Cantare “Caruso” al San Paolo

Dal momento che il Vesuvio dorme, insensibile all’invito a “lavare i napoletani col fuoco” gridato e scritto in molti stadi a nord di Roma, pulizia etnica che sarebbe, secondo lo striscione di domenica a Bologna, “un dovere” del magnifico vulcano e visto che, per il momento, nonostante la crisi dei rifiuti, a carico degli stessi […]

Dal momento che il Vesuvio dorme, insensibile all’invito a “lavare i napoletani col fuoco” gridato e scritto in molti stadi a nord di Roma, pulizia etnica che sarebbe, secondo lo striscione di domenica a Bologna, “un dovere” del magnifico vulcano e visto che, per il momento, nonostante la crisi dei rifiuti, a carico degli stessi napoletani si esclude possa intervenire il colera, nel magnifico stadio “Dall’Ara” della civilissima Bologna cinque giorni fa è stato sferrato l’ultimo colpo basso contro Napoli ferendone, prima che Rolando Bianchi ne mettesse a repentaglio la squadra di calcio, l’orgoglio, la passione e il primato musicale.
La selvaggia interruzione della celeberrima “Caruso” cantata da Lucio Dalla è stata uno sfregio totale al gioiello canoro, ma, e questo era lo scopo, al feeling non solo sentimentale tra l’artista bolognese e la terra di ‘O sole mio.
Che cosa sia successo a una parte della tifoseria bolognese, acquattata nella Curva Bulgarelli, asso petroniano alla cui scomparsa Napoli dedicò al San Paolo un commosso ricordo, a Napoli non s’è ben capito, mentre sono state avanzate persino interpretazioni politiche sull’inqualificabile offesa di domenica scorsa.
E’ stato uno sfregio al forte rapporto di simpatia fra i sostenitori delle due squadre, saldato nel tempo dagli incoraggiamenti felsinei ai tempi di Maradona (vincerete, vincerete il tricolor) e dai numerosi scambi di giocatori, la discesa nel golfo di Sansone e Andreolo, la salita sotto le Due Torri di Antonio Juliano, il pasticciaccio che portò Vinicio al Bologna e Pivatelli e Mihalic al Napoli, il duello rusticano fra Luciano Conti e Corrado Ferlaino per l’affare Savoldi, l’incrocio di due irresistibili simpaticoni col petisso Pesaola a Bologna ai tempi de “La Capannina”, tattica, whisky e notti bianche, e Franco Janich, battutista più che battitore libero sulla collina di Posillipo, per finire con l’ammiccante duetto tra Piedone Pecci, in azzurro, e Maradona al momento della celebre punizione che fece secco Tacconi.
Messe così le cose potrebbe correre “seri pericoli” il sindaco di Bologna Virginio Merola dal canoro cognome napoletano molto sospetto, per giunta nato a Santa Maria Capua Vetere, mentre ricordo i cinque anni trascorsi splendidamente a Bologna dove mi chiamavano “marocchino” in tono affettuoso senza nessun fondo di razzismo territoriale presente nella pianura padana più su del Reno e del Savena.
Avendo sistemato altre diatribe territoriali, replicando con “Giulietta è una zoccola” alle smodate offese veronesi che turbarono anche il pibe de oro, e non avendo niente da ridire sul Dottor Balanzone, che per giunta ha le stesse guance rubizze di Rafa Benitez, un altro elemento di fratellanza sportiva fra Napoli e Bologna, i tifosi napoletani canteranno “Caruso” al San Paolo e hanno offerto la cittadinanza napoletana a Gianni Morandi che, non avendo più l’età per farsi mandare dalla mamma a prendere il latte, ha preso vigorosamente le distanze dallo stupido razzismo della Curva Bulgarelli, disonorata al pari della Curva Scirea a Torino da una uguale feccia razzista, sperando che il mondo cambierà, come dice una delle sue canzoni.
MIMMO CARRATELLI (tratto dal Corriere dello Sport)

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