Lo sceicco del City che ha investito 1 miliardo di euro

A fregare la Premier League e chissà, in futuro anche l’Europa intera, è stata la passione di uno sceicco per i purosangue. Passione di famiglia, quella di Mansour bin Zayed al-Nahyan, sceicco di Abu Dhabi e uno dei 27 figli del mitico sultano Zayed, scomparso nel 2004, il cui allevamento di purosangue forniva cavalli di […]

A fregare la Premier League e chissà, in futuro anche l’Europa intera, è stata la passione di uno sceicco per i purosangue. Passione di famiglia, quella di Mansour bin Zayed al-Nahyan, sceicco di Abu Dhabi e uno dei 27 figli del mitico sultano Zayed, scomparso nel 2004, il cui allevamento di purosangue forniva cavalli di primissima qualità anche alle scuderie della Regina Elisabetta. Quando Mansour decide di investire nel calcio, gli sembra naturale farlo in Inghilterra. Non a Londra però: per rispetto a Her Majesty, non gli pare opportuno avvicinarsi così tanto a Buckingham Palace. Opta per l’Aston Villa, a Birmingham, ma i dirigenti americani nicchiano. Si dirige allora sul Manchester City, che aveva già uno stadio costruito per i giochi del Commonwealth del 2002 e un presidente in fuga, il thailandese Shinawatra. Ad agosto 2008 l’acquisto è cosa fatta, dopo quattro giorni di trattativa, per 250 milioni di euro. Poi la passione per i purosangue ha il sopravvento: il primo acquisto è Robinho, all’ultimo giorno di mercato, per 42 milioni. Il secondo sarebbe Kakà, per oltre 100 milioni, ma salta tutto: il City non ha sufficiente appeal per Riccardino, che finisce col portare le sue ginocchia malmesse al Real. Dopo un anno di insuccessi, lo sceicco intravede il sentiero giusto: ci vuole un purosangue anche in panchina. Roberto Mancini rileva Mark Hughes, arrivano altri talenti da mezzo mondo, e ora, dopo quasi due anni e una storica Fa Cup vinta lo scorso maggio, il City è lo spauracchio della Premier: 11 vittorie e 1 pareggio in 12 gare, il miglior attacco (42 gol) e la miglior differenza reti, cifre mai raggiunte da nessuno nell’era della Premier League. I tifosi sono increduli: il City è sempre stato il parente povero dello United ma ora il mondo s’è rovesciato, e il 6-1 nel derby di un mese fa è lì a confermarlo. I purosangue, e la contaminazione: il segreto del City sta qui. Affidarsi ai talenti, e cercare di shakerarli con sapienza. Oltre, beninteso, alla montagna di denaro che è servita per mettere su un simile circo. Lo sceicco ha speso fin qui un totale di 850 milioni di sterline (circa 1 miliardo di euro) e le perdite dell’ultimo bilancio sono le più alte di sempre nel mondo del calcio: 197 milioni di sterline (circa 230 milioni di euro), alla media di circa 600.000 euro al giorno, pari a oltre un settimo delle perdite totali dell’intero calcio europeo. Impossibile rientrare nei parametri del fair play finanziario entro il 2014: il City ora inizierà a contrarre le spese e spera che l’Uefa, quando si tratterà di fare i conti, apprezzerà almeno lo sforzo. Ma si vedrà più avanti. Ora tutti vogliono godersi lo spettacolo in campo, e fanno bene. Il City è un’accozzaglia di talenti, molti dei quali irregolari e imprevedibili per natura (non erano i migliori in circolazione ma lo sceicco li ha strapagati ugualmente), cui Mancini è riuscito a dare una fisionomia, un senso compiuto, anche prendendo decisioni drastiche come con Tevez, fatto fuori per la fragorosa insubordinazione di Monaco. Mancini stesso è un talento irregolare per definizione, mai troppo amato in Italia proprio per questo, e anche perché non ha mai goduto del pieno consenso dei media: non alliscia i giornalisti sportivi, il Mancio, ed è un suo merito oltre che il suo limite, a seconda dei punti di vista. Come allenatore continua a essere sottovalutato (in Italia) e invece qui ha messo su una squadra che gioca un calcio modernissimo, tecnico e fisico insieme: vogliono andare in porta giocando a uno o a due tocchi nella metà campo avversaria, come fa il Barça, e se non va bene sfondano coi muscoli, come sa fare il Real Madrid e come faceva l’Inter di Mancini. Cambiando modulo anche tre o quattro volte in una gara. E’ una squadra di talenti e di contaminazioni continue. C’è l’Africa nera di Yaya Tourè che ha sciacquato i panni sulle spiagge di Barcellona e ora è l’uomo-chiave del City, ci sono il Nordafrica e la Francia di Nasri prima del lavacro all’Arsenal (come Clichy), il talento esclusivamente spagnolo di Silva, l’olandesità basica e concreta di De Jong, i furori balcanici temperati dalle esperienze in Germania e Italia di Dzeko e Kolarov, l’argentinità di Aguero, la solidità british dei nazionali inglesi Hart, Milner e Barry. E infine Mario, of course. SuperMario Balotelli, un uomo, una contaminazione vivente. Contro il Newcastle gli abbiamo visto giocare una gara da calciatore maturo, senza le battute a vuoto di un tempo, dentro la partita con tutti i sentimenti, fino al rigore che ha indirizzato la vittoria (3-1 alla fine): Mario l’ha voluto calciare a tutti i costi, strappando il pallone ad Aguero, l’ha realizzato in modo beffardo inchiodando il portiere, ha festeggiato con le braccia conserte guardando fisso i fans e lo stadio è venuto giù per il godimento. Ricorda Cantona, dicono, e gli dedicano cori gonfi di ammirazione. Piace a tutti, persino ai tifosi avversari che ne colgono le qualità uniche. Per questo, dicono, hanno visto quel mattocchio di Mario, il giorno dopo il 6-1 allo United, girare in Cadillac bianca nel quartiere di Stratford, ad alta densità di tifosi dei Red Devils, e bearsi delle pernacchie ma pure di qualche applauso: «Mario è come me – dice Mancini – perché ha capito che lo aspetteranno sempre al varco e ora si regola di conseguenza, è più maturo, io lo aiuto solo a non disperdere il suo talento. Avete visto che rigore? Credo che per lui sia impossibile sbagliarne uno… A Napoli lo terrò in panchina, ovvio… Scherzi a parte: sappiamo cosa ci aspetta al San Paolo ma siamo pronti. La squadra sta facendo enormi progressi ». Mario ora gira per Manchester, città vivacissima e piena di cose da fare e da vedere (abbandonare i luoghi comuni, please), al fianco della sua appariscente fidanzata, e sembra un ragazzo più maturo di due anni fa. A vederlo salgono anche, o g n i weekend, un sacco di tifosi italiani maniaci del City: ce ne sono alcune centinaia che fanno riferimento a Renato Tubere, curatore di un sito (italianbluemoon. it) dedicato ai fans, a loro volta in contatto con gli altri tifosi in giro per l’Europa. Al sabato si ritrovano all’Etihad Stadium, e quando segna il City esultano come si usa qui, tutti abbracciati e saltellanti, ma dando le spalle al campo. L’hanno imparato dai tifosi del Lech Poznan: come si dice contaminazione in arabo?
Andrea Sorrentino (La Repubblica)

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