C’è un sottile feeling che lega la vita del grande scrittore francese alla nostra città.
Nel 1864 quando per l’ultima volta lasciò Napoli per tornare a Parigi, scrisse:
Lascio la più bella città del mondo.
Avevatrascorso a Napoli in quell’ultimo periodo ben tre anni e mezzo (’61 -’64) ed erano stati anni intensi di avvenimenti.
In realtà Dumas era stato a Napoli già nel ’35 quando regnava un Borbone illuminato come Ferdinando II, ma poiché le autorità gli avevano negato il permesso d’ingresso, Dumas pensò bene di visitare la città sotto falso nome. Era accompagnato da un suo amico pittore, da una attrice, Ida Ferrier, che avrebbe poi sposato nel ’43, e da un bulldog.
Delle emozioni di quella visita ne scrisse in seguito raccogliendole in un testo pubblicato in ben quattro volumi tra il ’41 e il ’43. Il saggio ebbe il titolo di Il Corricolo ed è la prima di tre opere che Dumas ambientò a Napoli. Al Corricolo seguirono poi Le confessioni d’una favorita e La Sanfelice, opere che furono scritte nel secondo e più lungo periodo partenopeo di Dumas, cioè tra il ’61 e il ’64.
Nella mia libreria c’è La Sanfelice e del Corricolo fa mostra un estratto di circa 200 pagine curato dal Touring Club Italiano e inserito in una collana dedicata a viaggi.
L’estratto si intitola Napoli Borbonica, e se riuscite a trovarlo ve ne consiglio la lettura.
La lettura è godibilissima e sembra di leggere un libro di Luciano De Crescenzo!
Immaginate ora questo quartetto che si aggira clandestinamente nella Napoli del 1835: una bella donna, un esile pittore, un grosso cagnone, guidati da una imponente figura negroide (la nonna di Dumas era di Haiti) dai capelli cespugliosi e crespi.
Bisogna ricordare che in quegli anni Ferdinando II aveva portato Napoli a essere considerata leader tra le grandi città europee primeggiando in molti campi, sia scientifici che culturali.
Per ricordare alcuni primati dell’epoca ricordiamo la prima ferrovia italiana del ’39 (Napoli-Portici); la cantieristica napoletana che metteva in crisi quella britannica e che già nel ’18 aveva varato il primo piroscafo a vapore che avesse mai navigato il Mediterraneo; nel ’40 altro primato: la città venne illuminata a gas meritandosi l’appellativo di Parigi del Golfo.
Napoli era quindi una città ricca, gioiosa e bellissima.
Ferdinando II, salito al trono nel ’30 dopo il padre Francesco I, aveva applicato una specie di Spoiling System verso l’entourage del padre che aveva accumulato debiti ingenti con la sua mala gestione. Aveva poi imposto quella che oggi si chiamerebbe spending review razionalizzando le spese e riportando in breve il bilancio in pari e fornendo per la prima volta dati trasparenti alla cittadinanza.
Napoli divenne la meta dei ricchi dell’epoca, il soggiorno che certificava l’educazione d’ogni gentiluomo. Nel ’37 si contarono ben settemila visite che videro il passaggio di personalità come Walter Scott (Ivanoe), Lamartine, Bulwer-Lytton noto per aver scritto Gli Ultimi Giorni Di Pompei, il compositore Mendelsshon, lo statunitense Fenimore Cooper (quello de’ l’Ultimo dei Mohicani), Charles Dickens (il Circolo Pickwick, Olivier Twist, David Copperfield eccetera).
Napoli era una calamita per gli intellettuali di tutta Europa. Una visita obbligata in qualsiasi tour culturale.
E poi si parla dei Borboni con accezione sempre negativa… Certo che dopo Ferdinando il figlio Francesco II si dimostrò un inetto, odiato dal popolo, incapace di difendere il Regno delle due Sicilie dall’intervento piemontese. Anche nei Borboni c’era del buono e del marcio.
Ma torniamo a Dumas.
Nel Corricolo Dumas esordisce dicendo:
Napoli si compone di tre strade in cui si va sempre, e in cinquecento in cui non si va mai. Le tre strade sono Chiaia, Toledo e Forcella. Le altre cinquecento sono l’opera di Dedalo, con il Minotauro in meno e i Lazzaroni in più.
Ma a Dumas interessavano proprio le strade più popolari dove si ritrovava il vero spirito dei napoletani. E siccome le cinquecento strade si potevano percorrere o a piedi o con una specie di calessino che passasse dovunque, chiamato appunto Corricolo, il gruppo Dumas pensò di utilizzare questo mezzo, e da qui il nome dell’opera che descrive questo soggiorno.
Particolarmente gustosi sono i capitoli dedicati agli aneddoti e alla jettatura.
Tornato a Parigi Dumas visse il suo periodo d’oro come autore teatrale e come romanziere e divenne ricchissimo.
Tanto ricco che come amico e ammiratore di Garibaldi, sostenne la sua spedizione regalandogli anche un bastimento carico d’armi e di soldati. Inoltre spesso lo troviamo al seguito del Generale in camicia rossa, come nella battaglia di Calatafimi.
Così, quando Garibaldi entrò in Napoli nel ’61, Dumas era lì ad aspettarlo. Fu nominato dal Generale Direttore degli scavi di Pompei e dei musei.
Alexandre fondò a Napoli un giornale garibaldino, l’Indipendente, aiutato da un giovanissimo avvocato napoletano Eugenio Torelli Viollier, di mamma francese. Torelli seguirà poi Dumas a Parigi per poi tornare in Italia, a Milano, dove nel ’76 fonderà e dirigerà il Corriere della Sera.
Quindi, quando leggiamo questo importante quotidiano, ricordiamo che è stato fondato da un napoletano doc amico di Alexandre Dumas.
In quel periodo napoletano Dumas scrisse altri due poderosi romanzi che hanno come scenario Napoli, e in particolare la Napoli della rivoluzione del 1799: Le confessioni d’una favorita e La Sanfelice.
Quest’ultimo fu pubblicato per la prima volta a puntate proprio sull’Indipendente.
Da notare che il forte legame di Dumas con Napoli aveva origini ancora più remote anche se indirette e tragiche.
Il padre, Thomas Alexandre Davy de La Pailleterie, mulatto, coraggioso generale di Napoleone detto il Diavolo Nero, era stato catturato da Ferdinando I e imprigionato a Napoli per due anni. Malato di cancro fu scarcerato ma morì poco dopo lasciando il figlio Alexandre di poco più di tre anni.
Ci si può allora chiedere: perché lo scrittore non si chiamasse De la Pailleterie invece che Dumas?
È noto che il padre del romanziere aveva già da tempo abbandonato il proprio cognome e il titolo nobiliare, essendo in disaccordo con il padre marchese, per assumere il soprannome della mamma haitiana, donna di colore ed ex schiava: du-mas, cioè “della masseria”.
Dopo aver ricostruito questa storia, quando passo davanti agli scaffali della mia libreria e rivedo i libri che mi hanno accompagnato nella mia adolescenza, immagino un Robin Hood che corre nella foresta di Sherwood portando al collo una sciarpa svolazzante; i quattro moschettieri che sbeffeggiano le guardie di Richelieu facendo ondeggiare nei combattimenti le loro bellissime sciarpe, belle come quella che avvolge il collo di Edmond Dantès, il Conte di Montecristo, mentre si protegge dal freddo nell’umile abitazione in cui progetta le sue vendette.
Ah, dimenticavo: la sciarpa è azzurra e porta una scritta bianca: Forza Napoli.