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La Terra dei fuochi dalle origini ad oggi e dopo 82 processi

L’allarmismo mediatico ha finito con l’ostacolare la focalizzazione dei reali problemi che tuttora persistono, come i continui roghi.

La Terra dei fuochi dalle origini ad oggi e dopo 82 processi

L’allarme sociale e l’enfatizzazione mediatico-giudiziaria

È fuori di dubbio che l’enfatizzazione mediatico-giudiziaria della questione “terra dei fuochi” e gli errori di approccio da parte della politica e del mondo scientifico abbiano causato profondo allarme sociale, dilapidazione di risorse pubbliche nonché danni diretti (alle imprese agricole ed agroalimentari, in particolare) ed indiretti (di immagine) all’economia di una intera regione.

Alessandro Barbano, direttore de Il Mattino, nel 2013 girò un video-editoriale, tuttora attualissimo, dal titolo L’allarmismo è peggio dei veleni: “la terra dei fuochi sta diventando il terreno su cui pentiti di camorra, capipopolo, giornalisti a caccia di scoop, politici dal consenso debole e ambientalisti dell’ultima ora stanno giocando una partita che nulla ha a che fare con il destino delle popolazioni, l’emergenza mediatica finirà per travolgere quella ambientale”. E così è stato.

Cercare di razionalizzare l’approccio e l’analisi di un problema quale quello della cosiddetta “terra dei fuochi” in epoca imperante di bufale, fake news, processi mediatico-giudiziari, click baiting, complottismo ed antiscientificità è compito quanto mai arduo. Cercheremo di farlo cercando di essere il più sintetici possibile attesa la complessità della materia.

Chi segue il Napolista sa che, nel merito, come nel calcio, è una testata fuori dal coro che ambisce a fare informazione senza badare al click baiting ma dando un suo punto di vista, su cui, ovviamente, si è aperti al confronto ed alla discussione. Anzi, lo scopo è proprio quello di stimolare una riflessione ed una discussione scevra da preconcetti.

L’origine

La questione, in origine, deriva da un toponimo assegnato ad una vasta area della regione Campania, la più densamente e disordinatamente urbanizzata: “terra dei fuochi”.

I “fuochi”, ovvero l’abbandono incontrollato di rifiuti sul territorio da parte di comuni cittadini ed imprese (per lo più artigianali) locali ed il loro abbruciamento. Tali pratiche hanno radici lontane. La prima deriva dalla atavica incapacità del campano di sentirsi parte di una comunità più larga di quella familiare, con la conseguenza di non sentirsi “comproprietario” della cosa comune. Il motivo è che la cosa comune è governata da un potere pubblico ed il potere pubblico, anche per ragioni storiche, dovuto alla prevalenza di dominazioni di altri, piuttosto che di un potere proveniente dal basso, è sempre stato visto come un qualcosa non solo di estraneo, ma anche di ostile.

Ecco che, dunque, quello che non è mio, o della mia famiglia, non è sentito come un qualcosa da rispettare e tutelare: ci devono pensare gli altri, i “politici”, gli “amministratori”.

Nel contempo, essendo totalmente assente il senso di “comunità” (se si esclude quello di “tribù” del tifo, del comitato, del clan etc.) del territorio ne faccio l’uso che voglio in quanto non sento di dover rispettare gli altri che ci vivono.

Ecco, dunque, che i rifiuti che produco in casa, o nella mia attività lavorativa, sono un qualcosa di cui disfarmi come meglio mi aggrada.

La pratica di bruciare i rifiuti

E qui entra in ballo la seconda atavica abitudine: quella di disfarsi dei rifiuti bruciandoli. Una pratica antica, addirittura consigliata nel passato per ridurre il volume dei rifiuti. La mancanza di consapevolezza circa la dannosità dei fumi originati da questa pratica, in presenza di rifiuti contenenti plastiche ed altri materiali artificiali, ha fatto il resto.

La problematica si è poi acuita con la presenza di campi rom i cui abitanti vivono di una economia di “recupero rifiuti” illegale, in particolare del recupero del rame da cavi elettrici e dello smembramento di elettrodomestici.

Nel 2012 i primi comitati, 82 i procedimenti giudiziari

Nel corso del 2012 la situazione, ormai insostenibile per la popolazione, portò alla nascita di comitati riunitisi, successivamente, a giugno 2012, in un “coordinamento comitati fuochi”.

Sin da subito, la protesta si è nutrita della linfa derivante dagli ottantadue procedimenti giudiziari e, particolarmente i più noti, mediatico-giudiziari legati al traffico di rifiuti.

