo, di narrazione. Sotto questo aspetto il nome del tecnico rischia di stonare rispetto ad alcuni acquisti.

Torino

L’anti-Meret, il fantasma, il GRANDE NOME

In linea di massima condivido il discorso di Charlie sulla percezione del talento legato all’età (esagerando: il talento dovrebbe valicare i limiti anagrafici), ma voglio entrare più concretamente in questioni di campo. E allora ragiono: quando si investe su un giocatore come Meret – per dirne uno giovane, bravo, ma non già un campione – si sta implicitamente accettando che un domani il valore della squadra (non necessariamente in senso economico, ma tecnico e sportivo) sarà più alto di quello attuale  – indipendentemente dal livello attuale, e a meno di incidenti di percorso.

Il Napoli, com’è giusto che sia, e come ha quasi sempre fatto, sta lavorando per provare a ottenere risultati concreti oggi (Ancelotti) senza compromettere il suo futuro a medio termine (Meret, Ruiz ecc). Si tratta, probabilmente, dell’unica strategia societaria percorribile sul lungo periodo. Ma immancabilmente per qualcuno l’all-in della scorsa estate (un caso isolato nella storia recente del club) era più stimolante. Per questo – e mi avvicino al fantasma che aleggia sulle nostre teste – in città si percepisce il desiderio di portare (o riportare?) a Napoli un giocatore già fatto e finito, anche se over-30, anche se lo stipendio dovesse essere il più alto della rosa. In questo modo, si vorrebbe alimentare ulteriormente il senso di upgrade dato dal nuovo allenatore.

Io, a dirla tutta, penso che un acquisto di questo tipo al Napoli possa sempre tornare utile. perché si può sempre crescere, soprattutto da un punto di vista tecnico. L’investimento, però, sarebbe davvero un valore aggiunto a patto di inserire in rosa un calciatore che, per esperienza e disponibilità – preferibilmente anche carattere –, possa essere “un Ancelotti”, inteso come upgrade narrativo e di immagine oltre che tecnico-sportivo.

Ancelotti

Un Ancelotti

A me, infatti, questo gruppo così composto non dispiace affatto. Anzi, provo a girare il pensiero – sotto forma di domanda – ad Alfonso, che sta seguendo da vicino il ritiro a Dimaro. Voglio dare per scontato che arrivi un terzino destro per riempire lo slot lasciato libero da Maggio. Dopodiché: si parla tanto di mercato, in entrata e in uscita, ma – considerando il rientro dei “mondialisti” –  è tanto peregrina l’idea di lasciare la rosa così com’è? Al netto di possibili difficoltà di alcuni elementi (come spiegavamo nel pezzo precedente) e di eventuali problemi di abbondanza (soprattutto in attacco).

Noi, gli altri e l’effetto-Ronaldo

AF: Mi lasci con una brutta gatta da pelare, ma in un film che adoro un vecchio boss della mafia diceva «this is the business we’ve chosen». Quindi, sono nel ballo e mi tocca ballare (altra cit.). Vorrei scomporre la cosa secondo due chiavi di lettura concatenate, che interagiscono tra loro: gli altri e noi stessi. La percezione comune rispetto agli altri è che questa squadra debba essere “potenziata” di rimando, perché nel frattempo la Juventus ha comprato Cristiano Ronaldo. Non c’è progettazione logica o strutturale, non c’è contestualizzazione tecnica dietro questa frase. È così e basta: per un Ronaldo deve arrivare un Cavani (o equipollente). Come se si giocasse un campionato del calciomercato, che va vinto o comunque anche solo giocato a prescindere.

È una cosa (un’altra) tutta italiana, è una narrazione che ci piace e da cui non riusciamo a staccarci. Anche se il Napoli è numericamente completo (anzi, in attacco è addirittura sovrabbondante in tutti gli slot), noi ci sentiamo in dovere di prendere il top-player. Il top-player offensivo, per la precisione. Per carità, Cavani rappresenterebbe un upgrade tecnico rispetto a quasi tutti i centravanti del mondo, e per il Napoli sarebbe un’ulteriore iniezione di fiducia ed entusiasmo – in questo senso mi riconosco perfettamente nel ragionamento di Alessandro quando scrive “un Ancelotti”, oppure quando dice che “si può sempre crescere”.

