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Possiamo rassegnarci: l’Italia di Conte è questa, non bella e con pochissimo talento offensivo

Possiamo rassegnarci: l’Italia di Conte è questa, non bella e con pochissimo talento offensivo

Dopo un anno intero a commentare ed analizzare il gioco spumeggiante del Napoli, è difficile analizzare una partita come Italia-Svezia. È difficile riconoscere nell’1-0 degli azzurri di Conte una ‘vittoria’, un successo che abbia lo stesso valore di quelli colti dal Napoli attraverso scelte tattiche ed estetiche completamente diverse. Eppure, è il bello del calcio: si vince in tanti modi, e a volte si vince di più “così” che intendendo il gioco come fa la squadra partenopea. Che, a scanso di equivoci, ha perso il titolo contro una Juventus non molto dissimile, per principi di gioco e uomini in campo, dalla squadra di Conte.

Certo, c’è una differenza di qualità assoluta tra azzurri (Italia) e bianconeri, che costringe il ct ad attuare scelte diverse rispetto allo slow play posizionale di Allegri. Il tecnico della Juventus parte dalla stessa difesa a tre (e dall’impostazione bassa di Bonucci, scelta comune) e passa all’occupazione armonica degli spazi in campo e a all’attacco a turno all’area di rigore. L’Italia, più contiana, parte sempre da Bonucci ma poi sceglie (e ripete continuamente) schemi offensivi mandati a memoria. La differenza tra l’ottima partita giocata col Belgio e la prova meno memorabile (eufemismo) offerta contro gli svedesi sta nel’intensità offensiva, e quindi nella ricerca delle trame classiche della fase d’attacco. Tanto che, appena si è spinto un po’ sull’acceleratore, la (modesta) nazionale svedese è capitolata: la traversa di Parolo, e dopo pochi minuti il vantaggio di Eder (gran bel gol).

La differenza di intensità rispetto al match col Belgio la leggi, innanzitutto, nel numero di tiri e occasioni costruite (e pure concesse): 18-12 e 16-10 (a favore degli avversari) nella sfida contro i Diavoli Rossi; 8-4 e 6-4 (pro Italia) nel match di ieri a Tolosa. Minore qualità degli avversari, per una squadra reattiva, e non proattiva, come l’Italia disegnata da Conte, vuol dire avere meno spazi per poter provare il contropiede. Ma anche, ovviamente, meno preoccupazioni in difesa. Il gran numero di tiri concessi al Belgio non deve far pensare a 90′ minuti di sofferenza rispetto a quelli contro la Svezia: ben 13 conclusioni belghe sono infatti arrivate da fuori area (il primo campetto, sotto). Situazione analoga con la Svezia: 4 tiri, 3 da oltre i 16 metri (il secondo campetto, in basso). La difesa azzurra, in queste due partite, è stata praticamente perfetta. E non è una novità, né una sorpresa, che Conte abbia impostato tutto il suo Europeo su questa sicurezza quasi assiomatica.

Non è difficile immaginarsi, infatti, che Italia-Svezia sia stata, in qualche modo, la partita pensata preventivamente dal ct, l’esempio di come questa squadra debba affrontare avversari meno dotati tecnicamente. Aspettare e ripartire una squadra priva di qualità offensiva, e quindi poco propensa ad attaccare, è francamente complicato. Ecco che allora l’Italia si trasforma in una squadra che fa dell’intensità offensiva, della ricerca continua dei suoi movimenti, il punto di forza per vincere le partite. O almeno, dovrebbe andare così. Ieri non è successo, e da qui la grande arrabbiatura di Conte, quella che i bordocampisti Rai ci hanno raccontato per tutto il primo tempo. Lo leggi nella collocazione temporale delle occasioni da rete azzurre: 88esimo (il gol), 76esimo e 90esimo (due conclusioni di Candreva) e 82esimo (la traversa di Parolo). Sotto, il campetto posizionale con tutte le occasioni da rete azzurre: 6 su 8, dall’area di rigore.

