
È il giorno del saluto a Muhammad Ali. L’ex pugile è morto durante la notte italiana in un ospedale di Phoenix. Da tempo affetto da Parkinson, si è spento dopo un ricovero “precauzionale”, iniziato l’altro ieri, per problemi respiratori definiti subito “gravi”. L’ultima apparizione lo scorso 9 aprile, in occasione della «Celebrity Fight Night» a Phoenix, iniziativa annuale che è anche occasione per una raccolta fondi a favore della ricerca contro il Parkinson.
Grande risonanza e commozione per la stampa internazionale, a cominciare dai “padroni di casa” statunitensi. Espn dedica ovviamente l’apertura a tutta pagina alla notizia, a cui poi affianca una serie di articoli su tutti gli della vita del puglie americano, oro Olimpico ai Giochi di Roma nel 1960 e detentore del titolo mondiale dei pesi massimi dal 1964 al 1967, dal 1974 al 1978 e per un’ultima breve parentesi ancora nel 1978. Da leggere il lavoro di Thomas Hauser, che scrive un lunghissimo articolo intitolato “The importance of Muhammad Ali“. Un racconto che ripercorre tutta la storia di Cassius Clay (nome all’anagrafe prima della conversione all’Islam) e ne sottolinea l’importanza anche sociale. Emblematica la frase di chiusura scelta da Hauser: «Ha incoraggiato milioni di persone comuni a credere in se stesse, ad alzare le proprie aspirazioni e realizzare cose che altrimenti non avrebbero potuto essere raggiunti. Non era solo un portabandiera per gli americani neri, ma per tutti». In un altro pezzo, firmato da Darren Rovell, vengono raccolte “Le 10 quotes più importanti di Ali“. Una per tutte, la numero 3, che inquadra discretamente il personaggio: «Io sono il più grande. L’ho detto anche prima di saperlo effettivamente. Ho pensato che se lo avessi detto abbastanza, avrei convinto il mondo che ero davvero il più grande.
Da Espn passiamo al Newyorker, che scrive con David Remnick una lunga bio dal titolo “La vita fuori misura di Muhammad Ali“. Abbiamo voluto estrapolare un solo piccolo periodo da questo pezzo: «More than a generation after his retirement, and now, after his passing, Ali and his story remain known everywhere in the world. How many today know the name of his current inheritor, the heavyweight champion of the world?». Traduzione spicciola, anche se non serve: la carriera di Ali è conosciuta da tutti, anche dalle generazioni successive al suo periodo da pugile e anche ora che è morto, ovunque nel mondo. In quanti conoscono il nome dell’attuale campione del mondo dei pesi massimi?
Dagli Stati Uniti passiamo all’Europa. L’Equipe, dalla Francia, scrive e pubblica “Le 10 cose che non sapevate di Muhammad Ali“. Tra queste, scegliamo di isolare la numero 2, che racconta della sua insospettabile origine irlandese: «Il nonno di Ali, Abe Grady, era un irlandese trasferitosi nel Kentucky nel 1860 dopo aver sposato una schiava liberata. Nel 2009, l’ex campione del mondo aveva anche fatto un viaggio fino a Ennis, una piccola città nella parte occidentale dell’Irlanda, per incontrare i membri del suo ceppo familiare sull’isola verde». Dal Regno Unito, scegliamo e segnaliamo l’articolo dell’Independent – questo – che racconta della storica “Rumble in the Jungle”, il match contro George Foreman combattuto a Kinshasa nel 1974. Chiudiamo con l’ultima segnalazione dalla Spagna, precisamente da Marca: una fotogallery che ripercorre l’intera vita del pugile americano. 14 istantanee dai trionfi sul ring fino agli ultimi anni di vita.