Sarri l’esordiente più anziano sulla panchina del Napoli. Poco esperto come Vinicio, Marchesi, Bianchi e Bigon

Che cosa cambia quando si cambia? Nei suoi 86 anni di storia il Napoli ha avuto 53 allenatori, compresi quelli “di passaggio” fra quanti sono subentrati per poche partite (Innocenti, Vecchina, Sentimenti II, De Manes, Mosele, Sallustro, Molino, Di Costanzo, Sormani, Montefusco) e quelli esonerati più o meno a tambur battente (Frossi, Baldi, Giacomini, Santin, […]

Che cosa cambia quando si cambia? Nei suoi 86 anni di storia il Napoli ha avuto 53 allenatori, compresi quelli “di passaggio” fra quanti sono subentrati per poche partite (Innocenti, Vecchina, Sentimenti II, De Manes, Mosele, Sallustro, Molino, Di Costanzo, Sormani, Montefusco) e quelli esonerati più o meno a tambur battente (Frossi, Baldi, Giacomini, Santin, Guerini, tutti in una volta Mutti, Mazzone e Galeone, poi l’ambata Colomba e Scoglio).

Panchina nuova spesso non fa buon brodo. I migliori, al loro primo anno nel Napoli, sono stati Alberto Bigon, vincendo addirittura lo scudetto a prima botta, poi Luis Vinicio, Rino Marchesi, Ottavio Bianchi e Rafa Benitez che, alla prima esperienza in azzurro, hanno centrato il terzo posto.

Ora è il turno di Maurizio Sarri, 56 anni, il più anziano di tutti i tempi alla guida del Napoli (un anno più di Benitez). Si discute molto del curriculum di Sarri giunto a tarda età in serie A (l’anno scorso con l’Empoli).

C’è una curiosità fra i migliori tecnici del Napoli al loro primo anno sulla panchina azzurra che li avvicina in qualche modo al nuovo allenatore.

Se nel palmares di Sarri (nato a Bagnoli, ma trasferitosi in Toscana a tre anni) figurano molti campionati nelle serie minori toscane, a partire da quel suo primo anno da allenatore, 1990-91, la stagione del Napoli di Bigon terzo e dell’addio di Maradona, più tre campionati in serie C e tre in B con Pescara, Arezzo ed Empoli, si può notare che, prima di allenare il Napoli, lo stesso Albertino Bigon aveva fatto appena due campionati in serie A col Cesena, due in interregionale e uno in serie C; Luis Vinicio tre campionati in serie C e uno in B con la Ternana; Rino Marchesi due annate in serie C, una in B con la Ternana e due in serie A con l’Avellino; Ottavio Bianchi, che fu una scommessa di Allodi, cinque campionati in serie C, uno in B con l’Atalanta e due in serie A con Avellino e Como.

Improponibile il confronto con Benitez giunto dopo cinque stagioni nella Liga spagnola e sette nella Premier League inglese (6 col Liverpool, una col Chelsea), più l’anno con l’Inter.

Al loro primo anno sulla panchina azzurra, il mitico William Garbutt arrivò al quinto posto; Beppone Chiappella al settimo; Gianni Di Marzio al sesto; Claudio Ranieri al quarto; Marcello Lippi al sesto; Walter Mazzarri al sesto subentrando a Donadoni che aveva dilapidato 14 punti nelle prime otto partite del campionato 2009-10.

Ecco la prima annata sulla panchina del Napoli degli allenatori che al debutto in azzurro hanno ottenuto i migliori piazzamenti (terzi posti e uno scudetto).

ALBERTO BIGON (1989) – Padovano, passò velocemente da giocatore a Napoli (quattro mesi nel 1967, senza giocare, ceduto alla Spal) e poi velocemente da allenatore, ventidue anni dopo, due stagioni e via centrando lo scudetto al primo colpo. Arrivò sulla panchina azzurra nel 1989 scelto da Moggi. Doveva riempire il vuoto lasciato da Bianchi.

Si annunciò così: “Sono un figlio di Rocco, agli antipodi di Sacchi. Credo nel calcio all’italiana, individuare i punti deboli dell’avversario, colpirli dopo avere distrutto le loro fonti di gioco”. Si trovò alla prese con i problemi di Maradona (ripicche e droga), ma vinse subito il campionato (’89-’90) puntando sul gruppo degli irriducibili: Ferrara (“Maradona porta la fascia, ma il vero capitano è Ciro” disse Bigon), Crippa, De Napoli, Carnevale, Mauro. Perse Renica per infortunio, Maradona saltò sei partite, dodici ne saltò Careca per infortuni.

