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Gli ultras del Lipsia sventolano la bandiera di Bach

Nella curva della Red Bull Arena, troneggia la faccia del cittadino di Lipsia più importante della storia. Ve la immaginate una bandiera di Leopardi al San Paolo?

Gli ultras del Lipsia sventolano la bandiera di Bach
La curva del Lipsia, la bandiera di Bach

Europa

Ieri, mentre salivo le gradinate della Red Bull Arena di Lipsia, mi chiedevo se la mia idea che il Napoli debba sempre coltivare l’ambizione dell’Europa – evitando l’errore fatale di viverla come un inutile guasto – non fosse figlia del fatto che la mia vita personale si svolga lontana da Napoli e l’Italia ormai da un decennio.

E, proprio mentre mi convincevo della natura tutto sommato egoistica di questa mia prospettiva, mi sono accorto che dalle gradinate della curva dei padroni di casa sventolava una bandiera che non avevo mai visto prima: un Johan Sebastian Bach in versione pop, con occhiali alla Blues Brothers.

Simboli

Ho dovuto prestare attenzione per convincermene. Convincermi che fosse così: gli ultras del Lipsia sventolano, per novanta minuti, il loro concittadino più famoso, oltre che il musicista più influente della storia dell’umanità. Un simbolo del mondo e del contributo fondamentale che al mondo questa città ha portato.

Per fare un paragone, è come se gli ultras del Napoli sventolassero un Giacomo Leopardi punk o un Giambattista Vico in camicia hawaiana, ovvero l’esatto opposto dei messaggi criptici di alcuni striscioni e di diversi cori che si stendono e si ascoltano dalle nostre parti.

Se vuoi giocare in Europa hai bisogno di simboli che identifichino una comunità in un contesto più ampio, devi trovare canali di comunicazione che ti connotino ma ti rendano anche comprensibile a gente che non parla neppure la tua lingua. Persino una bandiera di Massimo Troisi puoi sventolarla in uno stadio a Ferrara o Milano, ma già a Vienna ti comporta seri problemi di incomunicabilità.

Oltre uno scudetto

Su quella gradinata – dove ho assistito ad un’ottima gara, divertente e appassionante, dalla quale usciamo rincuorati, per una possibile lezione imparata, ma a testa bassa, come d’obbligo in ogni sconfitta – mi è stato confermato che l’Europa è la nostra casa. Questi sono i linguaggi cui dobbiamo renderci adusi, che dobbiamo sfidare, le competizioni alle quali dobbiamo fare la bocca e portare le nostre chiavi interpretative.

Anche uno scudetto, confinato nel perimetro di una manciata di codici di avviamento postale, può consumarsi velocemente. Può essere una banale rivalsa, laddove serve strada per il domani. Ieri mi è parso che questa sensazione l’abbiano provata anche gli undici azzurri, mentre bucavano la porta sotto gli occhi dell’uomo che scrisse le Variazioni Goldberg.

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