Infatti, sulla scia delle dichiarazioni di un pentito, l’inchiesta sul traffico di droga nota come “operazione Adelphi”, avviata dalla Procura di Napoli nel 1991, dà il la al filone delle inchieste e dei processi sul traffico di rifiuti. Dal 1991 al 2013, come detto, sono 82. Tra questi il Napolista ha trattato più volte del processo Resit e, ultimamente, di quello denominato Carosello.

Il coordinamento comitato fuochi sceglie come sede Caivano e, guarda caso, proprio a Caivano esplode il più eclatante caso di sequestro di pozzi e terreni agricoli di cui il Napolista ha più volte reso conto

Il termovalorizzatore di Acerra

Ma non basta. Le cicliche crisi della raccolta dei rifiuti urbani in Campania, a partire dal 1994, con picchi nel 2001, nel 2008 e, per finire, nel 2013, mettono al centro dell’attenzione pubblica il tema dello smaltimento dei rifiuti.

Legata alle ricorrenti emergenze rifiuti è la decisione di costruire il termovalorizzatore ad Acerra. Il cantiere, che doveva partire nel 2001, fu bloccato da cittadini allarmati dalla propaganda allarmistica ambientalista e l’area fu liberata solo nell’agosto del 2004, con l’intervento di cinquecento uomini delle forze dell’ordine. Ma il termovalorizzatore restava un “mostro” e la sua realizzazione fu ancora interrotta diverse volte. La soluzione finale fu, infine, trovata dal governo Berlusconi che militarizzò l’area per consentirne la realizzazione.

Nell’ambito della lotta al termovalorizzatore, si volle far passare Acerra e zone limitrofe, come un territorio già di suo contaminato. Le immagini di pecore deformi o morte, come presunta conseguenza dell’inquinamento da diossina, furono utilizzate spregiudicatamente e contribuirono non poco all’avvaloramento della tesi della contaminazione del territorio, territorio definito con l’impattante toponimo “triangolo della morte”.

L’articolo di Lancet Oncology

Non poteva mancare, infatti, l’evocazione della malattia che fa paura più di tutte: il cancro. Il cavallo di battaglia della propaganda allarmistica fu un articolo uscito su un allegato di Lancet Oncology nel 2004 in cui, però, ad onor del vero, Paolo Vineis, del Dipartimento di epidemiologia e salute pubblica dell’Imperial College di Londra affermava che “l’Italia ha un livello di esposizione all’inquinamento, provocato dal traffico, particolarmente alto”, che “la ricerca è stata insufficiente sul tema del legame tra rifiuti e salute” e che “tutti sono d’accordo nel richiedere con urgenza ulteriori studi sul collegamento tra gli impianti di rifiuti pericolosi e i decessi per cancro”. Vineis sottolinea che “bisogna essere prudenti nel commentare questi dati poiché non c’è alcun intervallo di confidenza”.

Il Rapporto ecomafie del 2003

La locuzione “terra dei fuochi” viene utilizzata per la prima volta nel “Rapporto sulle ecomafie” del 2003, ma diviene nota al grande pubblico all’atto della pubblicazione, nel 2006, del best seller “Gomorra” dello scrittore Roberto Saviano, seguito, nel 2008, dalla versione cinematografica le cui scene fissano, nell’immaginario comune, l’immagine di una terra “avvelenata”.

Nel novembre 2013, prendendo per buoni acriticamente i teoremi dell’accusa, Legambiente pubblica il dossier “le rotte della terra dei fuochi” in cui si trattano i teoremi delle accuse dei suddetti 82 procedimenti mediatico-giudiziari come verità processuali.

Nel 2013, dunque, si viene a creare una situazione in cui la recente costituzione del “coordinamento comitato fuochi”, la pubblicazione del dossier di Legambiente e l’ennesima emergenza rifiuti creano una miscela esplosiva che culminerà con la manifestazione “Stop Biocidio” del novembre 2013.

Le varie trasmissione tv, tra cui Le Iene

Ci si mettono pure gli americani con la pubblicazione, sempre nel novembre 2013, della famigerata e fuorviante copertina de L’Espresso “Bevi Napoli e poi muori”, l’intervista al pentito Carmine Schiavone (“Schiavone ha detto un cumulo di stupidaggini” affermerà in seguito Raffaele Cantone, il regista del processo “Spartacus” che segnerà la fine del temutissimo clan dei casalesi), le trasmissioni (comiche, ma viste come di informazione e denuncia) de Le Iene a cavallo tra fine 2013 ed inizio 2014 con analisi di pomodori presunti “cancerogeni” al manganese, la giovane mamma morta di cancro che lancia l’anatema “io ho questa malattia perché ho mangiato i prodotti della mia terra, ma voi del nord non crediate di stare al sicuro: arrivano anche sulle vostre tavole”, le reiterate interviste a Schiavone ed i suoi “fanghi termonucleari” e, dulcis in fundo, il “geologo aereospaziale” Balestri, novello Nostradamus, che predice, per il 2064, l’inquinamento finale della falda campana a causa di presunti sversamenti “illeciti” di rifiuti industriali non nel terreno, si badi bene, ma in una discarica per rifiuti industriali: la Resit di Giugliano.