In testa sino alla 23^ giornata, poi duello finale in vetta col Milan. Bigon lo risolse alla penultima giornata. Disse: “Col recupero di Careca e la crescita di Maradona, il Napoli nel finale ha trovato la sua efficienza”. Uscì dalla Coppa Uefa negli ottavi (il Napoli travolto dal Werder Brema) e dalla Coppa Italia in semifinale (eliminato dal Milan). Conquistò lo scudetto con 21 vittorie, 9 pareggi, 4 sconfitte, 57 gol fatti, 31 subìti. Formazione: Giuliani; Ferrara, Francini; Crippa, Alemao, Baroni; Fusi, De Napoli, Careca, Maradona, Carnevale. Cannoniere: Maradona, 16 gol. Si qualificò per la Coppa dei campioni uscendo ai rigori contro la Spartak a Mosca.

LUIS VINICIO (1973) – Cominciò ad allenare a 38 anni l’Internapoli, la squadra napoletana che giocava al Vomero. Si fece le ossa a Terni e a Brindisi e, quando lo chiamò il Napoli, nel 1973, fu come tornare a casa perché nel Napoli aveva giocato, gioito e sofferto fino a quell’esilio bolognese, per i contrasti con Amadei, di cui conservava una ferita aperta. Venne a prendersi la sua rivincita e sfiorò una grande impresa.

Conosceva l’ambiente e tutti i suoi vizi e perciò si ripromise di essere ancora più “tedesco”. Venne a scuotere una squadra che, negli ultimi anni di Chiappella, s’era “imborghesita” scivolando nella mediocrità del centro-classifica. Aveva un progetto ambizioso: superare il gioco all’italiana con una accentuata strategia offensiva sostenuta da una vibrante tenuta atletica, frutto di allenamenti duri e insistiti. Applicò una zona mista e trasmise ai giocatori una carica non comune.

Trovò una buona difesa (Carmignani, Bruscolotti, Pogliana, Zurlini, Vavassori) e ottenne tre acquisti: il fiorentino Andrea Orlandini, affidabile centrocampista, il modenese Giorgio Braglia, alto, capellone, bella falcata, attaccante da contropiede, e Sergio Clerici, il gringo, brasiliano di San Paolo, un po’ sordo ma “pistolero del gol”, che aveva 32 anni e la voglia di giocare di un ragazzino. Clerici, irriducibile, che correva fino al 90’, fu il giocatore simbolo del Napoli di Vinicio.

Nel primo anno del brasiliano di Belo Horizonte, “tedesco” per carattere, il Napoli balzò al terzo posto. All’attacco, Clerici e Canè facevano faville, un po’ meno Braglia che sbagliava più gol di quanti ne facesse. Perfetta la regìa di Juliano. Centrocampo bene assortito con “Ciccio” Esposito e “Birillo” Orlandini.

RINO MARCHESI (1980) – Alto, magro, distinto, i toni sempre pacati. Un uomo unico nel ribollire di tecnici arrembanti, maghi di provincia, professorini di Coverciano e profeti. Milanese di San Giuliano, di carattere asciutto e sincero, sobrio, arrivò a Napoli nel 1980. Aveva 43 anni. Al calcio aveva smesso di giocare sette anni prima, mediano elegante della Fiorentina e poi della Lazio. S’era tuffato subito a fare l’allenatore cominciando dalla serie C. In serie A era sbarcato nel 1978 giungendo ad Avellino. Due anni dopo era a Napoli.

Con la sua pacatezza e la pazienza smontò un ambiente rumoroso, deluso, irrequieto dopo gli ultimi campionati mediocri. Rasserenò la squadra. C’erano Castellini, Bruscolotti, Ferrario, Vinazzani, Pellegrini, Damiani, Speggiorin. L’anno prima erano finiti undicesimi. Ebbe da Juliano, direttore generale che lo aveva scelto, un rinforzo carismatico: Rudy Krol. Poi, Marangon e Nicolini.

Cominciò con difficoltà. Due sconfitte esterne nelle prima quattro partite. Ammansì lo scontento e le critiche, e il Napoli di Rino Marchesi partì improvvisamente di scatto, spiccando il volo da un 4-0 rifilato alla Roma di Falcao, Conti e Pruzzo. Sorprese tutti con una serie di venti partite perdendone una sola (11 vittorie, cinque fuori, 8 pareggi) finendo col contendere lo scudetto alla Juventus. Si fermò quel Napoli al terzo posto dopo che la sciagurata sconfitta casalinga col Perugia ne interruppe il volo-scudetto.

Il Napoli di Marchesi era di una concretezza disarmante. Forte in difesa, gli bastava fare un gol per vincere. Nella serie positiva delle venti partite, incassò appena 9 reti (e tre solo in una volta, dal Torino). Sette partite le vinse 1-0. Sei azzurri andarono in gol: Pellegrini (8 reti), Musella (4), Damiani (3), Guidetti (2), Speggiorin (2), Krol (1).

