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La solitudine di Allegri (che non è l’ultimo degli allenatori, anzi)

Massimiliano Allegri è un gestore, un tecnico di compromessi che ogni anno scopre come vincere. E vince, perché è bravo e ha la squadra più forte. Per alcuni non basta, però.

Napoli in love

Che Napoli viva una storia d’amore con Maurizio Sarri, è sotto gli occhi di tutti. Ci sta, assolutamente. Gioco, risultati, mancherebbe un successo di quelli che entrano nella storia e allora sarebbe Storia. Cioè, come Maradona. Ma stiamo divagando, per il momento l’amore c’è, è palpabile e visibile. Altri luoghi, storie simili: Spalletti per la Milano nerazzurra, da un po’ anche Di Francesco a Roma. Piazze volubili, complicate, forse anche più di Napoli. Per il momento, you can feel the love. E poi c’è Allegri.

Strana storia, quella di Allegri. Per noi, lo premettiamo, è un allenatore diverso. Da Sarri, da Spalletti, da Di Francesco. Ha un background e un compito differente, diciamo così. Ci sentiamo vicini al pensiero dello juventino Antonio Corsa che ieri ha pubblicato un articolo su mele (Allegri) e pere (Sarri), scrivendo alcuni concetti forzati e altri su cui concordiamo. Tipo questo:

Come avrò scritto decine di volte, giocare in/allenare una squadra con l’obiettivo unico di vincere e fare la stessa cosa in una squadra con l’obiettivo di “fare bene”, sono due sport diversi. Nel nostro esempio, mele e pere.

Visto che ci siamo, scriviamo anche delle cose su cui non concordiamo. Corsa scrive che chi deve vincere «non ha tempo per sviluppare giovani, a possibilità di rischiare qualcosa a livello di risultati per continuare comunque a sviluppare il proprio gioco». Ecco, non è effettivamente così. La storia è piena di riscontri altri: non vogliamo arrivare a Sacchi, Cruijff o Guardiola, possiamo limitarci a Van Gaal, anche Ferguson e Wénger se vogliamo. Terre di mezzo, ma siamo lontani dal concetto di gestore e basta.

Dopo Conte

Allegri, appunto, è un gestore e basta. Gioca per vincere, solamente per quello. Mentre ci riesce, perché ci riesce, sta cercando di dare alla Juventus un’impostazione diversa. Anche perché Bonucci è già andato via, Barzagli va verso il ritiro come Buffon, Chiellini inizia a sentire il peso degli anni. Cambiano i giocatori, cambia il modo di giocare. Allora ecco una campagna acquisti improntata sul talento offensivo, una mezza rivoluzione. E una squadra da risistemare, questo obiettivo non è ancora stato centrato. Ma sono stati centrati tre double di fila e due finali di Champions. Quelle sono state perse, però sono tanta roba.

Non per il tifoso della Juventus. Ecco, il punto è questo. La condanna al risultato del tecnico che siede sulla panchina bianconera, chiunque egli sia, è quella di “vincere”. E “vincere”, nel caso di Allegri, neanche può bastare. Perché non ha ancora vinto in Europa, quindi non ha fatto meglio del suo predecessore. Che, oltre ad aver iscritto nuovamente la Juve al club delle grandi, aveva anche il pregio/vanto di essere juventino doc. Antonio Conte, per noi, è una delle cause per cui Allegri è ancora nel limbo del tifoso juventino.

Dopo sette trofei (una sola Supercoppa Italiana) e due grandi campagne di Champions, Max non ha ancora fatto breccia nel cuore del tifo bianco e nero. Vincere non è mai facile. A lui è riuscito. Ode a lui? No, almeno per i tifosi della Juventus, perché manca la Champions. E manca anche la garra di Conte, la sua grinta juventinizzante. E manca anche un gioco realmente convincente, o comunque attraente (vedi Sarri). Vincere non è l’unica cosa che conta (o che Conte), evidentemente. Conta anche cosa si vince, e come si vince.

Allegri non è l’ultimo degli allenatori, anzi

Allegri è un uomo solo. Ha il sostegno della proprietà (dopo Cardiff rinnovo a cinque stelle), ma non della tifoseria. Qualcuno dice che anche lo spogliatoio nasconda qualche crepa. Il caso-Bonucci, poi. E Dani Alves. Insomma, allenare la Juventus non è facile. Allegri ci sta riuscendo nella maniera giusta, che vuol dire vincere. E poi rileggete sopra, tra le righe: il tecnico livornese sta gestendo un momento complicato, di transizione, di ricambio generazionale. Sta provando a cambiare anche le idee, nel frattempo, ma a Torino le rivoluzioni culturali non sembrano ben accette. A meno che non siano corroborate da risultati.

È proprio questo, il punto. Allegri è il capitano di una caravella che sta rinnovando l’equipaggio, e che naviga in un mare sempre in tempesta. Deve vincere, ma ogni anno (rivoluzioni di mercato) deve scoprire come fare. Deve vincere, ma non sa se può riuscirci cambiando modo di pensare calcio, di stare in campo. Prendi la stagione post-Berlino, quella della rimonta sul Napoli: inizio con difesa a quattro, tentativo di calcio verticale e difesa alta, poi ritorno alla Bbc dopo critiche disumane. Vittoria, perché la Juventus era (è) nettamente più forte di tutte. Ma vittoria dei e con i compromessi.

I compromessi, esatto. Qui c’è la forza di Allegri. Il suo calcio, la sua bravura. Non è un allenatore di campo o di idee, ma effettivamente un gestore. Che plasma la squadra nel modo migliore in base a ciò che c’è a disposizione. Che trova la formula giusta, non la inventa. Ecco, probabilmente è questa la sua natura. Per questo è ancora lontano, nell’immaginario collettivo, da chi ha vinto facendo qualcosa in più. Guardiola, ma non solo: si pensi ad Ancelotti con Pirlo regista, si pensi a Zidane con il centrocampo a tutta tecnica, a Mourinho con l’Inter difensiva e quattro attaccanti in campo. La situazione di prima, le terre di mezzo. A cui ci si presenta con un successo che possa andare oltre un campionato vinto con la squadra più forte. Allegri studia in questo senso, ma non ha ancora conseguito il master.

Indecisione

Allegri non potrebbe funzionare a Napoli. O meglio: dopo un triennio di Sarri, un gestore non sarebbe subito accettato. Anche perché il sistema con cui e per cui questa squadra reagisce al meglio è decisamente più strutturato rispetto al calcio di Allegri. È un altro sport, come scritto da Antonio Corsa. È ancora un altro sport. Proprio perché è un altro sport, Allegri va pesatogiudicato per quello che è. I numeri, le cifre e i successi sono decisamente dalla sua. L’indecisione è tutta di chi vorrebbe di piùancora di più. Ma la solitudine di Max è incomprensibile, a meno di considerare l’ambiente juventino come “difficile”. Strano, ma vero.

Come tutte e cose della vita, è questione di contestualizzazione. Allegri opera benissimo in questo senso, a Torino sono ancora indecisi su quale sia il piccolo mondo in cui Allegri deve operare. Quello della vittoria, della grande vittoria o della rivoluzione? In realtà non comprendono Allegri perché non si comprendono, o almeno non tutti. Allegri, nel frattempo, ha vinto. E ha vinto tanto. Domani sera ha l’occasione per rilanciare di nuovo al tavolo della vittoria. Per i gestori, conta solo quello. Per i gestori bravi, soprattutto.

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