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Italia fuori dai Mondiali. C’è poco da salvare, Jorginho che canta l’inno a squarciagola

Ho spento al fischio finale. Peggio del calcio italiano, c’è solo il vomitevole giornalismo calcistico italiano. La nostalgia per i preti di una volta. E quante certezze in giro.

Italia fuori dai Mondiali. C’è poco da salvare, Jorginho che canta l’inno a squarciagola

Azzurro tenebra

«È sempre sull’anima che bisogna giocare, si tratti del Papa, di Stalin o di un Bomber. Qualcuno chissà dove capirà» (Giovanni Arpino, Azzurro Tenebra)

Vado per flash, non sono ancora lucido.

Innanzitutto, il dopo partita: ho spento tutto. Peggio del calcio italiano, mi son detto, in queste serate c’è stato solo il vomitevole giornalismo calcistico televisivo italiano.

Accasciato sul divano ho cercato di risollevare il morale distrutto ma ho sbagliato musica, prima del blues americano ma deprimente (non è un giudizio di valore, ascolto molta musica deprimente, ieri sera però non era il caso). Poi sono passato a Pino: “È solo un giorno che non va”. ‘O cazz, Pino, qui i prossimi mondiali per me saranno quando mi approssimerò ai sessanta!

Visioni miste alla realtà

Complice un liquore a base di rucola (non c’era nient’altro di alcolico in casa), sprofondo in un sonno che avrebbe dovuto essere liberatorio mentre mi rifila un incubo, o meglio qualcosa a metà strada tra incubo e sogno, visioni miste alla realtà di pochi minuti prima ripercorsa per frame. Perché all’inizio vedo immagini entusiasmanti, che mi riempiono di orgoglio napulitano: Jorginho che si dà da fare – come è stato davvero – e poi i due commentatori che dicono che in pochi minuti il nostro centrocampista ha realizzato più verticalizzazioni di Verratti  in tutte le precedenti partite (anche questo è accaduto).

Inevitabilmente mi esalto. Segue: Jorginho che segna – e qui ci allontaniamo dalla realtà, ma come cazzo era bello! – e io che zompo sul divano mentre tutta Napoli, a partire dai miei vicini quasi sempre silenti, celebra il suo eroe con clacson e urla di gioia che nemmeno Cardiff; poi il triste ritorno al reale, non riusciamo a quagliare, Ventura non ci sta a capire più niente, De Rossi (omm) si rifiuta di entrare e urla che solo Insigne può segnare, ancora, i cross di Darmian, il ghigno di uno del Crotone che sta nella nazionale svedese (sic!), il fischio finale, il pianto di Buffon. Siamo fuori. Ventura tenta il suicidio, Tavecchio lascia l’Italia per riparare in Corea del Nord.

Il mattino dopo

Al mattino, sono di merda. Il caffè. Mi vesto e vado a lavorare. In auto, rimugino. Mi dico che siamo stati un po’ meglio delle altre volte ma ancora troppo poco “ostiensi” (per l’amor di Dio, lo chiedevo solo metaforicamente) e troppo “pariolini” per poterla vincere. Pensieri inutili.

Intanto, da una radio locale Gennaro Matino mi fa sapere che se ne fotte che l’Italia non si è qualificata: “Ben altre sono le qualifiche cui il paese dovrebbe aspirare!”, tuona il prete beat (anzi, bitt, per citare il Bertoncelli). Poi lancia una canzone di Pino Daniele: “Adatta alla giornata. Questa è ‘Chiove'”. E parte “QUANNO chiove”…

Che nostalgia di quando i preti facevano solo la messa.

Cambio frequenza. La radio nazionale dice che ci sono dubbi sul futuro sia di Tavecchio sia di Ventura: ma come? Qui non si dimette mai nessuno? E che miseria! Ma di molestate da questi due ne abbiamo?

Raggiungo sprazzi di lucidità verso le 10,00-10,30. Sono in ufficio e sulla scrivania ho “Azzurro tenebra” di Arpino, letto di recente, riposto in libreria eppure, chi sa perché, riappoggiato sulla scrivania dalla donna delle pulizie stamane.

