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Sarri e il turn over: non è mai stato amore, è una necessità (ben) tollerata

Allan-Jorginho-Hamsik, titolari l’anno scorso e ora. Le rotazioni di Sarri, ieri e oggi, e la sua idea del turn over analizzati tra sensazioni e numeri

Sarri e il turn over: non è mai stato amore, è una necessità (ben) tollerata

Il concetto di titolari

Avevamo già scritto, in maniera positiva, del “ritorno” dei titolari fissi. Dopo Lazio-Napoli 0-3, lodavamo – attraverso Allan-Jorginho-Hamsik – il mercato funzionale del Napoli. Non abbiamo cambiato idea dopo due settimane e un passo falso a Sassuolo. I tre centrocampisti che l’anno scorso hanno centrato il secondo posto in Serie A sono in pienissima condizione a fine aprile. Per merito del turn over. Certo, Hamsik è un discorso diverso – lo affronteremo dopo. Ma contro l’Udinese, e proprio all’Olimpico nel match con la Lazio, c’era stata la dimostrazione lampante di come un’adeguata rotazione durante l’anno avesse permesso, anzi abbia permesso, a questi tre calciatori di arrivare così in forma a questo punto della stagione.

Poi c’è il discorso del turn over. Di un arrivederci momentaneo al concetto guida della campagna acquisti edizione 2016: i titolari non esistono, esistono i co-titolari. A centrocampo, soprattutto, il Napoli ha sei calciatori paritetici in grado di giocare da titolari. Nel senso: Zielinski oppure Rog al posto di Allan, e Diawara al posto di Jorginho sono cambi che non abbassano la qualità assoluta – un concetto ideale, che in realtà non esiste. Hamsik è un altro discorso, perché di Hamsik ce n’è uno solo. Come di Cristiano Ronaldo al Real Madrid, di Messi al Barcellona, di Higuain alla Juventus, di Dzeko alla Roma, Icardi all’Inter, Borja Valero alla Fiorentina. Ci sono milioni di esempi. Tutte le squadre del mondo hanno un calciatore più forte di tutti gli altri componenti della rosa. Quello che si può pure rimpiazzare, ma non è proprio la stessa cosa.

Cambiare

Hamsik apre una parentesi. Era giusto rischiarlo/tenerlo in campo dopo una settimana di allenamenti a singhiozzo? Ovviamente andiamo al di là dell’errore sul gol dell’1-1 contro il Sassuolo, quello è un errore singolo di valutazione che prescinde da stato fisico e mentale. Parliamo di una prestazione non esaltante, ma il concetto è spiegato meglio qui. La risposta, ovviamente, non c’è. Perché si potrebbe dire che il gol si origina da una giocata dello slovacco. Così come si potrebbe dire che il resto dei 90′ è stato insufficiente, molto sotto i suoi standard.

Il concetto di “cambiare Hamsik” è molto diverso rispetto a quello del turn over per Allan e Jorginho. Sarri ha sempre ripetuto – ma non c’era bisogno delle sue parole per rendersene conto – che lo slovacco è fondamentale per questa squadra. Costruisce, letteralmente, il gioco d’attacco. Talvolta gli capita anche di finalizzarlo. Il discorso di prima, Messi, CR7, Borja Valero: calciatori determinanti, a prescindere dalla zona del campo in cui sono schierati.

Quindi, la domanda diventa: fa bene Sarri ad affidarsi sempre e comunque ad Allan e Jorginho? Ovviamente, pure in questo caso non può esserci risposta. Se non i segnali che arrivano dal risultato, e che ognuno interpreta e decripta a proprio gusto, o secondo la propria lingua. Contro Lazio e Udinese, i due brasiliani (Jorginho lo è un po’ di meno, ma siamo al tecnicismo) sono stati tra i migliori in campo.

