L’importanza dei media per la Roma. Mentre Napoli si aggrappa al Benitez comunicatore

Dove ti giri c’è Totti. Sulla Gazzetta si è preso cinque-sei pagine, con un’intervista in cui offre il meglio di sé: dice che farà l’allenatore, ironizza su Lotito uomo forte del calcio italiano, sui tempi di realizzazione dello stadio della Roma, dice che agli avversari toglierebbe Tevez e Higuain e che lo scudetto sarà un […]

Dove ti giri c’è Totti. Sulla Gazzetta si è preso cinque-sei pagine, con un’intervista in cui offre il meglio di sé: dice che farà l’allenatore, ironizza su Lotito uomo forte del calcio italiano, sui tempi di realizzazione dello stadio della Roma, dice che agli avversari toglierebbe Tevez e Higuain e che lo scudetto sarà un affare per due. Anche altre cose, per carità. La più interessante, riportata anche da Repubblica, è che i suoi figli ogni tanto disertano lo stadio perché hanno paura. La domanda, direbbe Lubrano, sorge spontanea: se hanno paura bambini che vanno in tribuna d’onore super scortati, figurarsi piccoli che non possono contare su queste attenzioni. 

C’è Totti ovunque. Ieri era in apertura sul Corriere dello Sport. Totti è Totti, per carità. Ieri Francesco Costa, giornalista del Post, ha raccontato la sua visita a Trigoria la settimana scorsa in occasione della presentazione, da parte della Roma, del nuovo media center. «Bisogna abituarsi a pensare a una squadra di calcio come a una multimedia company tematica»: è una frase di James Pallotta, l’uomo che vuole fare del calcio italiano un business internazionale, che ha sconcertato il ministro della Cultura Franceschini con l’idea di organizzare una partita-esibizione al Colosseo, venderla in pay per view e col ricavato creare una fondazione per il restauro dei monumenti. Troppo per il sistema Italia. Franceschini è rimasto scosso. Nemmeno Renzi ha avuto il coraggio di raccogliere l’idea. 

Ma torniamo al media center. Costa scrive che la Roma è l’unica squadra italiana ad avere sia una radio che una tv ufficiale. E che la società giallorossa vuole investire nel settore, assumere molte persone e sviluppare dal settore media una nuova linea di ricavi che possa poi finanziare le altre attività della società e quindi anche la squadra. E poi Costa si pone un po’ di domande che potremmo definire “nostalgiche”: utilizza uno strumento retorico per porre in contrapposizione l’approccio genuino al calcio dei bambini (e anche degli adulti) e un universo che sta diventando sempre più industria, facendo finta di credere che la forza mediatica non incida sui risultati. 

Oggi, sempre sulla Gazzetta dello Sport, nella pagina dedicata ai commenti, Alberto Cerruti risponde a una lettera sull’esonero di Mazzarri e scrive e titola chiaramente che si è trattato di un esonero mediatico. “Mazzarri è stato contestato e poi condannato soprattutto per quello che ha detto, o non ha detto in tv, anziché per quanto ha fatto o non ha fatto in panchina, diventando suo malgrado il primo tecnico esonerato anche per colpe mediatiche. Un caso tanto singolare quanto interessante, degno di una tesi universitaria sul peso della comunicazione negli anni Duemila applicata al calcio”. Più o meno quel che hanno provato a fare a Napoli con Benitez; solo che da noi i lillipuziani erano i media. Al gigante è bastata una scrollatina per togliersi tutti di dosso. Non a caso, nel giorno del restyling della Gazzetta è lui ad avere due pagine tutte per sé in cui ha lanciato i messaggi che sappiamo, in cui ha elogiato il modello Juventus: struttura, rosa, organizzazione della società.

Perché da noi, anche dal punto di vista comunicativo, l’unico fuoriclasse è Rafa Benitez. L’unico in grado di avere uno spazio sui giornali europei, l’unico in grado di rispondere a tono e zittire Ilaria D’Amico che insisteva sulle ferie, l’unico che non ha mai problemi a presentarsi davanti alle telecamere perché sa che è una componente proprio suo lavoro, sa che il suo compito non si esaurisce al 95esimo. Fa tutto Rafa nel Napoli. Contatta i calciatori (non per sminuire Bigon, ultimamente lo abbiamo giustamente elogiato); li convince a venire a Napoli; li persuade del progetto; fa da garante; prova a convincere il presidente a intraprendere la linea di una struttura societaria; fa il comunicatore. Non gioca, si fece male tanto tempo fa al ginocchio.

Per carità, lo abbiamo detto e lo diremo sempre, questo Napoli è tanto per Napoli. Ogni tanto fa bene rileggersi il diario dal passato, il racconto di quell’estate di dieci anni fa, per comprendere che cosa sarebbe stato il Napoli senza De Laurentiis. E del resto anche in questi anni mai si è sentita la voce di una cordata di imprenditori napoletani o di un singolo imprenditore che volesse lanciare un’opa sul Napoli. Come dovrebbe avvenire nelle società capitalistiche sane. Quindi, noi De Laurentiis ce lo teniamo stretto. Ma sappiamo che c’è un mondo fuori e che quel mondo corre a un’altra velocità e che, da solo, Benitez non potrà mai bastare.
Massimiliano Gallo

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