Solo che il Napoli – e qui lascio il mondo degli “altri” ed entro in quello del “noi stessi” inteso come consapevolezza del contesto – ha un progetto chiaro e delineato, accettato da Ancelotti e dal suo staff per quello che è, non per quello che potrebbe essere. L’ho letto negli occhi e nella prossemica e nelle frasi di Davide Ancelotti, allenatore in seconda del Napoli e figlio di Carlo, nell’intervista che ci ha concesso a Dimaro; l’ho saputo da fonti interne; si percepisce durante gli allenamenti e nelle dichiarazioni ufficiali. Della serie: Carlo Ancelotti è impazzito del tutto, ed è una cosa improbabile, oppure – ecco che ti rispondo – crede che questa squadra possa essere competitiva così com’è. Quindi, il suo calcio si veste addosso a questa rosa. Senza indossare il cilicio mentale del calciomercato che la Juventus ha acquistato Ronaldo.

Ancelotti

Da cosa deduciamo che non è impazzito? Dai che è facile

Per quanto riguarda il grande nome, secondo me, la situazione è semplice: il Napoli e Ancelotti sono partiti da questa rosa, e la stanno valutando per ogni aspetto, così da capire insieme se questa fiducia è ed è stata ben riposta. È un discorso che vale per Milik, per Mertens, per Inglese, ma anche per Diawara, Hamsik, Hysaj e tutti gli altri. Credo a De Laurentiis quando dice che le amichevoli da qui ad agosto serviranno a cancellare – in un senso o nell’altro – i dubbi dell’allenatore su questo gruppo; nel frattempo, gli altri club (a iniziare dal Real Madrid) avranno iniziato a muoversi e a muovere il mercato.

A quel punto, il Napoli avrà valutato la propria rosa e potrà scegliere se restare così oppure attuare una nuova rivoluzione. Ci sarebbe meno tempo a disposizione, certo, ma almeno il tempo è equo, è uguale per tutti. Per prepararsi a questa eventualità, qualche contatto esplorativo c’è stato – secondo me proprio con Cavani – ma il punto non è il nome, quanto il suo peso, il senso tecnico dell’operazione. L’attesa coatta è il destino di un club finanziariamente medio-borghese, seppure di alto livello tecnico, come il Napoli.

Ancelotti, di certo, sarebbe più felice con l’attaccante uruguagio in rosa. Allo stesso tempo, però, ho ragione di credere che Carlo abbia comunque fiducia in questa squadra, in un reparto d’attacco che l’anno scorso ha messo insieme 54 gol – con Milik fuori uso da settembre a primavera.

Arek gioca benissimo a calcio

Ecco, il centravanti polacco potrebbe rappresentare un’incognita di tipo fisico, viene da due infortuni lunghi, complessi. Anche questo, indubbiamente, incide sul nostro retropensiero per Cavani, ma se ragionassimo così non potremmo uscire vivi dall’analisi del calcio e dei calciatori. Tra l’altro, il Napoli ha altri due attaccanti in organico – Inglese e Mertens – già sperimentati nel ruolo di prima punta. E che sono pure molto diversi tra loro, dal punto di vista fisico e tattico.

Per tutti questi motivi, la richiesta di un quarto attaccante centrale è priva di una reale logica, se non torniamo ai discorsi “emotivi” e “narrativi” di cui abbiamo già parlato sopra. E se non vogliamo parlare di psicosi.

