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Lettera a un giovane tifoso del Napoli

Lettera a un giovane tifoso del Napoli

Caro giovane tifoso del Napoli,

ti scrivo perché condivido con te almeno un paio di problemi interessanti: anzitutto, con grande probabilità, ci è capitato il compito non semplice di nascere in una città il cui ruolo, nella nostra vita, ci sarà assai difficile gestire; come se non bastasse, ci è toccato l’incarico ancora meno semplice di appassionarci alla storia controversa di una squadra di calcio di colore azzurro. E queste righe te le devo perché, nel caso non lo sapessi, il gioco in questione nasce e vive per te – avendo in te la causa primigenia e il suo fine ultimo.

Per evitare che tu legga l’ennesimo di milioni di sermoni cui fai bene a prestare poco orecchio, tengo a precisarti che quello che muove il mio ragionamento è anzitutto un pensiero debole. Poco cattedratico. Con pochissime risposte e numerose domande. Che ti passo, per incasinare anche un po’ la tua, di vita.

Ho trascorso le più esaltanti ore della mia prima adolescenza giocando a pallone con i compagni di scuola, durante i pomeriggi della settimana, sulle rampe della tangenziale che la provvidenziale inefficienza delle istituzioni aveva costruito e mai aperto al pubblico; e guardando la domenica, a pochi metri da me, in uno stadio gremito, il più grande giocatore di tutti i tempi indossare i miei stessi colori. Oggi mi pare che quelle ore siano una succinta ed efficace descrizione del paradiso in terra. Eppure quel paradiso non lo custodisco gelosamente per me, non lo ritengo unico ed irripetibile. È stato meraviglioso. E, grazie a dio, è finito. Sebbene tu quei tempi non li abbia vissuti, devi sapere che sei libero di viverne altri. E il tuo amore lo devi pretendere: devi pretendere che quelli come me, e più vecchi di me, ti raccontino quelle storie una volta per tutte e poi una volta per tutte tacciano e ti lascino sognare, senza quel fastidioso rumore di fondo che serve a farti dubitare che, in fin dei conti, le tue passioni siano figlie di una storia minore.

In questi giorni tantissimi ti insegneranno che la tua squadra ha fallito. Ha fallito il suo attaccante di poca personalità. Ha fallito il suo giovane napoletano perché acerbo. Ha fallito il suo allenatore superbo ed inadatto a guidarla. Ha fallito il suo presidente avido e romano. Sappi che nonostante fingano di imputare con veemenza tutti questi gravissimi fallimenti alla squadra che tu segui, il loro vero bersaglio sei tu. Si rivolgono principalmente a te, affinché tu non prenda mai in considerazione la pericolosa possibilità di pensare che ci sia qualcosa di interessante in questa squadra che segui, nei colori per cui hai mostrato passione, nella vicenda sportiva che stai vivendo. Te lo grideranno perché spesso, quando la nostra età avanza e per pigrizia non si sa più rinunciare ai propri ricordi, ci si ferma immobili e si inizia a gridare che il mondo si è fermato con noi quando eravamo giovani, come te. Spesso, quelli della mia età e quelli più anziani di me, gridano che oggi si è fallito per evitare che qualcuno abbia l’ardire di trovare lo spunto giusto per sognare di innamorarsi ancora e di nuovo. Di qualcosa d’altro. Si grida a quelli come te per evitare che essi ci ricordino che stiamo invecchiando e non abbiamo più il coraggio di sognare niente.

Sempre in questi giorni, se dovessi sentirti tradito o solo afflitto per la tua squadra, terranno a tirar fuori la loro decennale esperienza ricordandoti che non ne vale la pena perché tutto sommato il calcio non è una cosa seria. Alla mia epoca gli adulti dicevano che era solo un pallone con ventidue ebeti in mutande. Oggi i più anziani puntano di più sulla storia che sono solo ventidue ricchi strafottenti privi di ogni trasporto, incapaci di qualsiasi sentimento umano e pronti a qualunque capriola etica pur di vivere nello sfarzo. Io non ho alcuna risposta su questo argomento, e non sono ricco. Ma posso dirti che, molto probabilmente, coloro che ti ricordano oggi che il tifo per questi mercenari è del tutto irrazionale e che i ricchi non hanno un’anima saranno i medesimi a tentare di convincerti, domani, che accendere un mutuo che ti indebiterà per trent’anni al fine di comprare una casa in una delle sgangherate zone della nostra meravigliosa città sia l’atto di suprema normalità con il quale diventerai una persona seria. Per poi indurti a sentirti un fallito il giorno dopo, quando in quella casa non potrai permetterti il costosissimo televisore di cinquanta pollici all’ultimo grido, che tutti hanno.

Forse ti sarai accorto che ci sono molti che, con fare fraterno, non perdono occasione per insegnarti a deridere anche i tuoi colori, ritenendolo un dovere morale se, come avviene, la tua squadra non ti merita. Un atto di superiorità richiesto. Deridere il mediano della tua squadra che non ha le geometrie giuste. Deridere il difensore povero scarparo. Deridere l’allenatore obeso che mostra le sue sempre piu’ lacunose conoscenze. Se ci fai caso, sono gli stessi che a casa si lamentano del loro capufficio che centellina promozioni che loro non hanno mai avuto, o del vicino di scrivania raccomandato figlio del sistema corrotto. Si lamentano che in questo paese ormai fallito, nel quale ti appresti a fare l’inutile ingresso in società, non esista alcuna fantomatica meritocrazia. In sostanza, a casa essi celebrano il potere del merito nel buio delle loro prediche per ridurlo a brandelli in pubblico davanti ai tuoi occhi. Su quei giocatori per cui tu tieni, per gli atleti azzurri guidati da quell’allenatore per cui tu fai il tifo, il merito scritto nel nero su bianco di un curriculum non deve avere alcun valore. E così ha da essere perché per quelli come me e più vecchi di me, fermi al palo da trent’anni (non per cattiveria, ma per pura indolenza), il merito è un potenziale pericolo, e stracciare strepitando in piazza i curricula di allenatore e giocatori serve a loro per avere le mano libere domani su di te – quando dovranno convincerti che, per quanto tu abbia profuso studio e sacrificio per imparare, sia giusto tenerti al “posto tuo”, il posto che ti compete, quello deciso magari da loro, più in basso di chi non ha altro merito se non quello di essere più vegliardo. Dovrai portare rispetto. Ti stanno insegnando che chi invecchia diventa più saggio, per ragioni ovvie e naturali, per nasconderti la più scomoda e comica verità per cui chi invecchia, senza continuare a imparare e dis-imparare, si sta solo rimbambendo.

Queste righe te le scrivo non perché io sia più misericordioso dei predicatori del fallimento, né perché sia più saggio o generoso di loro. Ma perché, da ansioso compulsivo, radicato e sradicato in città e paesi, perennemente in cerca della personale conferma di non essere il mediocre che temo di poter essere, amo la polemica più dell’ordine e le domande più delle risposte e, per evitare che anche io mi incammini inesorabilmente sulla via canuta del rincoglionimento senile, ho un egoistico, irriducibile, assoluto bisogno che tu cresca bene ed in salute, con tutta la passione che hai in corpo, per venire a bussare alla mia porta, domani, e svegliarmi da qualunque incantesimo del tempo in cui io possa essere ridicolmente caduto.

Ti aspetto con la maglia 17 indosso.

La 10 l’ho persa durante un trasloco.
Raniero Virgilio

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