Andiamo fuori tema. Almeno per una doverosa parentesi. Perché tutti stiamo parlando e scrivendo di Roma-Napoli ma è giusto ricordare che la partita di ieri – perduta dagli azzurri nei minuti finali – è durata dieci minuti. Non di più. Dalle 16.41 fino al fischio finale. Prima, quello zero a zero, con Manolas che esce, con Szczesny che para non si sa come un tiro di Higuain dopo uno stopmagico, con Callejon che viene beccato in fuorigioco millimetrico, con Salah che dopo cinquanta secondi la sparacchia fuori, tutto, tutto questo ieri all’Olimpico è stato sottoclou. Quegli incontri previsti nelle riunioni di pugilato in attesa dell’evento. Quelle esibizioni dei gruppi minori prima che arrivi il turno del protagonista del concerto. Lui, il capitano, Francesco Totti.
Innanzitutto ci preme raccontare che all’Olimpico di Roma i Righeira non hanno fatto breccia. Il tifo giallorosso è rimasto ancorato alla tradizione e prima della partita gli altoparlanti hanno diffuso le note di “Campo Testaccio”, la consueta “Roma Roma” al momento dell’ingresso in campo delle due squadre, e l’altrettanto fissa “Grazie Roma” in caso – ahinoi – di successo romanista. Una manifestazione di orgoglio autoctono, un fiero respingimento della melodia (?) piemontese che un po’ ci ha emozionati. Uno dei misteri della tifoseria organizzata napoletana resta il no a “’O surdato nnammurato”.
Ma torniamo a Totti. Mentre sul terreno di gioco i ventidue si agitano e rincorrono il pallone, a inizio secondo tempo – con due sostituzioni su tre già effettuate – Luciano Spalletti manda a scaldare De Rossi, Dzeko e Strootman. In cuor loro, ciascuno dei tre sa che non entrerà mai. Il divo resta in panchina. I tre trotterellano, poi scattano, fanno stretching. Verso il ventesimo, Totti si alza. Primi fremiti dell’Olimpico che comincia a stiracchiarsi. Sa che il film durerà poco ma non ne più della pubblicità. Una corsetta, due, tre. Poi si riaccomoda in panchina. I tre continuano a correre.
Poi, a un certo punto, Strootman si sfila. Dzeko rallenta. De Rossi continua imperterrito. Il quarto uomo comincia ad armeggiare col tabellone. Il pubblico si dà di gomito: sta per cominciare. Improvvisamente sbuca dalla panchina, come un gladiatore che fa il suo ingresso nell’arena. Francesco Totti. Appare, con la maglia numero dieci. L’Olimpico si sveglia. Gli spettatori si sistemano per bene sui sediolini. Sguardo all’orologio. Vabbè dieci minuti, meglio di niente.
Lui entra. Boato. Fa fallo su Albiol. Trotterella – nel frattempo De Rossi è tornato a sedersi – e fa per due volte lo stesso identico movimento. Va verso la fascia destra a prendersi la palla. Staziona lì, come un vigile a piazza Venezia. Scodella a Salah che però non ha il piede di Higuain. Pochi minuti e ci riprova. Reimbocca via del Corso e si ritrova lì. Ri-scodella e finisce come finisce.
I papà abbracciano i regazzini. “Hai visto? Nun te devi preoccupa’”. È come il supereroe, non ti devi preoccupare, entra e salva la partita. Chissà se anche lui, come Jeeg Robot, è caduto nel Tevere. Non c’è il Napoli in queste poche righe. Com’è giusto che sia. Ieri all’Olimpico la partita è durata dieci minuti. Gli spettatori erano venuti per quello. Il resto è stata una noiosa attesa. Checché ne dica Spalletti che pure rilascia dichiarazioni intelligenti e condivisibili a fine partita. I bambini romanisti ieri sera, addormentandosi, non hanno pensato a lui.