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Higuain come LeBron, il Napoli come i Cleveland Cavaliers: le finals Nba come Juve-Napoli

Higuain come LeBron, il Napoli come i Cleveland Cavaliers: le finals Nba come Juve-Napoli

Stanotte, anzi era stamattina, ho visto un uomo grande e grosso piangere. Era a terra, steso, sulle ginocchia e sui gomiti. La testa piegata in un angolo quasi innaturale, lacrime invisibili alle telecamere ma che si sentivano e si sarebbero viste nell’intervista immediatamente successiva a quelle immagini. L’uomo grande e grosso (grande e grosso per davvero: 203 cm x 113 kg) era LeBron James, ed aveva appena vinto il suo terzo anello Nba.

Non dovrebbe rappresentare una grande notizia. La storia del basket è la storia dei decenni, e quello dal 2010 a oggi è tutto di LeBron. Come Bryant prima di lui (2000), e poi Jordan (’90), Magic Johnson e Larry Bird (’80). La vera breaking news era che però questo titolo, vinto stanotte in modo assolutamente leggendario, è stato vinto con una squadra che non aveva mai trionfato: i Cleveland Cavaliers. Ovvero, una ex franchigia di basso livello che con LeBron, attraverso Lebron, si è costruita una vera reputazione Nba. 

Non sono un gran cultore della Nba, eppure ho capito perfettamente la portata storica di quanto avvenuto stanotte a Oakland, California. Diego Del Pozzo, sul Napolista, l’ha spiegato in maniera egregia dal punto di vista tecnico e da esperto (qui), io voglio darne ora una lettura emozionale e napolicentrica. Sì, perché a me quelle lacrime, e tutto quanto successo prima e dopo, mi hanno fatto pensare al Napoli. I Cavs come gli azzurri, i Golden State Warriors (gli sconfitti) come la Juventus. Sarebbe potuto avvenire quest’anno, se il calcio e il basket non fossero sport profondamente diversi e quindi rendono i playoff una pratica inaccettabile (per il calcio) oppure ormai connaturata al gioco, parte dello spettacolo, anche se crudele (per la pallacanestro).

In effetti, il parallelo è in qualche modo calzante: i Warriors, durante la regular season, hanno fatto peggio (meglio) che la Juventus. Se la serie bianconera è senza precedenti nel nostro campionato (quella della rimonta, le 26 vittorie in 28 partite) ma solo per una mera questione numerica non è entrata nel libro dei guinness, quella dei Golden State è un record vero e certificato: 73-9 su 82 partite. Una roba mai vista nello sport americano, celebrata durante l’anno insieme alla supremazia assoluta di Curry, mvp della stagione e giovanissimo, disumano recordbreaker. Questo, forse, è l’unico paragone non calzante: perché se la Juventus vince di squadra, e che squadra, il dittatore assoluto della Serie A di quest’anno è stato Gonzalo Higuain. Questa cosa la vedi ai playoff, che sono il momento decisivo. Una serie di infortuni e di difficoltà sparse hanno reso inoffensivo o quasi Curry, con i Warriors che si sfaldano sotto il peso dell’assenza; Higuain nel Napoli si fa squalificare e il Napoli dice addio allo scudetto.

Però, più che l paragone con Curry, mi piace pensare che il nostro Gonzalo possa essere LeBron James. Ovvero, uno che ha una storia cestistica tutta strana, che è nato a Cleveland nello sport e pure nella vita (Akron, luogo dove vide la luce, è a sole 30 miglia da Cleveland) e che con i Cavs è diventato grande ma non è riuscito a vincere. È dovuto andare altrove, tipo a Miami, per potersi dire grande campion ma anche fuoriclasse vincente, da titolo, poi ha deciso di tornare. E di provare a fare la storia, in un luogo in cui la storia non si era mai fatta.

Pensando a LeBron, mi sono immaginato cosa sarebbe potuto succedere in un assurdo e ucronico playpff di questa Serie A, con la Juventus che arriva in finale e poi perde contro il Napoli di Sarri e Gonzalo (ah, anche il tecnico dei Cavs, tale Tyronn Lue, era alla prima esperienza su una panchina importante) allo Juventus Stadium, quando tutto e tutti sembravano spingere verso il bianconero. Mi sono immaginato lui in ginocchio, a piangere e cancellare le lacrime di rabbia di Udine. Mi sono immaginato il gol allo scadere di Hamsik (sì, perché il canestro decisivo l’ha messo Irving, non LeBron) a Buffon, dalla distanza, un tiro imprendibile che vuol dire terzo scudetto. Mi sono immaginato le scene che la fantastica regia americana ogni tanto mandava in diretta, con i tifosi dei Cavs radunati fuori il loro San Paolo a seguire la squadra sui maxischermi. Ho pensato alla stessa cosa a Piazza Plebiscito, a Sky già pronta da Piazza Castello, ovviamente semivuota, che deve all’improvviso rimanere su Napoli perché la festa è qui, e non dove era programmata.

Mi sono immaginato Gonzalo capocannoniere e uomo decisivo, mvp in gergo cestistico, anche nei playoff contro i bianconeri anche se poi il gol decisivo è di un altro. Alla telecamera che lo cerca, e alla giornalista bionda che gli chiede cosa si prova a vincere in un luogo dove non si è vinto mai, in un luogo che lui ha scelto e in cui ha scelto di restare. Che poi per Napoli è una forzatura, abbiamo avuto Maradona, ma è roba di trent’anni fa. E mi è piaciuto immaginare che Gonzalo avesse potuto rispondere nello stesso identico modo di LeBron, anche se lui è francoargentino e non di San Giovanni a Teduccio ma ormai è comunque napoletano dentro: «Sono felice di essere parte della storia. Sono a casa mia, sono senza parole, è incredibile. Sotto tre a uno, ci abbiamo creduto solo noi. Un possesso alla volta, una partita alla volta». Sì, perché poi è successo anche questo, stanotte. E mi ha fatto pensare ancora di più al Napoli: la serie contro Golden State era sul 3-1 in favore dei campioni, poi LeBron e i suoi compagni l’hanno ribaltata e condotta a gara-7. Che, per inciso, non era mai stata vinta in una finale da una squadra partita dall’uno a tre. Comunque, l’ho interrotto sulla parte più bella. Scusatemi. «Ero tornato per dare il titolo alla mia gente, avevamo tutti contro. Sono serviti sangue, sudore e lacrime. Ma è quello che dovevo fare, c’era un disegno divino».

E poi, l’ultima frase. Su cui ho quasi pianto anch’io, insieme a lui, immaginandomi Higuain mentre lo Juventus Stadium si svuotava e i tremila napoletani nello spicchio riservatogli piangevano con noi: «Napoli (Cleveland), questo è per te!». 

Mi è piaciuto pensare che sia successo nella mia testa. Mi piace pensare che possa succedere. Perché i playoff di quest’anno sono ucronici, non esistono e lo scudetto è della Juvenutus. Ovvero, la squadra più forte col giovane più bello da veder giocare del campionato (Dybala). Però il calciatore stile Lebron James, dominante, ce l’abbiamo noi. E il prossimo campionato non è ucronia. È una possibilità. Del resto, l’anno scorso LeBron aveva perso la stessa finale contro la stessa squadra. Un giorno così è possibile, dunque.

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