La premessa è in quel che ho scritto a caldo, ancora sulle gradinate dello Juventus Stadium, mentre juventini retrò si attardavano a canzonarci intonando ’O surdato nnammurato, ignari della nostra svolta righeiriana. Non bisogna farne un dramma e andare avanti. Il Napoli ha perso una partita perché, piaccia o meno, quella contro la Juventus è una partita e nulla più. Lo ripeto praticamente in solitudine ma è quel che penso (anche se vedere tanti juventini tutti insieme bisogna riconoscere che non è un’immagine che restituisce il sorriso). Una partita che sottrae troppe energie all’ambiente Napoli. E quando perdi energie, poi rischi di pagarlo. La sconfitta, però, qualche minima considerazione la merita. Al di là degli eleganti riconoscimenti da parte degli avversari, in primis Buffon e poi anche Allegri. Ci sono approcci profondamente diversi a un evento sportivo. Ce la si può giocare e si può giocare per vincere. La Juventus, per storia e chissà forse anche per dna, sceglie sempre la seconda strada. Anche, come ieri sera, a costo di passare davanti al proprio pubblico per una squadra impaurita e rassegnata.
Dieci giorni fa, conversando con un amico, provai a dire che la Juventus non ci avrebbe aggredito. Non lo avrebbe fatto perché consapevole in questo momento di essere inferiore nel corpo a corpo, ma che ci avrebbe aspettato e avrebbe atteso il momento propizio per colpire. E se non fosse arrivato, amen; a loro il pareggio, dati causa e pretesto, sarebbe andato bene. Anche perché sanno che alla lunga sanno reggere meglio la tensione. Apriti cielo. L’amico reagì come un tarantolato. Perché è impensabile per noi fare quello che hanno fatto loro. Per giunta nel loro stadio. Davanti ai loro tifosi. Lo hanno fatto perché era la loro unica strada. Uno più debole può vincere solo se consapevole della propria debolezza. Ci vuole intelligenza. Ci vuole umiltà. E bisogna avere l’obiettivo in testa.
Ho letto da più parti che il Napoli non è riuscito a imporre il proprio gioco. Resto francamente esterrefatto. Abbiamo vissuto la vigilia di questa partita come se fosse la fine del mondo. L’Olanda non esibì certo il magnifico gioco nella finale del 1974. Anche la splendida Ungheria nel 1954 si andò a schiantare contro la Germania (e le anfetamine). McEnroe vinse il suo primo Wimbledon giocando una pessima partita. Quando giocò da Dio, perse. E potremmo continuare all’infinito. Ma davvero qualcuno credeva che, dopo averla presentata come una finale Mondiale, saremmo andati allo Juventus Stadium e passati come i lanzichenecchi a Roma contro chi ha vinto quattro scudetti di fila, 14 partite consecutive e ha perso una Champions in finale col Barcellona? Era una barzelletta, voglio sperare. Lo sport è affascinante perché è uno stato mentale. Altrimenti non coinvolgerebbe tante persone. Il più forte batterebbe sempre il più debole.
Il Napoli è più debole nella testa. E il Napoli siamo noi. Perché è a noi che piace questa identificazione con la città. Ne andiamo fieri. La ostentiamo. E allora dobbiamo assumercene anche le responsabilità. È una condizione non più negoziabile. È così, punto. Nel bene e nel male. Dallo stadio che contesta una squadra terza in classifica ai commoventi tremila a Capodichino per sostenere i calciatori dopo una sconfitta. Sono due facce di una stessa medaglia. Che vanno accettate entrambe. È inutile attardarsi in altre considerazioni. Non è però superfluo ricordare che in questo ambiente vincere è notevolmente più complesso, magari incommensurabilmente più bello ma dannatamente più difficile. È un dato di fatto. Che va messo nel conto.
Detto questo, ora bisogna avere la forza di voltare pagina. E in realtà non è nemmeno così complesso. Sarri e la squadra faranno la loro analisi tecnico-tattica. Perché c’è sempre un motivo se si perde una partita, persino una come quella di ieri. Anche un motivo di campo. E visto che questo è un articolo non autodifensivo, dico che dovremmo smetterla di dipingerci come parvenu. Perché non lo siamo. Siamo da cinque anni la seconda squadra più forte d’Italia. Abbiamo il calciatore più forte della serie A, che è anche il capocannoniere. E si potrebbe continuare. E quindi i nostri successi o il nostro stare vicino alla vetta non dovrebbe essere vissuto come un evento eccezionale, quasi irripetibile.
Insomma, ragioni per cui abbiamo perso non mancano. E sono più o meno le solite. Quel che possiamo dimostrare, subito, è che diversa sarà la reazione. Il campionato non è certo finito ieri sera. La Juventus ha avuto la forza di inseguire invano per otto domeniche. Possiamo farlo anche noi. E magari saranno meno di otto.