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Il Collana non cambi nome. Ma si aggiunga una lapide per ricordare chi in quello stadio venne fucilato dai tedeschi

Un terreno rigoglioso, erbe ed alberi di frutta, profumi campestri. Su al Vomero, aureola verdeggiante della città. Fino agli anni venti del ‘900, quando sull’estensione di terra fu costruito uno stadio per gare sportive. Era il 1925, epoca del regime fascista e dei giovani inquadrati nei GUF. Il Napoli calcio giocava nello stadio Ascarelli. Nel 1943, in piena guerra mondiale, gli spalti dello stadio vomerese si riempirono di persone rastrellate dai nazisti per essere avviate nei campi di lavoro o di concentramento. Napoli precipitava in un incubo sanguinoso. Chi abitava nei pressi dello stadio poteva sentire i ripetuti colpi d’ armi da fuoco che segnalavano le esecuzioni attuate dai soldati della Wehrmacht. Una situazione angosciosa che stringeva tutta Napoli, fino alla ribellione delle Quattro giornate. Lo stadio divenne un luogo simbolo di sofferenza e di violenza. Per questo, dopo la guerra fu chiamato ”stadio Liberazione”. «Vi parlo,sportivi italiani in ascolto,dallo stadio Liberazione di Napoli»’ : cominciavano così in quegli anni le radiocronache di Niccolò Carosio, poi di Mario Ferretti, quando la Rai sceglieva Napoli come campo principale. L’inaugurazione del “san Paolo” aprì la strada alla ristrutturazione e il “Vomero” divenne stadio polivalente,intitolato a una grande figura del giornalismo sportivo partenopeo, Arturo Collana. Negli anni ’50 lo stadio, ampliato con strutture di tubi Innocenti in curva A ,fu il palcoscenico del foot ball giocato a Napoli. Qui gli azzurri del tempo esaltavano o deprimevano i 40 mila tifosi, la metà dei quali sistemati nei “Distinti” col sole negli occhi componevano una sorta di muraglia azzurra, dal colore delle visiere di carta comperate all’ingresso dello stadio. Lo spettacolo era la partita, con i beniamini dell’epoca dai nomi indimenticabili, da Amadei a Jeppson, da Casari a Bugatti, Bacchetti, Viney, Vitali, Ciccarelli, Pesaola, e poi Vinicio, Del Vecchio, Brugola, Canè, Di Giacomo, Novelli, e ancora e ancora. E nei lampi di memoria compaiono anche i protagonisti minori, le “speranze” non fiorite, i calciatori che non ebbero lunga prospettiva. Come il portiere di riserva Dreossi (c’era lui in porta nel giorno di Napoli-Bologna seguita dall’invasione di campo), come il terzino Del Bene, o l’attaccante Cassin, promessa non sbocciata. O come quel Molinari mezz’ala di una sola partita, o quell’Andronico centromediano che caratterizzò il suo unico exploit da titolare, contro il Bologna, fermando sempre i palloni con le mani, come una sorta di portiere avanzato. E a bordo campo, su improvvisate panchine, il comandante Lauro sventolava un fazzoletto bianco in caso di vittoria. E l’allenatore Monzeglio gli stava al fianco, serio e controllato. Accanto a loro, in piedi, il massaggiatore Beato pronto a intervenire con la sua miracolosa spugna inzuppata. Poco prima, proprio dall’angolo degli spogliatoi, la misteriosa e formidabile voce del tifoso-tenore aveva intonato il suo apprezzamento per il terzino Comaschi: ”O lione !!!…”. Titolo di gloria calcistica passato poi a Vinicio. A chiudere il cerchio dei giorni, il ricordo della straordinaria vittoria sulla Juve, 4 a 3 dopo un’altalena di gol, col pubblico straripante a bordo campo. Un pubblico compatto e attento, senza militanze di gruppi organizzati. Poi la folla sciamava verso le funicolari. In gruppo serrato camminavano anche i ragazzi privi di vista,che durante la partita erano in curva A. Non vedenti che seguivano il match grazie al racconto istantaneo di un accompagnatore e alle esclamazioni corali dei tifosi. Un miracolo di civismo e di amore per la vita, sugli spalti poco comodi del “Vomero”, dove la passione semplice, forte e spontanea per il Napoli aveva la sua casa. Stadio Arturo Collana, giusto lasciare questo nome. E un richiamo tangibile (una degna lapide, ad esempio) per chi subì violenza nel ’43. Le memorie civili si conservano, non si cancellano. Mimmo Liguoro

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