OTTAVIO BIANCHI (1985) – Ferlaino lo licenziò da giocatore a 28 anni, Ferlaino lo assunse da allenatore a 42 (voluto da Allodi e Marino). Tornò e disse: “Il feeling con Napoli è rimasto uguale. Non è cambiato niente: stesso presidente, stesso massaggiatore, stesso magazziniere”. Serio e impegnato da giocatore, serissimo da allenatore. Disse: “A Como dovevo fare l’incendiario, a Napoli devo fare il pompiere”. Conosceva bene la città e il calcio. “Bisogna avere la forza di non lasciarsi trascinare da entrambi”. Ironico, aggiunse: “Io sono solo il signor Bianchi. Da mio padre ho avuto un cognome anonimo che mi calza a pennello”.

Lontano dal campo, era una persona deliziosa, allegra e ironica. Un uomo sincero e leale, con gli occhi azzurri. Indifferente alle illusioni del mondo del pallone, ai suoi valzer e agli umori, ai trionfi e alle sconfitte, agli applausi e ai fischi, “perché tutto è nel conto” diceva, fu un allenatore di ghiaccio definito in vari modi: Orso, Martello, Antipatico, Musone. Maradona rivelò un dettaglio curioso: “Bianchi ride se siamo tutti seri, fa il serio se ridiamo tutti”. Un sottile gioco d’equilibrio.

Aveva giocato un calcio semplice, insegnò un calcio altrettanto semplice. “Nessuno inventa niente, italiani e stranieri. Si adatta, si migliora, si mettono le individualità in condizioni di esprimersi al meglio. Il resto sono amenità”. Spiegò: “Con Maradona avanti, dove può creare guasti come nessuno, c’è bisogno che altri si sacrifichino per tenere i collegamenti. Le mie squadre si difendono a metà campo e il Napoli è la squadra che segna più di tutti”.

Al primo anno sulla panchina azzurra centrò il terzo posto. Lanciò Ciro Ferrara, “un ragazzo straordinario, il futuro del calcio”, dette spazio a Volpecina e Carannante, ragazzi di casa, e a Ciro Muro piccolo bomber napoletano. Il suo giocatore preferito fu Bagni. Forse si rivedeva in lui.

RAFA BENITEZ (2013) – Giramondo di successo con quasi 900 partite in panchina, vincendone la metà, e glorie europee a Valencia, Liverpool e Londra versante Chelsea, campionati vinti in Spagna (due), una Coppa in Inghilterra, il Mundialito per club e una Supercoppa italiana con l’Inter, Rafa Benitez, alla splendida età di 54 anni, coetaneo di Maradona, di soli sei mesi più avanti del pibe, rivolta tatticamente il Napoli di Mazzarri (da 3-5-2 a 4-2-3-1) e con gli acquisti di Reina, Albiol, Callejon, Higuain (37 milioni di euro), Mertens, Rafael, Zapata, “sin prisa pero sin pausa”, presenta al primo anno un Napoli divertente stabilendo sei record nella storia azzurra: 23 vittorie e 78 punti (primati già colti da Mazzarri l’anno prima), 10 vittorie in trasferta e appena 4 sconfitte fuori casa, 35 punti in trasferta, 77 gol (secondo attacco del campionato, Juventus 80). Dopo il terzo posto del primo anno, al secondo la magia spagnola si eclissa.

Questi gli allenatori del Napoli che, nel primo anno con la squadra azzurra, hanno concluso il campionato senza essere sostituiti: Garbutt, Csapkai, Mattea, Baloncieri, Vojak, Sansone, Monzeglio, Amadei, Pesaola, Chiappella, Vinicio, Di Marzio, Marchesi, Bianchi, Bigon, Ranieri, Lippi, Boskov, Reja, Mazzarri, Benitez.

Undici tecnici (in serie A) hanno debuttato sulla panchina del Napoli vincendo la prima partita: Sansone, Amadei, Di Costanzo, Di Marzio, Bianchi, Bigon, Ranieri, Canè, Guerini, Mazzarri e Benitez. Dodici hanno debuttato con una sconfitta: Garbutt, Baloncieri, Vojak, Arnaldo Sentimenti, Frossi, Santin, Lippi, Simoni, Montefusco, Mutti, Mazzone, Zeman. Un pareggio hanno colto alla prima gara: Csapkai, Mattea, Payer, Iodice, Vecchina, Chiappella, Vinicio, Marchesi, Sormani, Giacomini, Pesaola, Galeone, Boskov, Donadoni, Mondonico.

MIMMO CARRATELLI

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