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Juventus, Napoli e Roma: a ciascuno la sua alienazione

Allegri alle prese con la sindrome Harlem Globetrotters, il Napoli con quella dei cessi del San Paolo, Roma con Totti.

Sei interessantissime giornate in serie A, frutto anche di tre alienazioni diverse.

La prima è della capolista. La Juventus appare paradossalmente più nervosa oggi di un anno fa, quando a quest’ora aveva cinque punti. La cartina di tornasole è il suo allenatore che, da uomo intelligente e di esperienza, ha colto subito il peso della dissociazione psicologica cui la sua squadra è sottoposta dal mese di luglio – da quando, cioè, la vulgata di stampa, tv e tifosi ha viaggiato a pieni giri sul racconto della squadra invincibile, degli Harlem Globetrotters di campionato e coppe. Un racconto che non pare piacere troppo al tecnico toscano che probabilmente sa, in cuor suo, che la rosa è meno forte di quella della finale europea di due anni fa (e due anni sono pochini nel calcio); che alla campagna acquisti e alla strategia coraggiose di una società forte nello scorso anno è seguito un mercato tutto sommato di slancio minore quest’anno; che un conto è perdere Pirlo e Tevez per ovvi motivi anche anagrafici ed un altro lasciar partire Pogba; e che forse per vincere la Champions League Higuain e Pjanic non sono esattamente i due vincenti nati che trovi in cima alla lista dei desideri. Difficile che oggi Barcellona, Real, Manchester City e Bayern Monaco vivano notti insonni pensando all’undici di Allegri, anche se guai solo a pensarlo nei salotti tv italiani. Questo dualismo così marcato tra realtà e fantasia, tra valori del campo e desideri potrebbe essere il vero veleno che i bianconeri potrebbero assumere quest’anno – per mitridatizzarsi o morire, si vedrà.

La seconda è della vera – sinora – inseguitrice. Il Napoli. Che è a un punto dalla vetta, gioca chiaramente il miglior calcio d’Italia ed è l’unica ad aver vinto in Champions, ma vive dissidi interni apparentemente inspiegabili, di cui la contestazione ormai cronica del tifo nei confronti della società è solo un riflesso naturale. Quella del presidente sui ventimila posti è sembrata una boutade polemica, eppure ad una più attenta analisi appare più reale della realtà. Il tifo a Napoli, come ha scritto bene Massimiliano Gallo, non esiste più. Ovvero, ad essere più precisi, non esiste il tifo che viene raccontato. E qui si fonda forse la vera origine di questa alienazione sociale: a raccontare il tifo siamo noi, quarantenni, cinquantenni, sessantenni, settantenni, ossia noi residuati bellici. È anche nelle sfumature del nostro racconto della realtà che si respira la suggestione di un passato che non esiste e del confronto con esso. La misura di tale schizofrenia sta nel tema dei cessi del San Paolo, che può essere il nodo per comprendere l’incomunicabilità che viaggia in queste ore a Napoli. Per i residuati bellici chiedere di andare al bagno durante una partita del Napoli assumerebbe la stessa natura delirante del domandare ad un vicino di non muoversi troppo durante un concerto dei Nirvana, magari immaginando di non ricevere in cambio un cazzotto. Ed i Nirvana – questo è il problema – l’ultimo concerto l’hanno fatto ventidue anni fa. Il calcio, almeno a Napoli, non è più un rito, da molti anni. Non è una bolgia. Ha smesso i significati religiosi, iniziatori. Per questo ci si informa sul funzionamento della toilette, come farebbe giustamente un qualunque cliente di una spa che cerca di conoscere l’efficienza dei sistemi sanitari dopo un bagno turco. Finché non ci renderemo conto di questo, tutti, ripartendo da qui, continueremo ad alimentare una inutile babele.

La terza ed ultima alienazione è quella capitolina. E, preannuncio subito, è la nostra grande fortuna. A Roma la dissociazione mentale e sociale si chiama Francesco Totti. A differenza di Napoli, il cui passato ingombrante e mai sopito è arginato fortunatamente dalla distanza tra Italia ed Emirati Arabi, a Roma il Maradona cittadino gioca per privilegio inalienabile ogni domenica. È come assistere alla settimanale seduta psicanalitica della tifoseria di una intera capitale. Spalletti ha tentato invano anche solo di tangere leggermente l’argomento. Ma ha dovuto battere in ritirata perché se discuti la Trinità puoi aspettarti solo Santa Inquisizione. C’è la rendita cui un capitano, talento eccezionale, ha deciso che non rinuncerà. Con un discutibile, a mio avviso, senso della generosità. Da Napoli non possiamo che sperare che questo dramma vada avanti per tutto il campionato.

A ciascuno le proprie alienazioni. E buona fortuna a noi.

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