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Il tormentato rapporto tra il Napoli e la Nazionale

Il tormentato rapporto tra il Napoli e la Nazionale

Ho la sensazione (ma spero di sbagliarmi) che Lorenzo Insigne avrà problemi ad esprimere ed a far esplodere il suo talento nella Nazionale di calcio sotto la gestione dell’attuale c.t. Antonio Conte. Mi sembra di aver colto, in alcune sue dichiarazioni, un po’ di sottovalutazione nei confronti del nostro giocatore: “spero che anche in Nazionale possa far bene e non solo nel suo club…” e dopo avere assistito in tribuna alle partite del Napoli contro la Juventus e il Milan, in cui Insigne ha dato spettacolo, essendo oltretutto uno dei pochi calciatori italiani di valore in squadre che arrivano a schierare anche undici giocatori di nazionalità straniera, lui che dell’Italia è il selezionatore (e che spesso si lamenta della scarsità di italiani titolari nelle nostre squadre) avrebbe dovuto parlare soprattutto delle sue spettacolari e convincenti prestazioni ed invece, incredibilmente, gli ho sentito fare complimenti ed elogi al….la Fiorentina (“la vera rivelazione del campionato”) e trovare comunque qualche aspetto negativo sulle sue qualità calcistiche (“nel tridente d’attacco va bene, ma come trequartista non lo vedo proprio!”…”aspetto che anche in Nazionale faccia bene, non solo nel Napoli…”).

Purtroppo per noi napoletani, che seguiamo le vicende della nostra squadra e dei nostri calciatori, non sarebbe la prima volta che le scelte di un Commissario Tecnico della Nazionale penalizzano i nostri beniamini, ignorandoli o sottovalutandoli. 

Ricordiamo Ciro Ferrara, grande difensore già quando giocava nel Napoli, che solo dopo il passaggio alla Juventus diventò addirittura un pilastro della difesa italiana per diversi anni.

Al Mondiale in Sudafrica, Marcello Lippi portò cinque attaccanti: Di Natale, Gilardino, Pazzini, Iaquinta e Quagliarella che in quel periodo vestiva la maglia azzurra. Ebbene, nello stupore dei tifosi napoletani (e, se non sbaglio, del solo Giampiero Galeazzi), nonostante nelle prime due partite del girone iniziale l’Italia giocasse male, dimostrando soprattutto una scarsa forza offensiva, alternò un po’ tutti gli attaccanti a disposizione, tranne Quagliarella, che anche nella terza e decisiva partita con la Slovacchia non schierò titolare. Ricordo perfettamente i salottini serali su Sky Sport in cui i commentatori, affranti per le prime due brutte partite disputate, si chiedevano sconsolati: “Eppure Lippi le sta provando tutte…(???) …è partito con Di Natale e Iaquinta, poi ha schierato Gilardino, Pazzini…” e Paolo Rossi si chiedeva costernato: “E domani con la Slovacchia, chi possiamo schierare in attacco? Li abbiamo provati tutti…”. Tutti??? E Quagliarella? Addirittura Lippi lo aveva talmente ignorato che se ne era dimenticata anche la sua presenza in panchina.

E la prova che il nostro stupore non era dovuto solo a un mero campanilismo la si ebbe quando finalmente, ma solo nel secondo tempo dell’ultima partita con la Slovacchia, quando stavamo già sotto di brutto e avevamo un piede e mezzo fuori dai Mondiali, Quagliarella fu mandato in campo (insieme con Maggio), trasformando completamente la partita (ma, ahimè, troppo tardi), segnando e propiziando un paio di gol (finì 3-2 per loro), cogliendo un clamoroso palo con una sua magia da fuori area e riaccendendo la speranza della squadra e dei tifosi che fino al fischio finale avevano visto la possibilità di ribaltare un destino che sembrava ormai segnato (l’Italia fuori al primo turno).