(P.S.: grande dispiacere che stamattina lo citi Gramellini).

Chi ha messo lì Ventura?

In effetti, fare di Ventura il capro espiatorio mi è sembrato sin dall’inizio un po’ riduttivo, per così dire. Lui è un buon allenatore, una bella faccia operaia che ci racconta della provincia più fuori dai giochi di potere, ci dice di sano esprit provincial, anche se un uomo, certo, non all’altezza dell’impresa, lo sappiamo tutti da un po’ di tempo. Ma la colpa è solo sua? Chi l’ha messo lì, innanzitutto? Perché al suo posto non c’era, che so, Gasperini? Qual è lo stato del calcio italiano, nelle sue dirigenze, nei suoi apparati?

Il giuoco del pallone si evolve

Ventura è un uomo che si è fatto condizionare, mi dicono, ha voluto adottare un gioco “sprint”, affare non suo, solo per seguire la moda. Può essere. Intanto in Italia in questi anni è di fatto venuta fuori, grazie anche a Sarri ma non solo, un’altra concezione del calcio, “propositivo”, come ama dire Sacchi, in cui ci si diverte, si fa spettacolo, l’accento cade sul collettivo e sulla tecnica, che non vuol dire necessariamente mettere in soffitta l’aspetto epico di questo sport. Qualcuno parla di “guardiolismo”. Io dico che pure il giuoco del pallone si evolve e oggi anche nelle scuole calcio i ragazzi vogliono giocare così. Che ci sono talenti in questo paese, che Insigne è certo uno di questi. Florenzi un altro. Che non bisogna esagerare nel farne un nuovo pensiero unico ma che i tempi del grande Brera che santificava giustamente il catenaccio, per caratteristiche dei nostri giocatori fisiche di allora, dal dopoguerra fino ad almeno gli anni ’80, sono lontani, non siamo più quelli, cresciamo anche in tecnica, appunto ci evolviamo.

In ogni caso, è una querelle che non ci occupa, non può occuparci: Ventura non ha saputo proiettarsi in questa nuova dimensione (non ne era capace) ma nemmeno ha saputo mettere in campo il “gioco di sofferenza”, in cui ebbe ad eccellere la nazionale di quel gran motivatore che è Antonio Conte. Ha scelto il compromesso. L’ho detto, non è stato, innanzitutto caratterialmente, all’altezza.

Beati voi che avete le idee chiare

Perdonatemi, è poco, ma è il massimo della riflessione che riesco a fare. Non riesco davvero a prendermela con nessuno e – in tutta sincerità – questo voler individuare sempre un solo colpevole, vendicarsi , sfogare il proprio livore, questo manipulitismo avrebbe proprio rotto i coglioni a questo punto (per citare il maestro o comunque adeguarci).

Sono confuso? Beati voi che avete le idee chiare, che sapete sempre esattamente chi mettere in campo, che non vi viene mai un dubbio. Io so solo che ci sono cose belle di noi italiani, a sud non meno che a nord sia ben inteso, che questa propensione recente all’indignazione sta minacciando. E so che un fallimento può essere un’occasione. Di rinascita.

Per storia nostra recente lo si dovrebbe aver capito innanzitutto qui a Napoli, dove si è più tiepidi di altrove verso la nazionale, non solo quella di Ventura.

Un’immagine da salvare

Un’ultima immagine può spiegare meglio di questa pippa un po’ democristiana. Jorge Luiz Frello che canta a squarciagola l’inno. Certo, quelle note sono sempre state sovrastate in bellezza dal Verdi di “Va pensiero”, da “O surdato nnammurato” e da cento altri inni. Ma è pur sempre meglio di quella ciofeca che ci ostiniamo a cantare qui.

Siamo, dobbiamo essere orgogliosi di Frello: da lui, da Lorenzo da Frattamaggiore, da Gigio Donnarumma e qualcun altro potrà partire una nuova avventura, sapendo ed accettando quel che, pur cambiando concezioni di gioco e si spera rinnovando chi ci guida, siamo e sempre saremo: “metà dovere e metà fortuna”.

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