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Sarri, cambiamoci prima della morte

Napoli e il culto dei defunti. I morti vanno sempre vestiti, “nun se po’ mai sape’ che succede”. Quindi, Maurizio, facciamoci trovare pronti

Sarri, cambiamoci prima della morte
Totò 47 morto che parla

L’addetta alla vestizione

Quando avevo circa quattordici anni morì uno zio di mio padre. Addetta alla vestizione era, da sempre, un’altra zia paterna, dirigente in carica del banco lotto rionale, che – seppi all’epoca – vestiva tutti i morti familiari e, su richiesta, anche quelli rionali. Si chiamava Maria e un giorno le chiesi a che servisse vestire uno che era ormai stecchito. Ricordo come fosse ora la risposta: “E che vuol dire? Uno è muorto ma nun se po’ mai sape’ che succede”.

Una risposta analoga la ebbi, qualche anno fa, mentre visitavo il Cimitero delle Fontanelle con i miei figli. La mia maggiore chiese ad un addetto al luogo sacro perché spolverasse una capa di morto. “Pure ‘e muort s’anna cagna’” fu la risposta.

Maurizio, la morte è una gran seccatura. Ma in una città di non morti come Napoli una legge naturale è chiara, ovvero che morire senza cambiarsi non è reato, ma è peccato. È uno sciupare una occasione, un tradire l’enigma della natura convincendosi di saperne più del caso.

Cambiamo. Cambiamoci. E poi, se moriremo, amen. Ma pure è un fastidio farsi trovare con la biancheria sporca, ove mai dovesse succedere qualcosa. Come diceva Zia Maria.

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