Una telefonata a Telefriuli: «Basta con questi cori contro i napoletani, mi vergogno. Lo vogliamo dire che infangano Udine?»

“Com’è, fa freddo?” Abito a Udine da un paio di mesi. Non la conosco ancora. Troppo poco tempo per giudicarla, troppo poco tempo per capirla. Alcune cose però saltano agli occhi. È una città bella e tranquilla. Le persone sono gentili, educate e silenziose. Banalità, mi rendo conto, ma sono le uniche cose che ho […]

“Com’è, fa freddo?”

Abito a Udine da un paio di mesi. Non la conosco ancora. Troppo poco tempo per giudicarla, troppo poco tempo per capirla.

Alcune cose però saltano agli occhi. È una città bella e tranquilla. Le persone sono gentili, educate e silenziose. Banalità, mi rendo conto, ma sono le uniche cose che ho visto nel poco tempo che ho speso. Da appassionato del Napoli e di calcio, altre cose hanno solleticato la mia curiosità. Intanto se ne parla piuttosto poco. Piuttosto poco rispetto a quello cui sono abituato, dove cioè non si parla d’altro. Certo i bar, i barbieri e molti negozi hanno le sciarpe e le bandiere ben esposte dell’Udinese. Sono tifosi e ci tengono. Ma non è argomento centrale. Uno degli argomenti centrali, invece è Antonio Di Natale. Totò è esposto ovunque come un santino, è il calcio, però è oltre, è una divinità discreta ma immanente. Attraversa il calcio ma va ben oltre, è amato, rispettato e osannato anche da chi di calcio non è interessato. Di Natale è un’altra cosa.

Il mese scorso ero al Pam di via Grazzano, in coda per pagare, vino sotto braccio. C’era un po’ di folla, il clima pre-natalizio si faceva sentire. Davanti a me, un ragazzone che sembrava uscito da Educazione Siberiana di Nicolai Lilin, era Thereau. Non se lo è filato nessuno. Mentre ero lì mi guardavo in giro, convinto che da un momento all’altro qualcuno lo avrebbe fermato per una foto, un autografo. Niente. Ho visto in piazza della libertà Pinzi. Stessa cosa, nessuno gli si è avvicinato. Un amico mi ha confidato che spesso si vede in giro anche Di Natale. Ho immaginato Callejon al Conad. Ho pensato a Mertens in piazza Del Plebiscito.

Ieri ho goduto della vittoria del nostro Napoli. Della giornata positiva, anche per i risultati delle altre. Direi, anche per il risultato dell’Udinese. Preso dalla smania, avevo cominciato a seguire persino il Milan ma poco dopo ho dovuto girare perché era troppo anche per un appassionato. Nel fare un isterico zapping da domenica sera, mi sono imbattuto in Telefriuli. Una trasmissione calcistica. Si parlava dell’Udinese. Era un format classico. Commenti in studio, telefonate da casa. Quando ho girato si stava parlando della bella partita giocata nel pomeriggio e del fatto che l’avrebbero potuta vincere. Niente di particolarmente interessante. Stavo per girare quando arriva una telefonata. Il presentatore chiede al telespettatore in collegamento come ha visto la partita.

“Ho telefonato per dire un’altra cosa”.
“Prego, dica”.
“Anche oggi, allo stadio, ho sentito quel coro: “noi non siamo napoletani!”, mi vergogno. Vogliamo dirlo che noi amiamo Totò, che amiamo i napoletani? Questi infangano il nome della nostra città!”.
Click.
Ho avuto un sussulto. Ho avuto un sussulto di grazia. Sorridevo beato. Ho sorriso beato perché in trasmissione gli hanno dato ragione. Hanno preso le distanze. Sono cose che vanno dette. No, non credo nelle fiabe. Il razzismo c’è, ovunque. I luoghi comuni ci sono, eccome.

Ma il discorso è sempre lo stesso. Una minoranza schifosa fa più notizia di una maggioranza sana e silenziosa. Questo signore che ha chiamato a Telefriuli me lo ha confermato.

La totalità di chi mi chiama, domanda: “allora, come va, fa freddo a Udine?”

Ma a Udine po’ fa’ sulamente freddo?
Matteo Forte

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