La confusione e l’allarme sono massimi, le problematiche a volte si confondono l’una con l’altra, altre volte si sovrappongono, l’allarme sociale monta.

Il decreto “terra dei fuochi”

Nel 2014, sull’onda della suggestione dello smaltimento di rifiuti “tossici” nei terreni agricoli e della conseguente ingiustificata criminalizzazione dell’agricoltura, vede la luce la legge 6 febbraio 2014 n. 6, il cosiddetto “decreto terra dei fuochi”.

L’obiettivo ultimo del decreto è quello definito dall’articolo 1, vale a dire la verifica dell’esistenza di effetti contaminanti sui prodotti agricoli coltivati su suoli contaminati da sversamento di rifiuti, con la loro interdizione all’utilizzo agricolo.

La classificazione doveva avere per oggetto solo i siti di cui al punto a) dell’articolo 1 comma 3 della Direttiva Ministeriale 23/12/2013, dunque, solo quelli individuati come “siti interessati da sversamenti e smaltimenti abusivi sul territorio della regione Campania”, ma non sarà così, e saranno attenzionati suoli agricoli non soggetti ad alcuno sversamento.

Nel corso del dibattito parlamentare, ed in particolare nella commissione agricoltura, viene chiarito che, come “effetti contaminanti” ci si riferisce a quelli eventuali sulle “specifiche colture od attività agricole in atto e sui prodotti alimentari da esse derivanti, evitando che la delimitazione dei terreni sia effettuata sulla base di mere presunzioni di rischio”.

Nel contempo, la commissione affari sociali scrive: “si nutrono tuttavia dubbi circa le modalità con cui effettuare tale classificazione domandandosi, in particolare, se sia stata adeguatamente e scientificamente approfondita e risolta la questione stessa della correlazione fra inquinamento dei terreni e coltivazioni agroalimentari”.

Le indagini dell’Istituto Superiore di Sanità

Il Ministro della Salute, peraltro, sin dall’ottobre 2013 era perfettamente a conoscenza che gli alimenti vegetali sono perfettamente salubri, anche in presenza di valori nei terreni di contaminanti sia organici che inorganici al di sopra delle concentrazioni di soglia dei terreni ad uso “verde pubblico e privato” e, in alcuni casi, persino oltre quelle per i terreni ad uso industriale.

Infatti, negli anni dal 2011 al 2013 proprio l’Istituto Superiore di Sanità ha condotto indagini dettagliatissime su numerosissimi e variatissimi (dalle fragole ai peperoni, dai pomodori alle pesche) campioni di ortofrutta raccolti nelle immediate prossimità delle discariche, anche di rifiuti tossici e nocivi, presenti nell’ambito della c.d. Area Vasta dell’ex SIN Litorale Domizio Flegreo, senza che alcun ortaggio o alcun frutto risultassero non edibili.

La distanza sul metodo scientifico da adottare

Esistevano, inoltre, già all’epoca, studi della dottoressa Eleonora Beccaloni che individuavano i vegetali coltivati come unico mezzo potenziale di trasferimento di eventuali contaminanti dai terreni agricoli all’uomo. Nel documento “Criteri generali per l’elaborazione di valori di riferimento per contaminanti in suoli agricoli all’interno di Siti contaminati sulla base di valutazioni sanitarie” ISS 2012, si legge: “per i suoli a destinazione d’uso agricolo, ai fini dell’AdR, si ritiene più idoneo utilizzare criteri e modalità diversi, basati sulla esposizione della popolazione mediante il consumo di alimenti, prioritariamente di origine vegetale e, in secondo luogo, di origine animale, provenienti dall’area indagata”.

Pertanto, “si ritiene che, nelle aree agricole, la matrice d’elezione, da campionare e sulla quale effettuare indagini analitiche, sia rappresentata dai prodotti di origine vegetale ivi coltivati, in quanto il potenziale passaggio dal suolo alla pianta può favorire l’ingresso dei contaminanti stessi nella catena alimentare, e indurre un potenziale rischio sanitario per la popolazione mediante la dieta”.

