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La modestia del Napoli in prestito conferma i problemi dello scouting

Scouting, seconde squadre, settori giovanili. Tre lettere esse, tre strade diverse per lo sviluppo e le politiche di ricambio dei grandi club. Al sistema italiano mancano le succursali nelle serie inferiori, come accade in tutti i grandi tornei europei (tranne la Premier, dotata però di un vero e proprio campionato riserve), e per questo esiste da sempre, e da sempre viene utilizzato, lo strumento del prestito. I club più importanti mandano in giro i propri talenti per squadre meno blasonate, della stessa categoria oppure no, in modo da permettergli di accumulare esperienza sul campo. Una locuzione fatta che però, in questo caso, è assolutamente realistica e veritiera.

C’è quindi un piccolo esercito di giovani calciatori che giocano in una squadra ma in realtà appartengono a un’altra. Succede da sempre, è una pratica diffusa che in realtà non fa male a nessuno. Pensate che, proprio nella Premier League dei sogni e degli sceicchi, il mercato dei trasferimenti temporanei è aperto quasi tutto l’anno senza alcun tipo di limitazione. Certo, ci sono anche le altre facce della medaglia: il prestito non è legato solo ai giovani, è una formula che può essere utilizzata per sbarazzarsi dei calciatori in esubero senza cederli veramente. Una sorta di limbo perenne che permette alle società di comportarsi come in un negozio qualsiasi: diritto di reso alla scadenza del contratto.

Come stanno il Napoli e gli altri grandi club italiani da questo punto di vista? Difficile da dire subito, anche perché un numero oggettivo di calciatori in prestito non spiega granché: il fatto che il club di De Laurentiis abbia 26 calciatori fuori in prestito, dieci in meno rispetto al Chievo, non può voler dire per forza che la società veronese abbia una politica giovanile e di scouting migliore di quella azzurra. È un discorso di qualità del prestito e del calciatore, sempre da contestualizzare al di là delle cifre nude e crude. 

Per iniziare un discorso, però, bisogna comunque partire da numeri primordiali: il Napoli, quindi, ha 26 calciatori fuori in prestito. Vediamo le altre prime cinque della classifica: Juventus 61, Roma 33, Fiorentina 29, Inter 37, Milan 18. Come dire: anche in questo campo, Juventus cannibale, con il doppio o quasi di tutte le squadre, con l’Inter buona seconda (sempre a distanza siderale) e Napoli penultimo. Come detto, però, è necessaria una prima scrematura che è pure una contestualizzazione: il prestito di un Dezi (dal Napoli al Bari) o di uno Skorupski (dalla Roma all’Empoli) non sono uguali a quelli di Jorge Martinez (ancora di proprietà della Juventus, a titolo temporaneo agli uruguagi della Juventud) o di De Guzman (al Carpi via Napoli) e Doumbia (dalla Roma al Newcastle). Perché i primi sono dei prestiti in prospettiva, al di là di un eventuale diritto di riscatto o controriscatto; i secondi, invece, sono i classici casi in cui si invita, in qualche modo, il calciatore a farsi da parte. Portandosi dietro, magari, un bel po’ di un ingaggio ormai obsolescente. Scremiamo, dunque. E tiriamo le somme tracciando una linea sotto i 24 anni, che identificano ancora un calciatore come “giovane promessa” : la Juventus ha 52 calciatori in prestito, la Roma 32, la Fiorentina 26, l’Inter 34, il Milan 13. La differenza, per quanto elevata, si è in qualche modo umanizzata. Anche il Napoli, che ha Andujar, Zuniga e De Guzman fuori, scende fino a 23 elementi giovani a farsi le ossa. 

La Juventus, in questo esercito, ha dunque un proprio reparto speciale. Una ulteriore “squadra doppia” di calciatori da poter far rientrare alla base e su cui costruire il futuro. Nomi importanti: Leali, Cerri, Mandragora, Rosseti. Ci sarebbe anche Kingsley Coman, su cui però il Bayern può esercitare un (milionario) diritto di riscatto. Al di là del francese, parliamo comunque di giovani importanti, conosciuti. E che, al di là di prestazioni e momenti negativi sparsi, sono protagonisti o quasi in massima serie o campionato cadetto. Leali è titolare a Frosinone; Cerri, Mandragora e Rosseti hanno messo insieme 52 presenze con Cagliari, Pescara e Cesena, tre squadre in piena lotta promozione. Analizzando i nomi, bene anche la Roma: ci sono Sanabria titolare in Liga con lo Sporting Gijón, Paredes e Skorupski colonne all’Empoli e Politano nel Sassuolo. Più Ljaljc e Iturbe in prestito a Inter e Bournemouth, ma questa è un’altra storia. 

Bianconeri e giallorossi, in questo senso, tengono l’andatura. Il Napoli insegue, ma affanna: basti pensare che, al di là di Andujar, Zuniga e De Guzman, giocano in un massimo campionato, italiano o straniero, solo Duvan Zapata, Radosevic, Bruno Uvini, Gnahoré, Novothny e Maiello. I nomi anticipano qualcosa, ma è il numero di presenze a chiarire la qualità, in prospettiva, di questi prestiti: 78 in tutto, di cui 26 per Uvini con la maglia del Twente in Eredivise e 20 per Novothny con quella del Diósgyör, serie A ungherese. Il vero peccato è per Zapata, ancora a 17 partite giocate con l’Udinese a causa di un infortunio. Il resto è poco, pochissimo: Dezi, Roberto Insigne e addirittura Nicolao Dumitru giocano in Serie B, rispettivamente a Bari, Avellino e Latina. In cadetteria sale un po’ la media di presenze, con 56 presenze per tre calciatori. Poi, è solo Lega Pro.

Questi dati sottolineano e ribadiscono quello che è un problema reale del Napoli: la difficoltà nel fare scouting, soprattutto nel rapporto con le squadre dello stesso livello degli azzurri. E non solo di quelle. L’Inter, ad esempio, ha in prestito calciatori giovani e importanti come Laxalt (Genoa), Biraghi (Granada) e Dodò (Sampdoria), giusto per limitarci alla Serie A. Se scendiamo in B, troviamo protagonisti del campionato come il portiere del Latina Di Gennaro e l’ivoriano Yao del Crotone. La Fiorentina ha Capezzi al Crotone e Rebic e Gilberto al Verona. Lo stesso Milan, che ha meno calciatori in prestito rispetto a tutte le altre grandi del campionato, ha Petagna titolare all’Ascoli e Beretta nella Pro Vercelli. Entrambi in Serie B, come Comi e Vergara (entrambi al Livorno). Più Suso al Genoa e Verdi nel Carpi, in massima serie. 

La verità sta nel mezzo, nel senso che difficilmente tutti questi calciatori saranno parte del ricambio dei club che ne detengono il cartellino. Anzi, rimaniamo ottimisti se pensiamo che il 10% di loro, nella prossima stagione o in quella successiva, andranno a rinforzare l’organico della casa madre. Però sono capitali da poter muovere, giocatori da poter rivendere con un prezzo accresciuto dall’esperienza. In ogni caso, pedine importanti in un progetto di sviluppo a medio-lungo termine. Anche il Napoli ne avrebbe bisogno, e questo è un discorso che si lega a doppia mandata alle politiche per il settore giovanile e a quelle per migliorare la resa dello scouting. Per dirla in breve: c’è altro, c’è vita oltre Insigne e Higuain. Basta solo cercare di scoprirla e andarsela a prendere.

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