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Le parole di Allegri demistificano il ruolo e l’importanza dell’allenatore

Una (ri)lettura della lite Adani-Allegri, alla luce delle teorie del tecnico bianconero. È un conflitto infinito, irrisolvibile, tra il calcio dei soli risultati e quello delle idee.

Le parole di Allegri demistificano il ruolo e l’importanza dell’allenatore
Photo Matteo Ciambelli

Le parole di Allegri

Il postpartita di Inter-Juventus resterà nella storia, nei giorni di “Infinity War” al cinema è andata in onda la faida tra Massimiliano Allegri e Daniele Adani. Ovvero, tra i due rappresentanti di schieramenti ideologici nettamente contrapposti. Da una parte c’è l’esaltazione totale, assoluta, del pragmatismo; dall’altra, il calcio pensato e allenato come sviluppo di un’idea. Ne abbiamo parlato qui, in questo pezzo c’è anche il video che riprende il passo “incriminato” dell’intervista di Allegri.

Vi riportiamo parte dell’intervento del tecnico bianconero: «Il calcio è diventato troppo teorico. Troppi schemi, alla fine sono i giocatori a vincere le partite. Sennò Messi non vale 250 milioni, Ronaldo 200 e Higuain 100. Noi veniamo al campo a vedere il gesto tecnico, bisogna dare organizzazione difensiva e poi far giocare. La troppa teoria è il male del calcio italiano».

Una teoria interessante

È un punto di vista suffragato dai fatti, del resto Allegri ha vinto e vince ininterrottamente da tre anni con la sua Juventus. Ed è ancora in testa a questo campionato. Per evidente superiorità tecnica, esattamente come ha spiegato il suo allenatore. Che in questo modo, però, finisce per svilire la sua stessa professione, intesa come lavoro sul campo. È una questione semplice: Allegri dice che vinceranno sempre i calciatori migliori, i più forti, quindi i più costosi. Il contributo del tecnico è limitato all’impostazione della squadra dal punto di vista difensivo, al resto ci pensa la tecnica dei campioni. 

Può anche essere vero, ma allora a questo punto il ruolo dell’allenatore cambia. Diventa un semplice gestore, anzi un perfetto selezionatore. È una teoria interessante, che ha una sua validità storico-contestuale, che è reazionaria rispetto all’evoluzione moderna del gioco. Secondo cui lo sviluppo di un ‘idea, o meglio di una serie di principi tattici (il gioco di posizione di Guardiola, i ritmi altissimi e le transizioni di Klopp, lo stesso camaleontismo di Zidane a Madrid, l’iperdifensivismo di Simeone), identificata con le teorie di un tecnico, può aumentare il rendimento di una squadra.

Un conflitto infinito

Nessuno, come vedete, ha parlato del Napoli o di Sarri. Che, per Allegri, rappresentano un metro di paragone scomodo – del resto sono ancora in lotta per lo scudetto – perché esattamente opposto alla concezione pragmatista del gioco. La Juventus – di Allegri – ha vinto e probabilmente vincerà ancora contro questo tipo di approccio sensibile al calcio, questo è un merito che Allegri vuole sottolineare in una serata che l’ha visto uscire vincitore. Ma che però non giustifica altre prestazioni finite nel mirino della critica, magari contro squadre di livello più basso. Si pensi al Crotone, alla Spal, alla pessima partita giocata contro il Napoli.

È un conflitto potenzialmente infinito, che erge il tecnico della Juventus a un demistificatore della sua stessa categoria professionale. Piaccia o meno, Allegri parla e pensa e vince così. In controtendenza rispetto a una fetta di analisti calcistici (Adani in primis) e addetti ai lavori (altri tecnici) che fondano il calcio sul primato delle idee. Ognuno può scegliere da che parte stare, molto probabilmente gli allenatori non potranno e non potrebbero stare dalla parte di Allegri. Perché non tutti possono allenare la Juventus, non tutti riescono a farlo. Ma restano importanti nella costruzione di una squadra, eccome. Il nostro punto di critica sulle parole del tecnico bianconero – oltreché su un azzardato e sbagliato paragone col basket, ma è roba laterale – è tutto qua.

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