Il cosiddetto “metodo scientifico” messo a punto dal Gruppo di Lavoro costituito nell’ambito del decreto terra dei fuochi ha disatteso queste indicazioni dell’ISS basando il giudizio su parametri di tipo ambientale dei terreni agricoli parametrandoli, peraltro ai terreni ad uso residenziale (le CSC di cui abbiamo ampiamente discusso in altri articoli de Il Napolista)

Un metodo non utilizzato nel resto d’Italia

Non si spiega, peraltro, com’è che il ministero delle Politiche agricole dal marzo 2014 ad oggi non abbia inteso estendere l’attuazione del presunto “metodo scientifico” messo a punto dal Gruppo di Lavoro istituito dal decreto, anche a tutte le altre aree a destinazione agricola della Repubblica Italiana. Risulta infatti del tutto irragionevole, illogico e gravemente contraddittorio che si intenda “tutelare la sicurezza agroalimentare” di una sola zona di una sola Regione in tutta la Nazione!

Ora, cosa resta di questa apparentemente inestricabile matassa?

L’abbandono incontrollato di rifiuti da parte di cittadini ed imprese locali, perdura, così come il loro conseguente abbruciamento. È il vero nocciolo del problema ma si è perso nelle cortine fumogene derivanti dalla sollevazione di altre questioni.

Quello che ci resta

Per il resto, limitandoci alle questioni menzionate:

–    i procedimenti giudiziari, ad oggi, hanno portato a pochissime condanne ed anch’esse molto controverse

–     le immagini del film di Saviano di camion con “fusti tossici” seppelliti nel terreno restano quello che sono: una finzione scenica;

–     i pozzi ed i terreni di Caivano sono stati definitivamente dissequestrati

–     il territorio di Acerra non ha alcuna particolare contaminazione da diossine anzi, le analisi sui vegetali, utilizzate come biomonitoraggio, non hanno mostrato valori né prossimi, né superiori ai livelli d’azione introdotti dalla Raccomandazione 2006/88/CE (vedi pag. 412)

–     le interdizioni alla coltivazione operate col decreto terra dei fuochi, per quanto limitatissime, essendo scientificamente e tecnicamente ingiustificate ed ingiustificabili, non essendovi alcun terreno, tra quelli interdetti, in cui sia stata riscontrata una qualche contaminazione di prodotti agricoli, non hanno altro fine che quello mediatico col sacrificio di qualche “capro espiatorio” a volte anche con risvolti che, se non ci fosse da piangere, si potrebbero definire ridicoli

–     alla discarica Resit di Giugliano si sta operando una semplice messa in sicurezza post-mortem come di prassi per qualsiasi comune discarica a fine vita. Dal “sarcofago” stile Chernobyl, si è passati al parco urbano;

–     il registro tumori infantili del Pausillipon Santobono, ha certificato che non vi è alcuna particolare incidenza tumorale infantile

–     il registro tumori Napoli 2 nord, anche in considerazione delle pessime condizioni generali in quanto a conurbazione, deprivazione e stili di vita poco salubri (fumo, obesità, cattiva alimentazione, poco movimento etc., quelli definiti “stili di vita”) ha dato i risultati attesi con eccessi, ma non statisticamente significativi, rispetto al nord Italia. Come ebbe modo di affermare il professor Rino Panico, autorevole epidemiologo, nel corso di un convegno organizzato per dare corretta informazione scientifica sulla problematica, “La questione dello stile di vita è molto legata alle condizioni socio-economiche di questa regione. Se si continua a vivere in condizioni di grande disagio e di deprivazione economica, purtroppo gli stili di vita continueranno ad ammazzare le persone inevitabilmente qui più che altrove”. Da notare anche che i tipi di cancro che il suddetto articolo di Lancet Oncology riteneva più presenti (fegato, leucemie e linfoma), sono proprio quelli certificati come meno presenti nell’indagine dell’ASL NA 2 nord.

Va tutto bene? Certamente no

Va tutto bene? No di certo. Anzi. Al di là dell’abbandono e dell’incendio di rifiuti, abbiamo, come già accennato, condizioni di deprivazione, di malessere sociale, di sacco selvaggio del territorio, di abusivismo edilizio, di conurbazione disordinata coesistente con carenze od assenza del trasporto pubblico e conseguente traffico veicolare in presenza di un parco veicoli circolanti in gran parte vecchi ed inquinanti, di sanità allo sbando, di fuga dei giovani. Insomma, un vero disastro con nessuna possibilità di confrontarsi con aree simili nel Paese.

Una classe politica responsabile, dovrebbe finalmente prendere in mano il governo dell’informazione, denunciare chi continua a generare allarme in modo ingiustificato, indirizzare le poche risorse disponibili alla soluzione dei veri problemi. Che non mancano.

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