Il senso del turn over

A questo punto della stagione, con una partita a settimana (purtroppo), il Napoli non ha più necessità tecnica di cambiare. Quindi, il turn over diventa propedeutico alle preconsiderazioni su quello che avverrà in campo. Ragionando in maniera logica, e insieme basilare (nel senso di semplicità dei concetti), è più “difficilmente spiegabile” la scelta fatta per Napoli-Udinese che quella di domenica. Ovvero: centrocampo fisico in una partita dal piano facilmente immaginabile (quella contro i friulani), con gli avversari a tutta difesa e senza velleità offensive; lo stesso centrocampo fisico a Reggio Emilia, contro una squadra che riscrive a modo suo alcuni dei principi di gioco del Napoli. Pressing, difesa alta. ricerca della superiorità numerica in campo. E mediani dinamici, Duncan, Pellegrini e Sensi. Eppure, contro l’Udinese è andato tutto bene. Quando il principio appariva stravolto. Contro il Sassuolo non è finita alla stessa maniera. Pur se le scelte iniziali, in qualche modo, combaciavano con lo svolgimento ideale della partita. Come dire: le stranezze del calcio.

Domani (il finale di stagione)

A questo punto, viene da chiedersi: che sarà di noi? Anzi: che sarà di loro? Intesi, ovviamente, come i calciatori del Napoli. Dividiamo le cose: da una parte ci sono le sensazioni, da un’altra ci sono i numeri. Le prime, ovviamente, sono soggettive. I secondi sono inoppugnabili. Detto questo, possiamo dire che Sarri abbia una natura e un’impostazione del lavoro fondamentalmente reticente al turn over. Nel senso: appena “ha potuto”, è tornato a lavorare al tornio di una formazione titolare. È un dato di fatto, pure questo. Esattamente come i numeri riferiti alla prima parte di stagione, quando c’erano ancora le coppe. Spalletti odia il turn over molto più di Sarri; solo Allegri, ad un certo punto della stagione, ha ruotato gli uomini più del tecnico partenopeo. Che, quindi, si dimostra elastico e “abbastanza affine” al progetto organico del Napoli.

Nelle prossime partite, è probabile che venga riproposta di nuovo la stessa squadra di Reggio Emilia, Roma, dell’anno scorso. A Milano, contro un’Inter presumibilmente incazzata e con l’acqua alla gola dei punti da fare, ci sarebbe (sarà) la “giustificazione” al centrocampo dei soliti. Lo stesso concetto, non l’abbiamo scritto ma ci pare lapalissiano, vale per la difesa e il centrocampo. Poi sarà la volta di quattro partite meno difficili, sulla carta. Quelle in cui le squadre avversarie giocheranno a ingabbiare il Napoli e dove uno come Zielinski potrebbe tornare utile. È un esempio, ovviamente.

Dopodomani (l’anno prossimo)

Il futuro lontano, che poi tanto lontano non è, ci dice che Sarri ha già violentato abbastanza se stesso – ovviamente, questa frase è una forzatura della chiave narrativa. E quindi sarebbe pronto a rifarlo di nuovo. Le gioie del turn over per lui non sono gioie, ma necessità cui far fronte. Fino a un certo punto, l’ha fatto. E pure bene, perché alla fine solo Maksimovic e Tonelli (oltre a Giaccherini, ma qui non c’è prospettiva a lungo termine), con l’ex Empoli pure attardato da guai fisici, sono i calciatori non “lanciati” in senso stretto durante questa stagione. Ci sarà da fare un certo tipo di lavoro con Milik (reinserimento) e Pavoletti (un reale inserimento), in modo da crearsi opzioni offensive differenti. Insomma, ci sono le premesse ma c’è pure lavoro da fare. Il Napoli dei co-titolari è stato abbozzato, ora va chiuso. Il concetto di base c’è, l’applicazione c’è stata. Fino a un certo punto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Tutto, però, può ancora crescere. Tutti possiamo farlo.

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