Perché non ci servono la fretta e l’impazienza

Facciamo un attimo il punto di cosa è successo, così può darsi che ci rischiariamo le idee. La stagione è iniziata benissimo. Non era scontato per una squadra tutto sommato nuova e con un allenatore al suo primo anno su questa panchina, un allenatore che viene da esperienze diverse, molto diverse, e che dunque deve […]

Facciamo un attimo il punto di cosa è successo, così può darsi che ci rischiariamo le idee. La stagione è iniziata benissimo. Non era scontato per una squadra tutto sommato nuova e con un allenatore al suo primo anno su questa panchina, un allenatore che viene da esperienze diverse, molto diverse, e che dunque deve calarsi in una nuova dimensione e in un nuovo ambiente. Un ambiente, bisogna dirlo con chiarezza, molto particolare: dove il calcio non è come altrove, dove la passione può travolgere, può prendere la mano, può soffocare una squadra. Questo era il primo grande compito, molto difficile: arrivare, farsi accettare, imporre le proprie idee, spezzare la linea del passato. Un incarico gravoso, capisco che non sia il caso di ricordare ogni volta il dissesto finanziario da cui la società è ripartita, dall’abisso in cui era precipitata, i debitori alle porte, il crac, eccetera eccetera.

Ormai tutto questo è alle spalle, eppure una società che ricomincia da ceneri del genere, uno sguardo ai conti finisce per darlo sempre e per sempre. I risultati nelle prime giornate di campionato sono stati felici, felicissimi, con molti gol segnati, poi però sono cominciati ad arrivare anche i gol subiti. E’ arrivata la prima sconfitta sul campo di una squadra di alta classifica, un altro sgambetto subìto alla dodicesima giornata, un cammino meno brillante, alterno, perché in fondo questo succede nel primo anno di un gruppo nuovo con un allenatore nuovo: manca la costanza, manca la continuità, il gruppo lavora insieme e si accorge strada facendo di cosa può fare e cosa ancora no. Si accorge di quello che non ha, anche di quale tipo di giocatore avrebbe bisogno per essere più competitivo. Quando si parte subito forte, l’ambiente però si convince che contraccolpi da start-up, chiamiamoli così, non ce ne saranno. Invece possono apparire in qualunque istante, anche più in là, in inverno, in primavera, chi lo sa.

Forse tanti si aspettavano subito qualcosa in più, ma le aspettative del mondo esterno non possono essere una colpa di chi guida la squadra. La cosa che invece conta di più è credere nelle scelte che sono state fatte. La fiducia di essere sulla strada esatta. Se la società ha puntato su questo allenatore significa che vede in lui l’uomo giusto per costruire un futuro di vittorie. E’ da molto che qui non si vince, vero. C’è fretta, c’è impazienza. Ma sarebbe sciocco da parte dei tifosi esigere subito un traguardo che è stato progettato e messo in conto più in là, lavorando in un certo modo. Un allenatore si giudica in un tempo medio, guardate cos’è successo a sir Alex Ferguson. Anche lui a Manchester ha avuto delle difficoltà iniziali, oggi invece chi può pensare che il suo ciclo sia stato un fallimento?

Ecco. Questo è il pensiero che deve spingerci ad avere fiducia, fiducia e pazienza, oggi e qui. Qui a Dortmund, in questo autunno del 2008, noi osservatori e appassionati del nostro Borussia dobbiamo credere che la strada imboccata con l’ingaggio di Juergen Klopp sia quella giusta. Anche se stanno arrivando delle sconfitte che facciamo fatica ad accettare. Dobbiamo credere che pure se abbiamo perso ad Amburgo, anche se abbiamo preso 4 gol in casa dell’Hannover, il nostro allenatore sta costruendo una mentalità nuova, un gioco nuovo che più in là darà risultati. Certo, dire adesso che un giorno arriveremo a vincere il campionato e a giocare la finale di Champions League fa sicuramente un po’ ridere. Però chi lo sa, chi lo può sapere.

Il Ciuccio

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