Hanno reso snob il Maracanà

Gli stadi che si ristrutturano per diventare più piccoli sono il segno dei tempi, ma il segno dei tempi rende comunque più tristi. I vecchi di Rio ti raccontano com’era il Maracanã una volta, e non sembra sterile nostalgia, davvero viene da dirgli che hanno ragione loro, che non si può uccidere chi ti ha […]

Gli stadi che si ristrutturano per diventare più piccoli sono il segno dei tempi, ma il segno dei tempi rende comunque più tristi. I vecchi di Rio ti raccontano com’era il Maracanã una volta, e non sembra sterile nostalgia, davvero viene da dirgli che hanno ragione loro, che non si può uccidere chi ti ha fatto crescere, nascere e vivere, come ha detto Pelé, quando hanno buttato giù lo stadio da 210mila posti per tirarne su uno da 78mila.Questo pensavo salendo le scale con il biglietto di Argentina-Bosnia tra le mani e una volta lassù, vedendo Federico Fernandez nel cuore della difesa della squadra che secondo me diventerà campione del mondo, mi è venuto in mente Manlio Scopigno, quando raccontava la sua incredulità nel ritrovarsi Niccolai in mondovisione. Fernandez al Maracanã fa lo stesso effetto, soprattutto se Higuain e Lavezzi sono in panchina e se Messi gira per un’ora lasciandoti con gli occhi vuoti e le mani lo stesso. Meno posti e biglietti più cari. Non ci sono poveri al Maracanã, non ce ne sono negli stadi del Mondiale. Fateci caso. Domani guardate bene le facce dei tifosi brasiliani a Fortaleza. Troverete, come già a San Paolo per la prima partita, solo bianchi. Il Brasile dei creoli e degli indios allo stadio non c’è. Màrcia mi dice che chi ha pensato il nuovo Maracanã e in generale tutti i nuovi stadi forse non ha mai giocato a pallone, forse non sa che il calcio è il gioco dei poveri, e togliere il calcio a un brasiliano è come togliergli l’ultimo pezzo di pane. Hanno reso snob finanche il Maracanã, lo stadio che Nilton Santos definiva una pentola a pressione, perché prima o poi ti fa saltare i nervi. A Messi non sono saltati. Lo stavano fischiando, i suoi, ma lui è rimasto buono, gli sono bastati 20 secondi di se stesso per segnare un gol che non si dimentica. E senza nemmeno vomitare dopo. Era il più grande museo all’aperto, questo stadio. Ghiggia si vantava di essere uno dei tre uomini al mondo ad averlo zittito. Gli altri due sono Frank Sinatra e il papa. In piedi c’era sempre posto, adesso si entra solo se hai un posto a sedere. O estadio dos reis, lo chiamavano. Quando lo costruirono in origine, ebbero la sensibilità di farlo inaugurare con una partita di calcio fra ingegneri e operai. Oggi, il nuovo Maracanã, neppure ricorda chi è morto in cantiere. Era democratico, il vecchio Maracanã: ci potevi studiare la storia del Brasile guardando le facce che lo abitavano e potevi trovarci Bob Kennedy che scende negli spogliatoi per stringere la mano a Pelé sotto la doccia. Giovanni Paolo II disse la prima messa di un papa in Brasile lì dentro, Romario invece andava a farci sesso. Hanno sollevato l’anello inferiore di cinque metri e lo hanno coperto con dei pannelli fotovoltaici. Ci sono bagni ovunque, Màrcia mi dice che riciclano acqua piovana. C’è un museo, vogliono aprirci una scuola, ci sono degli uffici, grigi, arredati male, tristi come i manicomi dell’Arizona. Finita la partita dell’Argentina, ho guardato l’orologio. Siamo usciti in 8 minuti. Forse dal vecchio Maracanã, per tutto il profumo di calcio che c’era, ti passava pure la voglia di andare via. Il Ciuccio

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