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Di Natale, il campione esploso a trent’anni, lascia l’Udinese: «Non so se smetto»

Di Natale, il campione esploso a trent’anni, lascia l’Udinese: «Non so se smetto»

Sono stati i giorni di Totti, ce ne siamo accorti anche noi a Roma, lunedì. Le notizie sul suo addio al calcio e alla società giallorossa sono all’ordine del giorno, tutti descrivono delle volontà di calciatore, allenatore e società. Quello che non successe (e l’abbiamo scritto anche su queste pagine) quando a lasciare il calcio e la squadra della sua vita fu Alessandro Del Piero. Fu un taglio netto, preciso, deciso, da parte della società. Arrivederci e grazie tante, senza polemiche ma con un retrogusto un po’ amaro. Fu una scelta, condivisibile o meno a seconda dei punti di vista. Forse più professionale e meno romantica rispetto a quella (non ancora certa) riguardo Totti. Ognuno giudica secondo la sua coscienza calcistica.

Volendo fare gli schematici, matematici e organizzatori, si potrebbe dire che l’addio di Totti rientra nella macrocategoria delle “indecisioni di club e calciatore”, con la città da una parte e il tecnico Spalletti contro, a invocare una (giustamente?) propria decisione tecnica mentre l’atleta spinge per giocare ancora. Una roba de core. Quello di Del Piero, invece, fu gestito direttamente dalla società secondo una strategia aziendale: Del Piero via, a prescindere dalla sua volontà di giocare ancora. Una decisione della Juventus, punto.

Oggi, Di Natale ha annunciato in una conferenza stampa qualunque che non ci sarà per Udinese-Torino (domani sera, ore 18) perché vuole essere presente per Udinese-Carpi ultima stagionale dei friulani nel loro (nuovo) stadio. «Sarà la mia ultima partita con l’Udinese, e non voglio mancare. Non so se poi smetto». Antonio Di Natale è la terza via: ha deciso di bypassare il proprio volere di giocare ancora e di togliere l’Udinese da ogni imbarazzo estivo. Del resto, quest’anno ha giocato 22 partite in tutto con un minutaggio totale pari a 1136′, ovvero 51 minuti per ogni suo match. Una miseria, sicuramente. Già in questo 2015/2016, Di Natale ha rappresentato, insieme, un dubbio e una presenza ingombrante per Colantuono e De Canio, i suoi allenatori, e per i compagni d’attacco Thereau, Zapata, Perica. Un fantasma tirato fuori ad ogni momento negativo dei bianconeri, un punto di domanda e un periodo ipotetico sul cosa sarebbe successo se Di Natale fosse stato in campo.

Di Natale si fa da parte da solo, si autoritira da giocatore. E abbiamo voluto coniare questo termine riflessivo, perché se Totti si ritirerà è perché “lo hanno fatto ritirare”. Così come accadde a Del Piero, che si reinventò (malinconicamente) in Australia e in India. Totò, invece, passa all’azione e sceglie la strada dell’autodeterminazione. Un po’ come è sempre successo nella sua carriera, una roba strana per come si è sviluppata. Di Natale è sbocciato all’improvviso come attaccante di rango, ha bussato al grande calcio quasi senza che nessuno se ne accorgesse. Si è scoperto, da solo, grande campione. A 26 anni la prima stagione in A con l’Empoli, tra l’altro con soli 5 gol. Poi un trasferimento a Udine, uno dei tanti cambi di maglia estivi che riempiono i tabellini ma non la fantasia dei tifosi. La conferma, nelle due stagioni successive: Di Natale appoggia bene i suoi compagni d’attacco, prima Spalletti e poi Cosmi gli danno visibilità e una maglia da titolare. Una buona seconda punta, ma da 15 gol in tutto in due stagioni.

A 30 anni, fragorosa, l’esplosione. In rapida successione, il numero di gol in campionato: 11, 17, 12, 29, 28, 23, 23. Le stagioni da 29 e 28 valgono ovviamente il titolo da capocannoniere, insieme a un posto in Nazionale per i Mondiali sudafricani. In realtà, Di Natale c’era anche a Euro 2008, con Donadoni che farà faville nell’estate del 2009 per averlo con sé al Napoli. Solo che Di Natale è (diventato) uguale Udinese, ha trovato una dimensione perfetta per sé e per la famiglia. Forse anche per quella moglie, alla resistenza della quale i maligni fanno risalire il no a De Laurentiis.  

Se fu davvero “merito” della signora Di Natale, non si può non riconoscere la coerenza dell’intera famiglia: l’anno successivo, estate 2010, Di Natale è già della Juventus. Poi no, niente da fare. E allora i bianconeri di Torino virano su Quagliarella, che con Cavani al Napoli vedrà ridursi gli spazi. Di Natale continua a giocare in quella che ormai è casa sua, lo fa bene e con numeri ancora pazzeschi, ma soprattutto con la grande classe di un giocoliere col vizio del gol. Anche Prandelli non resiste alla tentazione, e lo inserisce nella lista per Euro 2012. Totò inizia col gol alla Spagna, poi esplode Balotelli e l’avventura azzurra finisce. L’ultima presenza coincide con il secondo tempo della finale di Kiev, ancora contro la Spagna. Stavolta senza gioia. 

Le ultime due stagioni dicono comunque 17 e 14, quindi 31 gol. Una bella roba, a 36 e 37 anni. Oggi è a 38, e ha deciso di rappresentare la terza via. Di autodeterminarsi, di darsi una scadenza definitiva. Diverso da Totti, ma anche da Del Piero. Anche se, con il capitano bianconero, al di là dei colori, condivide una statistica particolare: nell’anno dello stadio nuovo, saluta la vecchia bandiera. Nel 2012 lo Stadium, tra due settimane la Dacia Arena. Un passaggio di testimone tra il passato e il futuro, se vogliamo fare i retorici. Che però è curioso, e forse anche un po’ emblematico.   

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