Non c’è alcun bisogno di farsi prendere dall’ansia

Gli altri reparti, al netto del terzino destro che manca (e che arriverà, Arias mi sembra un profilo vicino al calcio di Ancelotti), sono numericamente completi, già chiusi rispetto alle dinamiche di calciomercato. C’è l’enigma terzo portiere, io sarei tentato da Ochoa (è stato il mio capitano in un’avventura su Football Manager col Fulham, tra l’altro una carriera senza vittorie di rilievo, quindi tra le più belle in assoluto) e anche De Laurentiis sembra di quest’avviso, vuole un estremo difensore che possa giocare ad alto livello ma anche accontentarsi di un ruolo da comprimario. L’infortunio di Meret ha complicato i piani, in questo senso.

Partendo proprio da questo punto, è impossibile non guardare alla realtà dei fatti: siamo al puro tecnicismo delle alternative, e l’unica cosa di cui possiamo discutere, se volete, è il tentativo di upgrade di cui abbiamo parlato sopra, quello del grande nome.

Qui lascio la palla a Charlie, che poi andrà a chiudere rispondendo a una domanda complessa (mi perdonerà, povera stella): tu hai agitato per primo lo spettro del GRANDE NOME, ma questo grande nome è per forza quello di un centravanti? Te la sparo brutale: ma un esterno associativo di grande livello, a destra, al posto di Callejon, non avrebbe un impatto potenzialmente maggiore sul Napoli di Ancelotti che sta nascendo? Puoi anche rispondermi di no, puoi anche parlare di un altro slot in campo. Ma se ti conosco un po’, so che non lo farai.

(non) Aver bisogno di Cavani

CR: Verissimo: sono stato il primo a tirare in ballo lo spauracchio del grande nome e ti risponderò prima su quello, sul senso che per me avrebbe questa operazione. Perché sono d’accordo con te: il Napoli, restando nel piano razionale della realtà: quello dei numeri, della tecnica, della tattica, non avrebbe bisogno di Cavani. Il punto è che il calcio è un’equazione complessa di cui non conosciamo ancora a pieno tutte le variabili. Ci sono i ventidue in campo, le sei sostituzioni, i due allenatori e questo è il livello di astrazione a cui ci fermiamo di solito nelle nostre analisi.

Però intorno al campo da gioco, sui bordi del rettangolo oltre l’area tecnica ci sono una serie di variabili impazzite il cui peso non possiamo conoscere davvero: sto parlando dell’entusiasmo di una tifoseria che, per fortuna, non è formata solo da noi tre, dell’aria che tira intorno ai calciatori, delle opinioni dei giornalisti che scrivono continuamente su di loro, insomma: sto parlando dell’energia che una squadra può raccogliere dalla città che la accompagna. E sarebbe un errore grave mettersi completamente ad ignorarla.

Ecco: Edo De Laurentiis disse una frase che ho sempre trovato molto intelligente e coraggiosa. Era il giorno della presentazione di David Lopez, secondo anno di Benitez, e in quei mesi si percepiva nell’ambiente la stessa aria di infelicità che si respira oggi, in seguito ad una campagna acquisti senza alcun grande nome. Durante la conferenza, rispondendo ad un giornalista che gli riportava il malcontento della piazza lui disse: “dei tifosi ce ne può fregare e non fregare”.

Youtube è un mondo fantastico, tanto che esistono anche i videoskills di David Lopez

Ecco, trovo giustissima la scelta di ignorare i tifosi. Perché i tifosi hanno il problema di essere sconvenienti, fastidiosi o infantili. Preoccuparsi troppo del loro umore può portarti a fare scelte irrazionali, stupide o direttamente sbagliate. Contemporaneamente però estraniarsi del tutto dalle loro voglie significa tirar fuori dall’equazione un asset molto importante all’interno dell’economia di una squadra. Per questo trovo la frase di Edo molto interessante: i tifosi vanno messi da parte e contemporaneamente ascoltati. Il loro umore va sondato, poi eventualmente ignorato. Quell’anno facemmo l’errore di non ascoltarli e ne venne fuori una stagione stramba, prima a livello di entusiasmo dell’ambiente – che fu molto altalenante – e poi di risultati.

