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Per la Gazzetta Sarri e Gattuso sono sempre classe operaia

Lo stereotipo è l’architrave del giornalismo. Puoi essere un innovatore nel calcio, oppure riportare in vita una squadra in coma. Sarai sempre fuori posto se non hai l’eloquio forbito e non ti vesti come si deve

Per la Gazzetta Sarri e Gattuso sono sempre classe operaia

Un film del 1971

La classe operaia. Quella che Elio Petri mandò in paradiso. Era il 1971, quasi cinquant’anni fa. Era mesozoica. Ludovico Massa che scopre e sperimenta su di sé l’alienazione del lavoro, della catena di montaggio. Uno spaccato drammatico e realistico di una condizione lavorativa e sociale, reso immortale da Gian Maria Volontè. Uno slogan che il giornalismo spesso prende a pretesto. Lo fa anche oggi la Gazzetta che appiccica quest’etichetta addosso a Gattuso e a Sarri. Non che sia un’offesa essere classe operaia. Ma che c’azzecca, direbbe quel tale?

Visione stereotipata

Classe operaia soltanto perché i due preferiscono un linguaggio diretto, talvolta crudo, a uno forbito? E, di conseguenza, la domanda è: quale sarebbe la classe dirigente tra gli allenatori? Parliamo di un allenatore, Maurizio Sarri, che sarebbe quantomeno un operaio altamente specializzato, un innovatore, non certo un ingranaggio della fu catena di produzione. Né tantomeno nessuno dei due ha subito un incidente sul lavoro? Siamo ancora alla tuta che da noi continua a occultare un gioco – nonché dei risultati – che ha attirato l’attenzione di un certo signor Abramovich? Pare di sì.

E che dire di Gattuso che si porta ancora dietro il soprannome Ringhio? Il suo Milan, seppure in fase calante, ha vinto a Roma dominando la squadra di Di Francesco, ha battuto la Lazio, ha perso allo Stadium contro la Juventus dopo averla messa sotto sul piano del gioco. Ma è e sarà sempre un operaio. Ossia uno di quelli che in fondo si trova lì per caso, perché la sua naturale  posizione nel calcio sarebbe un’altra. Come Sarri che sta lottando per il campionato, che è voluto dal Chelsea, che ha portato il Napoli tre anni consecutivi in Champions. E che, chissà perché, il giornalismo italiano si ostina a considerare uno fuori posto.

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