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Il mercato del Napoli, ovvero “squadra che arriva terza non si cambia”

Né con Sarri né con De Laurentiis. Fabio Avallone è il Giddens del Napolista, vara la terza via e dà ragione a Sacchi

Il mercato del Napoli, ovvero “squadra che arriva terza non si cambia”

Il mercato soporifero

Le previsioni del tempo parlano dell’avvento di Lucifero, l’anticiclone che sta portando un caldo torrido su tutta la penisola, ma da tifoso del Napoli sono più preoccupato dell’avvento di Morfeo, il Dio del sonno.

Il mercato di quest’anno, infatti, è (almeno sino a questo momento) soporifero, senza tormentoni, senza sogni di nuovi acquisti e senza incubi di cessioni. Sarri sul finire dello scorso campionato rivelò alla stampa di aver fatto alla società una sola richiesta: la conferma in blocco della squadra. De Laurentiis lo ha accontentato al 100%. Da Napoli non si muove nessuno e, come corollario, a Napoli non arriva nessuno (dove per “nessuno” intendo nessun giocatore in grado di innalzare il livello della squadra).
Massimiliano Gallo, in un pezzo un po’ provocatorio, si è augurato che sul Napoli si abbatta il ciclone di Mino Raiola, il re dei trasferimenti contestati. Una linea confermata anche in altri articoli apparsi sul Napolista (quello sul Liverpool, per esempio), anche se non manca (come sempre su questa testata) chi la pensa diversamente.

Ha ragione Sacchi

Io non mi schiero con nessuna delle due fazioni. Mi limito ad evidenziare qualche incongruenza che riscontro sia in chi è felice del mercato conservativo (e addirittura si spinge a pensare che questo sia l’anno buono), sia in chi indica nelle cessioni dei grandi club l’esempio da seguire. Partirò dal fatto che reputo insensata la richiesta di Sarri di confermare in blocco la squadra.
Per carità, la squadra gioca bene, siamo usciti sconfitti contro fior di avversari a testa alta, ci divertiamo a guardare i video di Super Sarri Bros e a contare il numero di passaggi consecutivi che finiscono con una marcatura. Ma siamo arrivati terzi in campionato, usciti in semifinale di Coppa Italia e agli ottavi di Champions League. Alcuni dei nostri giocatori più forti sono abbastanza avanti con gli anni (Hamsik, Mertens e Callejon hanno 30 anni, Reina ne ha 34, Albiol 31) e se riusciamo a tenere bassa la media è solo grazie agli acquisti che abbiamo effettuato con i soldi di Higuain. Non chiedere forze nuove, in queste condizioni, sembra il rovesciamento del mantra “squadra che vince non si cambia”.
Il Napoli 2016/17 ha giocato a tratti benissimo, ma non era una squadra vincente. Come ha giustamente sottolineato Sacchi in una recente intervista, cosa spinge, razionalmente parlando, a credere che la stessa rosa dell’anno scorso (un anno più vecchia) possa trasformarsi in vincente? Per quale motivo, in un campionato che si annuncia più competitivo dello scorso, il Napoli dovrebbe aver colmato il gap con Juventus e Roma (per tacere del Milan e dell’Inter che allo stato sono un’incognita)?
Si tratta di un ragionamento che non sta in piedi. Come non sta in piedi il desiderio di non cedere nessuno quando proprio dalla cessione eccellente di Higuain è nata la squadra che oggi si vuole conservare.

Facciamo cherry picking

Delle due l’una:
a) il Napoli dello scorso anno è più forte di quello con Higuain, quindi la strategia di vendere un pezzo importante per rinnovare la rosa è vincente e bisognerebbe augurarsi che Insigne o Hamsik – che però non ha mercato – vadano al Barcelona per tentare di crescere ancora;
b) il Napoli dello scorso anno si è indebolito rispetto a quello con Higuain, quindi non ha senso chiederne la conferma in blocco o, almeno, chiedere la conferma e contemporaneamente credere che sia l’anno buono.
Dall’altro lato non mi convince il ragionamento di chi vede nelle cessioni di Bonucci e Coutinho (e Neymar?) il modello da seguire. Se guardiamo alle strategie complessive dei grandi club e ci concentriamo solo sulle cessioni, facciamo cherry picking, ovvero prendiamo solo la parte del discorso che ci conviene.
Lo abbiamo già detto molte volte, il Napoli attualmente è una società che può contare esclusivamente sul proprio parco giocatori. Non abbiamo strutture, non abbiamo una società all’altezza, non abbiamo un settore giovanile, non abbiamo prospettive di lungo periodo.

Non siamo né l’Udinese né il Liverpool

Paragonare il Napoli al Liverpool è insensato. I Reds fatturano 3 volte il Napoli, giocano in Premier League, hanno una struttura societaria che non possiamo nemmeno sognare. Dunque a che pro paragonarli agli azzurri? Lo stesso discorso vale per gli altri grandi club coinvolti nelle grandi trattative di questa estate.
Il Napoli non è di quella categoria e con tutta probabilità non lo sarà mai. Da questo postulato nasce il corollario che gli obiettivi degli azzurri sono giocoforza diversi. Mai e poi mai (a condizioni immutate) potremo presentarci ai nastri di partenza con il ruolo di favoriti. Ciò non implica che la vittoria ci sia preclusa, ma se dovesse avvenire sarebbe perché si è riusciti a sovvertire l’ordine naturale delle cose. Sarebbe una vittoria come quella del Leicester o, per rispolverare qualche precedente italiano, come quelle del Verona e del Cagliari.
Il Napoli non può, a meno di follie in questo momento inimmaginabili, ambire al ruolo di favorita. Può cercare di rimanere nella parte alta della classifica, puntando ad una qualificazione Champions, ad aggiungere qualche Coppa Italia alla propria bacheca, sperando che un giorno gli astri si allineino e giunga la vittoria inaspettata.

La consapevolezza di De Laurentiis

Anticipo il commento che più volte segue queste considerazioni: siamo dunque l’Udinese del Sud? La risposta è no. L’Udinese ha un’altra ragion d’essere. Fa parte di un sistema internazionale di squadre che la famiglia Pozzo ha messo su allo scopo di far girare e vendere giocatori di belle speranze. Il risultato sportivo non interessa all’Udinese ed una stagione può dirsi vincente o meno non in base al piazzamento in campionato, ma in base alle richieste che pervengono alla società a fine campionato. Il Napoli non c’entra nulla con tutto questo.
Il primo ad esserne consapevole, naturalmente, è il Presidente De Laurentiis: «Chi dice che siamo favoriti lo fa soltanto per metterci pressione. Prima o poi lo vinceremo, meglio prima ovviamente che poi… ma poi andrebbe bene». Prima o poi, appunto, senza che ciò sia programmabile.
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