Questo è un tema tattico importante, perché in qualche modo identifica una scelta precisa del ct. Che, pur avendo disegnato una squadra predisposta alle transizioni più che al comando del gioco, tiene comunque viva una serie di idee precise. La chiamano identità, e il termine è condivisibile. Anche in un caso particolare come quello di una squadra che, come l’Italia, ha un’identità prettamente difensiva. L’Italia non tira da fuori e sfrutta molto di più la fascia sinistra rispetto alla destra (il 39% del gioco “nasce” dall’out mancino). Se per il Napoli di Sarri questa scelta è dovuta alla maggiore qualità degli uomini schierati sulla sinistra, per l’Italia la differenza è di caratteristiche: Giaccherini, semplicemente, corre di più e in maniera diversa rispetto a Parolo, offrendo quindi all’esterno di sinistra (Florenzi, ieri), maggiori possibilità di sovrapposizioni e scarico. Se Candreva a destra fa praticamente tutto da solo (5 cross su 6 a palla in movimento sono opera dell’esterno laziale), a sinistra c’è un’alternanza reale tra Florenzi (3 cross) e Giaccherini (2). Parolo, poi, è un calciatore dagli ottimi tempi di inserimento (il colpo di testa sulla traversa di ieri ne è un esempio), da sfruttare con i cross dalla sinistra insieme agli attaccanti.

Il resto delle soluzioni offensive sta nei movimenti continui (o almeno presunti) dei due attaccanti. Una cosa che si è verificata, e bene, contro il Belgio. Ma che nella partita di ieri, contro la Svezia, non è avvenuta. A causa, soprattutto, della pessima prestazione di Graziano Pellé, bravissimo (e a segno) contro i Diavoli Rossi quanto impacciato e inconcludente contro gli svedesi. Per l’attaccante del Southampton, appena il 50% di passaggi conclusi con successo, un solo tiro in porta (al 49esimo minuto) e pure 0 duelli aerei vinti. È mancato pure in quella che dovrebbe essere la sua specialità, insomma. Tutto è cambiato con l’ingresso di Zaza, più mobile e aggressivo del Pellé di ieri. E qui rimandiamo al semplice quanto saggio e condivisibile discorso di Massimiliano Gallo, che nel postpartita di ieri “chiedeva” a Conte un maggiore coraggio nelle scelte offensive. Più che un maggiore coraggio, occorrerebbero scelte più orientate alla qualità. Zaza (o Immobile) per Pellé, ma anche Insigne (o El Shaarawy, magari) per Eder. Che non è un calciatore poco dotato tecnicamente (il gol di ieri non è casuale, basta rileggere la sua storia personale), ma è troppo discontinuo, anche nella ricerca della giocata a effetto. Quella che servirebbe, a questa Italia, per scardinare squadre come quella svedese, che ha disinnescato la costruzione bassa di Bonucci e ha quindi in qualche modo reso inoffensiva la soluzione offensiva più cercata dagli azzurri. La regia meno “illuminata” del centrale bianconero (che resta comunque il calciatore con più palloni toccati, 76, in tutta la partita), la sua prestazione meno brillante in fase di impostazione, la leggi nel numero di passaggi sbagliati (14) e nel fatto che questi siano soprattutto quelli a lunga gittata, facilmente intercettati dagli altissimi calciatori svedesi. Sotto, nel campetto posizionale, tutti i palloni giocati da Bonucci. In rosso quelli sbagliati.

L’Italia è questa e sarà questa. Una squadra potenzialmente perfetta per battere avversari anche più forti o molto più forti, ma dalla scarsa organizzazione tattica (il Belgio); ma che però fa fatica, se non spinge al massimo (la Juventus di Conte, che però aveva molta più qualità), ad aver ragione di squadre pure molto modeste. Come la Svezia o la prossima Irlanda, quindi prepariamoci a un’altra partita così. Poi, si andrà agli ottavi e la musica cambierà, fin da subito. A quel punto, contro Croazia (più probabilmente) o Spagna, vedremo se questo tipo di scelte e impostazioni basterà a vincere contro il talento e l’organizzazione messe insieme. Per il momento, i fatti e i risultati promuovono Conte. E le sue scelte, forse impopolari e poco “spettacolari”. Ma redditizie.

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