Al Mondiale successivo, in Brasile, il c.t. Prandelli portò Lorenzo Insigne che vinse un ballottaggio finale con Giuseppe Rossi per rientrare nella lista dei 23. Successo dovuto alla stima che aveva di lui l’allenatore (dichiarata pubblicamente nelle interviste). In quel gruppo c’erano anche Immobile e Verratti che si ritrovavano insieme dopo la bellissima esperienza nel Pescara di Zeman in cui avevano interpretato un meccanismo di gioco e di attacco che ne esaltava le qualità, messe da ognuno dei tre al servizio degli altri due, generando intesa sul campo ed espressione ai massimi livelli della genialità di ognuno. Con risultati calcisticamente spettacolari.

Anche a quei Mondiali l’Italia arrivò senza certezze tattiche, con moduli di gioco abbandonati all’improvviso dopo averli provati a lungo ed il solito problema dell’attacco sterile, affidato alle lune dell’ombroso e scontroso Balotelli.

Pochi giorni prima dell’inizio del torneo, la Nazionale giocò in Brasile un’amichevole (contro il Fluminense), Prandelli schierò Insigne, Immobile e Verratti titolari ed i risultati furono spettacolari: doppietta di Insigne, tripletta di Immobile! Gioco d’attacco come non se ne vedeva da un po’ di tempo, intesa naturale tra loro come ai tempi del Pescara.

E invece, iniziato il Mondiale, forse illuso dalla prima partita vinta contro l’Inghilterra con un gol di Balotelli, ci fu poco spazio per Immobile e pochissimo per Insigne, che fu mandato in campo solo nel secondo tempo della partita contro il Costa Rica che incredibilmente ci stava mettendo (come poi ci mise) sotto, con la pretesa che da solo risolvesse tutti i problemi della squadra, caricandolo di una responsabilità che il nostro Lorenzinho non poteva sostenere, in quel contesto, in quella partita disgraziata (poco dopo entrò anche Cassano). Ricordo ancora i commenti di Prandelli nel post partita di quella gara che faceva presagire (nuovamente) la precoce eliminazione dell’Italia al primo turno: “Mi sono sentito tradito da giocatori che mi aspettavo fossero risolutivi… le sostituzioni non hanno dato gli effetti che speravo, quelli che sono entrati nel secondo tempo mi hanno deluso! (Insigne e Cassano, appunto).

Inutile ricordare che nella terza e ultima partita contro l’Uruguay (persa 1-0) il Nostro non vide più il campo (mentre Cassano entrò, anche stavolta, solo negli ultimi minuti della gara).

Vorrei concludere queste riflessioni, proprio pensando a Insigne, con l’argomento che ultimamente sta tenendo banco nel mondo calcistico napoletano: la maglia numero 10! Sono stato sempre un po’ contrario a questa iniziativa del ritiro definitivo del numero che caratterizzava le maglie dei campioni dello sport durante la loro carriera, per tre motivi principalmente: mi sembra un po’ un’americanata (ed infatti mi pare che l’idea sia nata in Usa nell’Nba), potrebbe provocare nel tempo (in pura teoria, naturalmente) il ritiro e la sparizione, nel calcio, di tutti i numeri di maglia dall’1 all’11 (ed anche oltre) ma, soprattutto, toglie la possibilità a un giocatore di avere l’onore (e l’onere) di indossarla, con la speranza di sentirsene degno, di stimolarlo all’emulazione, soprattutto quando se ne hanno le potenziali capacità. Oppure può diventare, indossandola, la consacrazione di esserne un erede.

A Napoli c’è bisogno di ritirare la “10” per onorare e consacrare ciò che ha fatto e ciò che ha rappresentato Maradona da queste parti? Togliamola dalla naftalina! Rivediamola in campo! E sarà quella, ogni volta, la vera emozione: per chi la indosserà e per chi la vedrà nuovamente muoversi e correre dietro ad un pallone, con un pensiero al passato (e ci mancherebbe!) e una speranza nel futuro: perché escludere che nel calcio possano nascere nuovi campioni e nuovi fuoriclasse? Magari può succedere anche dalle parti di Frattamaggiore…
Pietro Introno

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