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L’amore diserta sempre il noioso. E io amo Benitez e il Napoli. Perciò ho comprato il biglietto per Wolfsburg

L’amore diserta sempre il noioso. E io amo Benitez e il Napoli. Perciò ho comprato il biglietto per Wolfsburg

Credo di essere finalmente giunto al possibile termine di un travaglio personale. In uno dei tanti scambi “social” nell’ultimo post partita – cui ormai do poco peso e faccio poco caso – circa il Napoli, la squadra e la sua guida tecnica, qualcuno mi ha scritto: “Per me Benitez resta un grande allenatore, ma non mi innamoro di nessuno”. Mi si è accesa d’improvviso una lampadina.

Perché’, ecco, io invece sì. Io mi innamoro, molto spesso. Diciamo che mi piace. Mi sono accorto di aver trascorso, e di cercare tuttora di trascorrere, una gran parte del tempo che la vita mi ha offerto cercando con attenzione chi io possa amare con tutta la passione da me umanamente praticabile. Ad oggi non me ne vergogno molto poiché, al di là di questa ricerca, ho difficoltà a immaginare cosa altro possa mitigare la – altrimenti tutto sommato non esaltante – pena di campare. Nel calcio, come altrove, la natura del linguaggio dell’amore è la gratuità: è gratuita la lezione sulla teoria della computabilità del professore che ci cambierà la vita, è gratuito l’assolo di Jimi Hendrix in Little wing, è gratuita la rovesciata di Higuain nella partita contro la Roma all’andata, esattamente quanto il diagonale che ho invocato e non è mai giunto dal piede di Callejon nel ritorno. È tutto gratuito, un dono per questa passione, un dono per questo sangue che trema ai polsi, e come tutti i doni, proviene dall’orcio tra le mani della donna che gli antichi raccontavano avesse scatenato tutti i doni per le strade degli uomini, lasciando a questi ultimi solo la inerme speranza. E se questo amore mi porta ad aprire tutti i cassetti segreti della mie personalità più nascoste, a rimettere tutti i miei me stesso in gioco, a scrostare ogni pudore, proprio come si fa di fronte alla sconfitta più impalpabile o alla vittoria più illusoria, è perché Pandora, nella notte dei tempi, lasciò che questa fottuta speranza rimanesse a leccarci le ferite.

Dunque sì, lo ammetto. Io vivo della prossima partita. Della speranza. Di quanto si può modificare, perché almeno sotto il mio illusorio controllo. E vivo di questa speranza per il Napoli perché io Rafael Benitez Maudes lo amo. Non lo ritengo solo un grande allenatore. Amo tantissimi giocatori e tantissime cose di questa squadra del Napoli, ma amo in special modo questa persona. Per quello che sinora, ed in pochissimo tempo, ha saputo pazientemente insegnarmi sulla vastità del mondo del calcio, sugli imperativi morali che il seguire una via estetica alla vittoria sa imporre, sulla ricerca perseverante ed operosa di qualcosa di migliore e dunque inevitabilmente di più lontano, e sul sorriso che si può adoperare nel tentativo di fare tutte queste cose assieme, in qualunque luogo del mondo. Sì certo, conta la maglia, la storia che essa racconta. Ma, sono onesto, la retorica patriottica dell’onore della maglia a prescindere dagli uomini non mi ha mai fatto cadere in estasi quanto riescono a fare le persone vive che fanno vivere queste maglie e che hanno avuto la voglia di usare anche un solo loro minuto per regalarmi anche solo un interrogativo. Annuso controvento che si preparano le polveri a fine stagione per tirare le somme e misurare la distanza coperta quest’anno, onde pianificare quella che ci si appresta ragionevolmente a coprire nel prossimo. Perché la misura è la madre di tutti i lavori che abbiano una dignità, in questo mondo, ed è giusto sia così. Ma sono certo che neppure questa misura mi indurrà a istruire un processo a carico di questa squadra e di questo tecnico. Visto che Benitez è certamente un grande allenatore, come il suo palmares già misura e sancisce a prescindere dal Napoli, ma io ne sono anche innamorato. E ho capito che questo, per me, non è un dettaglio.

Per questo ho comprato il biglietto della prossima trasferta a Wolfsburg. Seguendo la stessa soppesata strategia di chi punta tutto su un numero alla roulette. Ci vado perché potrebbe essere l’ultima volta che vedrò dal vivo la squadra allenata da Benitez, e mi piace pensare di poterla vedere in un’altra terra, quella in cui non sono nato ma che ho imparato ad amare vivendoci. Anche questo amore si è costruito nel tempo sulle mani strette, le persone incontrate, le parole scambiate, piu’ che le tediose retoriche (anti-)nazionalistiche. L’amore non segue una tabella di marcia, non sai dove porta perché non sai esattamente neppure da dove proviene. Ma sai di certo dove non va. Sai che diserta sempre il noioso. Ad esempio, di sicuro non passa per gli striscioni degli ultras da stadio, rigorosamente confezionati in una nuova, oscena rima baciata. (A tale proposito, perdonate una rapidissima digressione: nel Paese che ha dato i natali a Dante secoli or sono, dovrebbe far scattare in automatico il reato contro l’umanità anche solo l’idea di voler comunicare un qualsivoglia pensiero mostrando in pubblico uno striscione in rima baciata).

Quando si perde – ossia molto spesso – si soffre sempre. Tutti. Ma non tutti allo stesso modo. Ed il modo, per me, conta. Visto che vi sono costretto dalle regole del gioco, e dall’aver scelto di tifare per una squadra che non disdegna di viaggiare spesso con la sconfitta, preferisco soffrire solo per amore. Mi fa sentire meno triste che scrivere due parole assonanti nello stesso verso.
Raniero Virgilio

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