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Dalla C alla Champions, ma il San Paolo è pessimo

Embè, io ‘sta cosa la tengo sul gozzo e me ne devo liberare. Belli i fumogeni, sublime la musichetta, da brividi i ragazzini che agitano il bandierone con le stelle nel cerchio di centrocampo. Emozioni uniche. Ma io, martedì sera, mi sono immalinconito. Ero appollaiato sul mio scranno in tribuna stampa, settore A, quarta fila posto 47 e mi guardavo intorno. E più mi guardavo intorno, più cresceva il magone.

Diamine, mi sono detto, è la prima di Champions dopo 21 anni. Sette anni e un giorno fa stavi più o meno nella stessa posizione (forse solo qualche fila più in basso, spostato verso la curva A), il cuore ti andava al galoppo e, quando gli altoparlanti diffusero “Momenti di gloria”, non riuscisti a trattenere una lacrimuccia di commozione. E in campo c’era il Cittadella (!). E mo’, che fai, il vecchio scettico che non s’emoziona più, anzi s’intristisce? Sì, ero triste. Guardavo le balaustre arrugginite, i buchi nella copertura, i sedili della vicina Posillipo con incrostazioni secolari: sedimenti di chissà che cosa (non voglio nemmeno pensarci) accumulatisi in mille e passa partite, domeniche, sabati, mercoledì di passione. E nemmeno uno straccio di tabellone.

E’ il San Paolo la mia croce. E’ vecchio, scassato: sembra uno stadio turco, cipriota, o dell’Europa dell’Est prima della caduta del Muro. Andrebbe rottamato. Subito. Senza indugio. Non fa più al caso nostro. Non è in linea con le nostre (legittime) aspirazioni. Mi dà l’idea di una sbuffante Cinquecento in cui il finestrino si tiene su col cacciavite e la capote è piena di strappi suturati con lo scotch. Io ci sono cresciuto, là dentro, e non posso sopportare che, a mezz’ora dall’inizio della partita, l’ascensore che collega la tribuna stampa con il gabbiotto degli accrediti si blocchi e non dia più segni di vita. E’ successo ieri sera: mi ero dimenticato di ritirare la busta con la password per accedere alla linea wireless. Ho cercato di tornare giù per recuperarla:  niente da fare. Due hostess che erano con me l’hanno presa a ridere. Io mi sono incazzato come una iena. Ho rinunciato al wireless.

Contro il Milan, sono salito con Sandro Piccinini, volto e voce di Mediaset. Abbiamo premuto il tasto 2 per arrivare alle nostre postazioni ma lui, il cigolante bisonte d’acciaio, niente: non ne ha voluto sapere di mettersi in moto. E’ rimasto inchiodato al piano terra. Senza perdersi d’animo, Piccinini ha abbrancato le porte e le ha chiuse manualmente. Il bisonte ansimante, con uno sbuffo, traballando, è partito, per inchiodarsi al primo piano. Di fronte, un muro. E’ stata necessaria una nuova spintarella manuale di Piccinini per rimetterlo in moto. Mi sono vergognato come un ladro. Io ci sono cresciuto, nel San Paolo.

C’ho messo piede la prima volta nel 1971, e mi sembrava il paese delle meraviglie. L’ho frequentato in tutti i suoi settori: prima la A, poi la B. Quindi i Distinti, la Nisida, la Posillipo. Da anni, quasi sempre per lavoro come ieri sera, vedo (talvolta intuisco: visibilità pessima) le partite dalla tribuna stampa. Gli stadi so’ piezz’e core, lo so, e il San Paolo lo è di più. Ma ha fatto il suo tempo. De Magistris e De Laurentiis, ‘o sinnaco e ‘o mast, passino presto dalle parole ai fatti. O m’immalinconirò sempre di più.
Massimiliano Amato

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