L’umanità dei familiari e degli amici di Ciro: «Siamo persone perbene»
Lunedì 12 maggio, ore 18. Ciro Esposito respira da solo, non è più intubato. Soltanto la mascherina per l’ossigeno attorno a naso e bocca. Sua madre è accanto a lui da dieci giorni, le visite nel reparto di terapia intensiva sono cadenzate: due ore la mattina, altrettante il pomeriggio. E quel pomeriggio di lunedì, per […]
Lunedì 12 maggio, ore 18. Ciro Esposito respira da solo, non è più intubato. Soltanto la mascherina per l’ossigeno attorno a naso e bocca. Sua madre è accanto a lui da dieci giorni, le visite nel reparto di terapia intensiva sono cadenzate: due ore la mattina, altrettante il pomeriggio. E quel pomeriggio di lunedì, per la prima volta, Ciro apre gli occhi e non fissa il vuoto. Prima sorride, poi si agita. E finalmente parla, dice qualcosa che abbia un senso compiuto. «Mamma, lo giuro, io non ho fatto niente. Non c’entro niente». La signora Antonella, una donna bionda, minuta e con una sensazionale forza d’animo, gli tiene la mano. Ha tanta fede, come tutta la sua famiglia. E’ un segno del destino che Ciro sia lì, nell’ospedale dove è stato salvato anche il Papa. Continua ad accarezzargli il viso, le braccia. «Sta tranquillo, amore», gli dice. «Lo so, ora devi soltanto riprenderti». I medicinali, dicono i sanitari, sortiscono effetti anche allucinogeni. I genitori di Ciro sono preparati anche a questo. segue sul sito del Corriere del Mezzogiorno
Monica Scozzafava











