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Quella mano sulla spalla unica luce della serata

La curva si presenta vuota ai nostri occhi quando arriviamo solo tre ore prima della partita. Strano. Solo tre ore prima. Molto strano. Eppure abbiamo bisogno di questi tre punti. Abbiamo bisogno di vedere il nostro Napoli vincere anche con una piccola. Anche se tanto piccola non è sembrata. E anche se, a dirla tutta, questa storia delle piccole comincia pure a scocciarmi.

E scocciava anche alla tipa dietro di me, arrivata un’oretta dopo, ma agguerrita allo stesso modo. Era bella imbacuccata nel suo giubbinone nero, imbottito bene, con cintura nella vita. Una vita bella piena che non le andava di essere contenuta in così poco spazio. Una vita ribelle. Mi ha colpito per questo. E per l’ottimismo profuso durante tutta la partita.

E’ lì con due amici, che non hanno scollato il sedere dal sediolino se non al fischio dell’arbitro, e un’amica, silenziosa, mingherlina che ci guardava tutti come fossimo alieni. Dall’espressione stupita, ho immaginato fosse al suo primo delirio di massa. In tutti i casi, lei non era alla sua prima partita. Probabilmente, la seconda, ma sicuramente non la prima. L’ho capito dai gesti che faceva, che nascondevano già una sana abitudine, ma non ancora consolidata. Come l’incartamento del panino, ma non quando mangiarlo. Come la sciarpa al collo, ma non in posizione antigelo. Farla vedere, ma non sfruttandone l’utilità. E così ogni volta che mi giravo la vedevo infreddolita, ma con la sua sciarpa del Napoli al collo.

Dicevo che la storia delle piccole scocciava anche lei perché mentre ero intenta a guardare il riscaldamento, la sua vocina mi ha trapanato l’orecchio con un commento degno di nota: “E perché io non conosco a nessuno di quelli là? Vengo sempre quando non conosco a nessuno!”. Evidentemente il 2×1 del Presidente ha mietuto le sue vittime. E le vittime cominciavano a ribellarsi. Già me la vedo che alla prossima promozione di vendita biglietti, magari di nuovo con il Cesena, si mette lì ad imparare a memoria tutta la formazione avversaria. Non so perché me la immagino volenterosa di inserirsi e di comprendere fino in fondo. Non come me che era convinta fino alla fine che ad aver segnato fosse Ramirez invece di Acquafresca. Succede se ti guardi le formazioni su Sky prima di scendere. Più di tre ore prima.

Al fischio d’inizio, si sfregava le mani. Il freddo sicuramente. Ma anche la voglia di cominciare a vedere lo spettacolo.

E la delusione l’avrà pervasa quasi subito. Avrà pensato che non conoscere i nomi degli avversari non sarà stato un problema, visto che a stento potevamo riconoscere i nostri, in mezzo al campo. Avrà pensato che in fondo un pareggio è anche quasi rubato se giochi contro una squadra che poi non gioca così male. E non la convince il fatto che non sappia neanche un nome, per cui chiede prontamente all’amico chi sia il portiere. E benché ci sia stato qualcuno che continuava a chiamarlo Viviano, buonanima, lei ha imparato presto il nome associandolo a lamette da barba. Ognuno ha il suo metodo per imparare.

Ma sapete veramente perché ricorderò per sempre questa donna? Certo, per il bel viso paffuto e simpatico. Certo, per come si adoperava ad elargire panini per gli amici. Certo, per la voglia di imparare e partecipare fino in fondo. Certo, per le risate che faceva ad ogni battuta o superbestemmia che volava da spalti vicini.

Ma la ricorderò per un gesto. Quella mano sulla spalla che ho sentito quando l’arbitro ha fischiato il rigore, Cavani era solo davanti a quello con il nome di una lametta da barba, con il pallone sul dischetto, io ero girata di spalle visibilmente tesa. E mi dice: “Tranquilla. Ora Cavani segna questo rigore a Gillet!”

Beh, Cavani ha segnato il rigore a Gillet, noi abbiamo solo pareggiato contro il Bologna dopo il goal di Acquafresca, e non di Ramirez. Ed io non conosco e non conoscerò mai il tuo di nome, ma non posso fare a meno di ringraziarti per quella mano sulla spalla.

Deborah Divertito

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