Non voglio mettermi a frignare: per quanto mi affascini l’idea non è che Cavani sia necessario. Vorrei solo che il Napoli riuscisse ad entrare più in contatto con i suoi tifosi, spiegando le ragioni delle sue (spesso validissime) scelte utilizzando un dispositivo comunicativo che non passi attraverso la personalità un po’ istrionica del suo presidente (perché De Laurentiis sa essere molto bravo a comunicare ma anche molto bravo a far arrabbiare chi lo ascolta). Facciamo così: se dei tifosi ce ne deve fregare e non fregare allora per ora siamo un po’ fermi alla fase in cui non ce ne freghiamo e basta. E, per tornare alla formula di Edo, in questo discorso Cavani c’entra e non c’entra.

Un burlone

Ora torno un attimo al calcio giocato e rispondo alla tua domanda sull’ala destra: se mai volessimo seguire la strategia del colpo mediatico allora, dopo la prima punta, il ruolo più indicato sarebbe quello. Perché al momento quello slot è ricoperto da un giocatore fortissimo ma la cui bravura è molto difficile da notare in tv e il cui impatto col calcio di Ancelotti è tutto da verificare (parlo chiaramente di Callejon) e che ha come sostituto quello che, ad oggi, è l’elemento più insondabile della rosa (Ounas).

Sicuramente un’ala destra associativa ci farebbe molto comodo: io e te abbiamo straparlato di Suso (che purtroppo non arriverà) ma neanche lui sarebbe il colpo ad effetto che riporterebbe l’entusiasmo. Se dovessi spostarmi sulla fantascienze mi costringerei a pensare a soluzione più esotiche: penserei a Salah, a Fekir, a Mahrez. Sono colpi estemporanei che neanche mi convincono: né infiammerebbero la piazza né porterebbero quell’associatività che ci manca e che rende le nostre due catene troppo asimmetriche.

Faccio questi nomi anche per evidenziare una cosa: sono tutti giocatori trattati o acquistati da squadre di Premier League che giocano uno sport diverso dal nostro quando parliamo di rapporti di forza. Lo faccio per evidenziare che mettersi a competere su un campo da gioco che non ci appartiene può essere un’operazione pericolosa. Il punto è che sì, l’ala destra associativa è un profilo che manca in questa rosa. Ma dubito che coi nostri mezzi possa arrivarne una capace di farci finire in prima pagina su un qualche quotidiano.

Anche se Fekir potrebbe funzionare

E allora qua è evidente la nostra debolezza comunicativa: di chi è la colpa di questo malcontento? Dei giornalisti che non riescono a spiegare bene i limiti del Napoli? Dei tifosi che non riescono ad accettarli? Del Napoli che è ambiguo quando espone le sue strategie al pubblico? Dal mio punto di vista sento di poter dare la colpa ad un mix di questi fattori. Anche se contemporaneamente mi sembra di poter dire che proprio con Ancelotti siamo riusciti a fare dei passi avanti anche in questo. Ad oggi il Napoli mi sembra molto più consapevole dei propri limiti e della validità delle sue scelte, anche quelle più controverse.

Ovvio che la strada è ancora lunga e prima di poterci liberare della fantasia messianica ci toccherà ancora di raccontare altri mille avvistamenti di Cavani a Capodichino. Ma Capodichino è anche quel luogo di Napoli in cui i tifosi accompagnano la squadra quando vince le partite, e gioca bene. Ecco, questo deve essere l’obiettivo primario. Finora abbiamo scritto di come Ancelotti proverà a realizzarlo dal punto di vista strategico, progettuale, tra organico pre-esistente e mercato in entrata/uscita. Dobbiamo ancora parlare di tattica pura, ma ci prendiamo un altro po’ di tempo per riflettere. Per vedere cos’è questo nuovo Napoli, prima di provare a spiegar(ce)lo. Ci sentiamo presto.

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