Atletico Madrid, mercato low cost e strategia societaria
Che acceda o no alla finale di Champions, l’Atletico Madrid è il fenomeno calcistico dell’anno. Una squadra gagliarda, competitiva e travolgente. Che rischia di vincere la Liga e che arriva in fondo alla Coppa Campioni. “Il nuovo Borussia”, come già l’ho sentito definire da qualcuno. “Sogno un Napoli stile Atletico” potrebbe essere il nuovo motto […]
Che acceda o no alla finale di Champions, l’Atletico Madrid è il fenomeno calcistico dell’anno. Una squadra gagliarda, competitiva e travolgente. Che rischia di vincere la Liga e che arriva in fondo alla Coppa Campioni. “Il nuovo Borussia”, come già l’ho sentito definire da qualcuno. “Sogno un Napoli stile Atletico” potrebbe essere il nuovo motto di De Laurentiis, che già ha detto la stessa cosa per Barça e Dortmund.
Certamente le imprese dei bianco-rossi non sono sfuggite al tifoso del Napoli. Altrettanto certamente, lo sguardo del tifoso azzurro sarà carico d’invidia. Ma quello che al napoletano meno attento al calcio estero potrebbe sfuggire è che l’affermazione dei Colchoneros non è un fatto improvviso. Noi, con la nostra fame atavica di trionfi e la smania di vincere subito, potremmo dire: “Ecco, così da un anno all’altro ci si afferma”. Invece no.
Al contrario, l’esempio dell’Atletico proprio per noi è più interessante per un altro motivo. Dimostra come una squadra che non può competere sul mercato coi colossi economici abbia nella sapienza calcistica e manageriale le uniche armi per spuntarla.
Facciamo un passo indietro. Nella stagione 2009-2010 la seconda squadra di Madrid è al settimo anno della presidenza di Enrique Cerezo, produttore cinematografico subentrato allo storico patron Jesus Gil (che lascia la società indebitata). L’onta della retrocessione in Segunda divisiòn è vecchia di dieci anni, negli otto anni dal ritorno in massima serie i bianco-rossi hanno già conquistato un paio di qualificazioni in Champions. In panchina siede Quique Flores, in attacco giocano Sergio Aguero e Forlan, De Gea è un pilastro della squadra. La stagione si chiude con la vittoria dell’Europa League.
Il 2010-2011 è un anno di transizione. La stagione si apre e si chiude intorno alla conquista della Supercoppa Europea (a discapito dell’Inter di Benitez, fresca di triplete). La stagione successiva inizia con un trauma: Aguero vuole essere ceduto, saluta anche De Gea. I proventi della vendita del genero di Maradona sono investiti su Falcao, mentre dalla Germania arriva Diego, vecchia conoscenza juventina. Inizia la stagione in panchina Manzano, ma le cose vanno male: a fine dicembre la squadra è ridosso della zona retrocessione. Per risollevare la situazione viene chiamato uno che con l’Atletico ci ha anche giocato, ma che ha avuto l’unica esperienza da allenatore in Europa al Catania, Diego Simeone. Il Cholo forgia la squadra intorno a elementi che diverranno i suoi pretoriani (Miranda, Godin, Arda Turan, Koke, Juan Fran). Avendo ereditato una squadra che ha superato il girone di Europa League, il mister fa una scelta: nell’impossibilità di migliorare più di tanto la classifica in patria, puntare sulla coppa europea. E la vince. L’Atletico porta per la seconda volta il trofeo a casa in due anni.
La stagione 2012-2013 non conosce risultati più altisonanti solo perché il Barcellona domina la Liga. Ma i colchoneros chiudono l’annata da terzi in classifica, aggiungendo poi al palmarès la Supercoppa Europea (ottenuta umiliando con 4 reti a 1 il Chelsea) e la Copa del Rey (vinta al Bernabeu in faccia al Real Madrid).
E veniamo a quest’anno. La punta di diamante Falcao viene ceduta al Monaco. Per sostituire il colombiano, si decide di promuovere prima punta Diego Costa, uno che fino a quel momento aveva giocato da laterale d’attacco. Sul mercato, al colpo low cost Villa, si aggiungono diverse operazione “prospettiche” (come ci piace chiamarle). Simeone dà fiducia a Raùl Garcia, che ricambia con 16 gol stagionali (finora). Il risultato parziale ci dice che i bianco-rossi sono primi in classifica, con la concreta possibilità di spezzare il duopolio Barça-Real che va avanti dallo scudetto del Valencia di Benitez, e sono tra le migliori quattro squadre d’Europa.
Che cosa insegna la parabola dell’Atletico? Che le vittorie non si improvvisano. Che i miracoli nel calcio non sono i fuochi di paglia che durano qualche mese, ma le squadre che sanno lavorare ottimizzando ogni scelta. Ci vuole fortuna, certo, non è scritto da nessuna parte che Falcao valga Aguero. Ma quando ti trovi a competere ad armi impari, solo la costanza e la sapienza premiano. Il Napoli di oggi non si trova in una situazione molto dissimile di quella dell’Atletico nel 2009. Metterei la firma affinché vincesse la metà di quello hanno vinto loro.
Roberto Procaccini ed Enrico Leo











