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Napoli, lasciamo parlare il campo (che non ha mai tradito)

Il nostro gusto per la polemica sembra vincere su tutto. Anche sul campo, anche preventivamente.

Napoli, lasciamo parlare il campo (che non ha mai tradito)

C’è un clima forte, a Napoli. Intorno al Napoli. Forse, chissà, c’è sempre stato e solo oggi ce ne accorgiamo di più. Perché ci sono i canali all sport news, h24 a doversi inventare titoli, notizie, racconti. Perché ci sono i social, e qui la comunicazione è bidirezionale: l’utente non solo riceve, ma interagisce e a sua volta può fare anche da medium.

La mia sensazione è che Napoli sia sempre stata così, divisa. In questi giorni, per puro diletto personale, mi sono ritrovato a guardare un video di Napoli-Udinese 1-0 della stagione 1989/90. Seconda giornata di Serie A. Il servizio della Domenica Sportiva, curato da Italo Kuhne, inizia parlando di Maradona che non vuole tornare dall’Argentina. Si intervistano quattro tifosi del Napoli, al San Paolo prima della partita. Hanno quattro opinioni diverse: conciliante, critica, severissima e lasciva. Non ricordo se in quest’ordine. So solo che oggi, a 26 anni di distanza, nulla è cambiato. Anzi, queste divisioni le sentiamo addirittura di più.

Il motivo del contendere di oggi 9 settembre 2016 è il mercato. Lo stesso mercato su cui ci siamo interrogati e arrovellati fino al 31 agosto a notte inoltrata, lo stesso terreno di scontro in cui si sono affrontate senza esclusione di colpi tutte le multisfaccettate fazioni del tifo napoletano. A rinfocolare la discussione, ci ha pensato Sarri. Che non doveva parlare in conferenza stampa e poi, invece, ha parlato. E ha parlato in un modo francamente difficile da interpretare. Raniero Virgilio ne ha dato una lettura richiamando Fight Club, i commenti dei nostri utenti (toh!) sono stati divisi tra le critiche al tecnico perché “mette le mani avanti” e gli osanna alla “capacità e alla volontà di riportare tutti coi piedi per terra”.

Più che arricchire la discussione con un’altra opinione, il senso di questo pezzo è quello di una chiamata all’ordine. Anzi, di una riflessione sul passato fresco e recente che ricade anche sul futuro. Al di là di parole, retorica, tafazzismi e fazionismi (termine che non esiste, ma che la Treccani segnala qui come un neologismo), l’invito a tutti è quello di pensare al campo. Che poi, è l’unica discriminante dello stato dell’arte. Ed è l’unica cosa che è andata sempre bene a questo Napoli dalla comunicazione rabberciata, dal tifo diviso, mai pienamente contento, e dalla narrazione distorta. 

Pensiamo a Napoli-Bruges dello scorso anno, prima di Europa League. Da quel momento in poi, è stato tutto un fluire di cose successe fuori il campo e cose successe dentro. Due strade parallele, che non si sono incontrate mai. Un susseguirsi di situazioni che entravano in campo solo con i se, i ma, i probabilmente. Mentre, nel frattempo, il Napoli giocava bene e vinceva forse al massimo delle sue possibilità. Questa canzone è per tutti, dai tifosi fino a Sarri, dalla società fino ai calciatori e ai magazzinieri. È bastata una vittoria col Milan, pur se sofferta, a far dimenticare per un po’ settimana tutto quello che era stato ed era intorno al campo. Oggi, che sono passate due settimane, non abbiamo resistito. E abbiamo ricominciato a parlare di tutto meno che di pallone che rotola. Sentivamo la mancanza della polemica, del nostro gusto per la polemica.

Lo ripetiamo, questa è una riflessione che coinvolge anche lo stesso Sarri. Che, oggi, ha spiegato perché la sua squadra potrebbe avere delle difficoltà. Ognuno decide e decida se è una cosa giusta o sbagliata, legittima o illegittima, troppo prudente o accettabilmente realista. Anche lo stesso Sarri, però, si è lasciato smentire dal campo. Anzi, si è già lasciato smentire dal campo. Una smentita retroattiva A Pescara e contro il Milan, le partite che il Napoli ha condotto (più o meno) in porto sono state decise in positivo dalla panchina. Dagli ingressi di Mertens e Milik e Zielinski, dal fatto che al posto di tre titolari ci fossero tre alternative vere. Di cui, il 66% arrivate grazie al mercato. Sì, forse con Higuain sarebbe andato tutto molto meglio. Ma non lo possiamo sapere. Né potremmo saperlo mai. Il senso del pezzo di Raniero Virgilio è proprio questo: vai, Maurizio, facceli vedere sti guaglioni. Dopo, solo dopo, pensiamo alle conseguenze. Dopo, solo dopo, vediamo se hai fatto bene o hai fatto male. Non essere timoroso, che Napoli è con te.

Paradossalmente, Sarri ha avuto paura di tutto quello che il campo potesse dire o rappresentare. In questo modo, però, rischi di avere paura anche delle possibilità belle per colpa di quelle brutte. E non sta bene. Così come non sta bene pontificare sul fatto che a gennaio 2016 Herrera o Zielinski avrebbero significato scudetto certo sei mesi dopo. Un conto è dire che “la società avrebbe potuto acquistare di più rispetto a Grassi” – magari proponendo anche un nome, perché così è facile – un conto è l’esasperazione della critica. Un conto è dire che “40 euro per una curva sono troppi”, un conto è dire che “De Laurentiis lucra sulla passione dei tifosi”.

Insomma, per dirla breve: Napoli, aspetta il campo e fidati di quello che dice. Anche perché, poi, se va bene, succede come l’anno scorso: tutti sugli spalti, tutti a cantare e festeggiare e sostenere. Napoli-Verona dello scorso anno, sette giorni dopo Udine e con Gabbiadini al posto di Higuain squalificato, fu un meraviglioso spettacolo di calcio e sole e colori e pubblico. Napoli-Frosinone pure, ma si festeggiava un secondo posto. Cioè nulla. Eppure tutti erano felici. Tutti eravamo felici. Succederà anche quest’anno, se la squadra andrà bene. E per 90 minuti e giusto il giorno dopo, tutto sarà a posto. Andasse diversamente, allora partirebbero i processi. Giustamente. E le accuse, ancor più giustamente. Farlo prima è senza senso.

Il bello del calcio, risponderete voi, è proprio il fatto di poter disquisire di tante cose che girano intorno. Che possono essere giudicate come “fatte bene” o no, a seconda delle opinioni di tutti. Poi però c’è il campo, che decide tutto. Ecco, appunto: aspettiamo quel verdetto. Che tanto, tutto il resto che avviene prima, serve a poco. Ed è stressante, francamente, anche se divertente.

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