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Keplero era napoletano

Keplero era napoletano
Praga - Keplero

Dunque Keplero era napoletano.

È una scoperta sensazionale. Certo avessimo giudicato solo i suoi lavori sarebbe stato impossibile dirlo; mentre per capire le origini del geniale astronomo del seicento bisogna seguirne l’esempio, curiosare, intrufolarsi nei porticati stretti della Karlova, a Praga, ed alzare la fronte tra gli archi e i capitelli dei cortili. Teorie di panni stesi come in via Camaldolilli, detriti di tetti, scocche di vecchie auto un dì montate su meccaniche sovietiche e, in fondo, la casa dove sostò Johannes nella città degli alchimisti e della magia nera, Praga capitale degli slavi, nobili ratti del mondo, reietti e luminosi come lo splendore degli uomini del sud. Peccato il grande slavista siciliano Angelo Maria Ripellino sia scomparso prima di terminare l’appendice al suo meraviglioso Praga Magica, quello che aveva in animo di dedicare al nomade napoletano von Kepler detto Keplero, colui che un altro grande campano per scelta come Leopardi cantò quale padre dell’astronomia moderna.

Si, Keplero era napoletano. Come abbiamo fatto ad ignorarlo? Apolide per curiosità, in costante fuga dai prìncipi, una madre accusata di stregoneria da difendere in tribunale, braccato da un passato ingombrante di un illustrissimo maestro, Tycho Brahe – astronomo di corte ed istituzione intoccabile – per cui provava al contempo la gratitudine e l’odio del discepolo. Il corpo di Tycho oggi giace in quel capolavoro che è la chiesa di Santa Maria di Týn a Praga, mentre la guerra non ha risparmiato quello di Keplero, finito in disgrazia e povertà, disperso chissà dove, forse tra questi panni stesi nel mezzo della Boemia; eppure con un guizzo diabolico il Keplero napoletano fece in tempo ad affidare la sua memoria ad una scarda di marmo su cui è ancora inciso lo straordinario epitaffio: “Misuravo i cieli, ora fisso le ombre della terra. La mente era nella volta celeste, ora il corpo giace nell’oscurità

Era il meglio di Napoli, Keplero. Sfidò le nozioni del suo maestro, le studiò e le ristudiò, ma poi volle osservare coi propri occhi; da scafato disilluso; e sfruttando a tradimento le meticolose osservazioni del suo stesso mentore, dimostrò che Tycho Brahe aveva torto: le orbite dei pianeti non erano circolari, perfette e divine come pensavano i parrucconi, ma ellittiche, schiacciate e zoppicanti. Perché soprattutto nella deformazione si annida bellezza. E affinché quel passato non tornasse dal suo abisso, ebbe l’ardire e la spavalderia di piazzare la sua scoperta nel futuro, in tre leggi – le tre leggi di Keplero (Poi qualcuno ci spiegherà come questi signori, tra cinque e seicento, questi autentici destrieri di libertà e amore, tra una carestia e l’altra, potessero annotare con cura la posizione dei pianeti, se noi oggi abbiamo bisogno di gps e tanta fortuna anche per raggiungere il macellaio sotto casa).

Era il meglio di Napoli, Keplero. Possente e vorace come il desiderio ma mai in nessun luogo preciso. “Ubi materia ibi geometria”. Dove tanti ci vedono solo oggetti, i più diseredati sanno vederci luoghi abitati da spiriti enormi.

A Praga. O a Napoli. È irrilevante.

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