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Rivoluzione Juventus: la società e il bilancio sono più importanti dei protagonisti (e dei tifosi)

Il triplete non lo hanno vinto ma lo hanno seriamente sfiorato. Uno scudetto che quest’anno non è mai stato in discussione, la Coppa Italia vinta a Roma contro la Lazio dopo aver rimontato la Fiorentina in semifinale e una finale di Champions perduta contro il Barcellona di Messi, Suarez e Neymar (e non solo). In Italia gli unici ad averli battuti in una partita che contava siamo stati noi a Doha. La stagione della Juventus, cominciata tra gli insulti, i fischi e i calci ad Allegri, è terminata in maniera trionfale. 

Un’italiana in finale di Champions cinque anni dopo. Quell’italiana senza italiani, l’Inter di Mourinho, fu poi gestita diversamente. Non tanto per l’arrivo di Benitez, quanto per la volontà del presidente Moratti di non smantellare la formazione che aveva coronato il suo sogno presidenziale: tornare ad alzare la Coppa dalle grandi orecchie come fece suo padre. Una scelta che l’Inter ha pagato a caro prezzo: da allora, si è piazzata seconda in campionato nel primo anno post-Mourinho e poi la Champions non l’ha vista più. Nel frattempo Moratti ha venduto a Thohir, anche perché non ebbe prima il coraggio di vendere, tra gli altri, Maicon e Milito.

Andrea Agnelli, fumatore incallito e tifoso al punto di accasciarsi sulle poltrone a Doha durante i rigori contro il Napoli, ha invece adottato la pratica uguale e contraria. La riconoscenza alla Juventus è un concetto relativo. Lo si è visto con il trattamento riservato ad Alex Del Piero. Conta la società. Oltre che vincere. In una sola estate, la Juventus di Agnelli ha smantellato l’architrave che ha consentito ai bianconeri di vincere quattro scudetti consecutivi, una Coppa Italia, due SuperCoppe italiane, nonché di disputare una finale di Champions e una semifinale di Europa League. Insomma, un ciclo di tutto rispetto. Con due allenatori diversi. 

Ecco, il principio che Agnelli e la Juventus seguono ricalca il vecchio adagio sull’utilità e l’indispensabilità di ciascuno di noi. Fu lo stesso Agnelli a dirlo lo scorso anno, ancor prima che Conte lasciasse i bianconeri in piena estate. «Nemmeno io sono indispensabile». Ecco, in nome di questo principio la Juventus quest’estate si è privata di Pirlo, Tevez (è praticamente fuggito ed è stato accolto come un re al Boca), e ora Vidal (al Bayern per 35 milioni dopo aver chiuso la campagna abbonamenti: 28mila tessere vendite in un giorno). Probabilmente anche Llorente. E, non si sa mai, se dovesse arrivare l’offerta irrinunciabile per Pogba, darebbe via anche il francese.

I bilanci e la società vengono prima di ogni altra cosa. I tifosi non stanno facendo salti di gioia, non li fecero nemmeno quando arrivò Allegri. Ma alla Juve ci sanno fare, sanno anche come addolcire i media, come massaggiarli (non con le “esclusive” invero ridicole). Loro sono la Juve. E se non c’è Pirlo, ci sarà Khedira. Se non c’è Tevez, ci sarà Dybala. In attesa che parta anche Llorente è arrivato Mandzukic. E ora si vedrà l’erede di Vidal. Nel frattempo hanno fatto rientrare Rugani dall’Empoli e Zaza dal Sassuolo. Senza dimenticare lo stadio di proprietà. Poi si potrà sbagliare l’annata: fare a meno in un colpo solo di Vidal, Pirlo e Tevez non è un gioco da ragazzi. Ma c’è un progetto, un progetto improntato a un principio (prima la società e i bilanci, poi i protagonisti e i tifosi), con lo sguardo perennemente rivolto al futuro. E si vede. La Juventus, ci piaccia o meno, è una grande società.
Massimiliano Gallo

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