L’allenamento col campo addobbato, Higuain è già un ricordo per gli schemi d’attacco

Report dell'allenamento pomeridiano a Dimaro. Giochi, esercitazioni tattiche. E il contrasto tra gli attrezzi e l'umanità di questo gioco.

A Dimaro, oggi pomeriggio, il campo è come una città a Natale. Addobbato, pieno di cose colorate. Ci sono i paletti, i cinesini, le porticine di fronte la tribuna stampa. Nella zona dei corner, una porta mobile, altri paletti colorati e altri cinesini. È lo spazio riservato ai portieri. Per i calciatori di movimento, riscaldamento col pallone. Ognuno il suo, condotto in avanti attraverso uno slalom non velocissimo tra paletti e cinesini. Al termine della passeggiata palla al piede, tiro nella porticina. Controllo del pallone, precisione nel calcio. Il gioco che parte dai fondamentali, su due file. Che poi si dispongono per l’esercizio successivo. Scambio con un preparatore e tocco a cercare di fare gol, ancora nello spazio breve delimitato dai paletti delle miniporte. Col passare dei secondi, il ritmo aumenta. Qualcuno prova pure improbabili colpi d’esterno in coordinazione precaria. Quando un compagno toglie un “gol” ad Hamsik, il capitano allarga le braccia desolato. Evidentemente ci teneva.

Dopo, si gioca a palla avvelenata. E non usiamo queste parole a mo’ di metafora, magari per identificare chissà quale esercizio tattico. No, è proprio così. Palla avvelenata in senso assoluto. Due squadre (i soliti colori, gialli contro total black) e sfida a non farsi colpire dai lanci degli avversari. Si gioca con le mani, il pallone viaggia tra i compagni di battaglia. Chi perde va fuori, ma è ovviamente possibile sfuggire correndo alle pallonate di chi fa parte del gruppo avverso. Ci si diverte, e dopo, flessioni per tutti. Poi il drone, quindi l’inizio del lavoro tattico.

Si parte dall’attacco, stavolta, e si simula la palla recuperata alta. Il portiere rimette in gioco, la difesa (quattro preparatori in maglia rossa) subisce il primo pressing e poi rimette male il pallone, sempre preda dei mediani. Scambi veloci, palla al regista e poi all’attaccante che torna dietro e lavora di sponda. Intorno a lui, da dietro e sui lati, si inseriscono i compagni. Come al solito, durante questo ritiro, sono in tanti. Sempre e almeno tre persone in area, per una squadra come per l’altra. Si lavora anche sul posizionamento del centrocampo, che si sposta armonicamente in base al posizionamento orizzontale del pallone. Si gioca e si riparte di prima, si conclude a turno. E l’idea è sempre la stessa: attaccare con tanti uomini lo spazio per la conclusione. Higuain è lontano.

Dall’altra parte, i portieri ritrovano il loro amico (?) sparapalloni. Nista sembra proprio divertirsi a caricarlo, orientarlo. A puntarlo verso la porta, con Sepe come sparring partner preferito. La simulazione successiva riguarda la fase difensiva. I preparatori attaccano la linea a quattro, che si stringe sul calciatore che riceve il pallone. Il pressing si alza, Sarri registra i movimenti dei suoi uomini arretrati. Che devono muoversi e reagire con intensità alle situazioni d’attacco avversarie. La prerogativa del suo Napoli, del resto.

Dopo, è partitella. A campo ridotto e ristretto, le due porte sulle linee dell’area e con i cinesini a fare da linea laterale pochi metri dopo quella originale. Undici contro undici, si mischiano titolari e riserve: gli unici assenti sono i calciatori che lavorano a parte, De Guzman e Tonelli. Reina, invece, è ancora lontano da Dimaro. Si gioca a un tocco, massimo due. Al terzo, è fallo laterale per la squadra avversaria. Con il passare dei minuti, però, c’è qualche deroga al regolamento. Sarri è a centrocampo, segue lo sviluppo dell’azione e spesso lo si sente urlare. Finisce 0-0, un risultato con cui il primo Napoli di Sarri non ha avuto molto a che fare. Una sola volta a reti bianche la scorsa stagione, fu un Napoli-Roma.

A fine seduta, inservienti e collaboratori smontano letteralmente il capo di tutti gli attrezzi utilizzati da Sarri e il suo staff. Albiol, intanto, esce a piedi nudi. I compagni portano i calzettoni e gli scarpini in mano. Un contrasto quasi lirico tra un allenamento pieno di support e tecnologia e l’umanità di questo gioco.

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