La Rafalution, ovvero in quattro mesi il Napoli ha cambiato pelle

La partita con l’Arsenal, il pianto di Higuain e i quattro gol all’Inter sembrano aver chiuso una pagina. Sembrano, ovviamente. Perché quella pagina si riaprirà alle prime difficoltà. È indubbio che il successo sulla squadra di Mazzarri – una vittoria sovradimensionata considerato il reale spessore dell’avversario – abbia ulteriormente pacificato la platea. Alla chiusura del […]

La partita con l’Arsenal, il pianto di Higuain e i quattro gol all’Inter sembrano aver chiuso una pagina. Sembrano, ovviamente. Perché quella pagina si riaprirà alle prime difficoltà. È indubbio che il successo sulla squadra di Mazzarri – una vittoria sovradimensionata considerato il reale spessore dell’avversario – abbia ulteriormente pacificato la platea. Alla chiusura del 2013 manca solo la trasferta di Cagliari, in programma sabato sera. Una trasferta che sarà bene non sottovalutare.

Per il resto, in quattro mesi Rafa Benitez è riuscito a imprimere il suo volto a questo Napoli. Un volto sicuramente inconsueto considerati i precedenti del tecnico madrileno. Che, probabilmente per la prima volta nella sua carriera, pratica un gioco smaccatamente offensivo. Sempre proteso a provare a segnare un gol in più degli avversari anziché provare a subirne uno in meno. Anche contro l’Inter – che ha una difesa modesta, ricordiamolo, cui ultimamente va aggiunta la scarsa vena di Handanovic – gli azzurri sono stati devastanti sotto porta. Ed è questa una delle caratteristiche più importanti di questo Napoli: la percentuale di realizzazione.

Il Napoli sta diventando, o sta provando a diventare, una formazione cinica sotto porta. Sembrano lontani i tempi in cui – dopo l’andata con l’Arsenal – i quotidiani inglesi sfotticchiavano Benitez sulla scarsa mira dei calciatori del Napoli: “ma come si allenano, tirando a un gasometro?”. Evidentemente non più. Contro l’Inter gli azzurri hanno segnato quattro gol, colpito un incrocio dei pali, sfiorato la rete con Callejon e Mertens e sbagliato un rigore. Nel primo tempo abbiamo segnato tre gol scoccando quattro tiri. Da grande squadra.

Non solo, il Napoli ha segnato il 25% dei gol in serie A nel primo quarto d’ora: nove contro uno solo subito (a Torino, da Llorente). Adesso è dura risalire a un confronto statistico, ma a memoria abbiamo avuto una sola squadra che nel primo quarto d’ora metteva al sicuro le partite: ed era quella del 1987-88, l’anno della MaGiCa e del primo maggio.

Il Napoli sotto porta è cinico. Tranne che contro la Roma e il Catania, gli azzurri hanno sempre sfruttato al meglio la propria capacità realizzativa: inarrivabile da questo punto di vista, e non solo, il successo di Firenze: due azioni, due gol; molto belli, tra l’altro. Nella classifica cannonieri abbiamo la coppia d’attacco più forte del campionato, Higuain e Callejon, con otto reti. E a sei ci sono Pandev e Hamsik. Due i gol di Mertens. L’unico che ancora manca è Insigne; magari se Pandev se gli avesse lasciato il rigore…

Quel che ancora lascia a desiderare è la solidità difensiva. O meglio, gli automatismi della fase difensiva, quella per cui Benitez è diventato famoso nel mondo del calcio. Una fase che per il tecnico spagnolo – ma ormai per tutti – non è delegata ai soli difensori, bensì all’intera squadra. Sono concetti che ormai anche i tifosi hanno appreso. Da Arrigo Sacchi in poi il lessico del calcio è cambiato. E abbiamo visto contro l’Arsenal come sia molto robusta una squadra che accorcia e dove ciascuno contribuisce a limitare gli spazi all’avversario. Per rendere questo processo efficace occorre non solo preparazione atletica – su quella si è espresso persino Pesaola che ha lodato la condizione fisica del Napoli – ma soprattutto concentrazione e affiatamento.

Le vittorie, i gruppi vincenti, nascono prima di tutto nella testa. E anche da questo punto di vista ci possono venire in soccorso le statistiche. In sedici partite di serie A il Napoli ha incassato un solo gol nei primi quindici minuti sia della partita che del secondo tempo. Sempre quello di Llorente. Segno che la squadra inizialmente riesce a eseguire mentalmente quel che desidera l’allenatore. Per poi, però, disunirsi. Talvolta in maniera preoccupante, come accaduto nelle ultime partite interne.

In soli quattro mesi il gioco e la mentalità del Napoli sono profondamente cambiati. Una metamorfosi che prosegue a prescindere dalle assenze: contro l’Inter eravamo senza Behrami, Reina, Hamsik e Zuniga. Talvolta facciamo fatica ad accorgercene ma sotto i nostri occhi sta avvenenendo una rivoluzione, la Rafalution, e si sta compiendo a un ritmo sorprendente.
Massimiliano Gallo

p.s. poi magari a Cagliari va male e tutto quel che abbiamo scritto qui sarà utilizzato contro di noi

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