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Finalmente vendicato
quel rigore di Pivatelli

I quattro gol al Bologna mi hanno esaltato oltre misura, davanti alla tv collegata col San Paolo. E’ stata una partita ben giocata da un Napoli che ha saputo sfruttare a dovere ogni possibilità. Ci sono ora in dispensa tre punti importanti. Si son viste bravure d’autore sotto la porta felsinea. Giusta soddisfazione, dunque. Eppure ho avvertito una vibrazione più incisiva, un’eco interiore più forte, una sorta di gioia compensativa inesplicabile, almeno sul momento. Un fatto personale, certo, al di là dei novanta minuti con la vittoria. Ma quale fatto? Nulla di specifico contro il Bologna, squadra di una città cordiale e accogliente. Avversaria, sì, ma non di quelle che richiamano fulmini e saette dai neuroni partenopei. Allora, perché quel sentimento di giustizia finalmente raggiunta, di chiusura di antichi conti in sospeso? Pian piano, il subconscio ha elaborato il suo perché. E qualche ora dopo, lentamente, sono riemersi i frammenti di visioni lontane. Era il novembre del ’55. Ragazzo in curva, al Vomero, seguivo un Napoli-Bologna che vedeva in campo Jeppson e Vinicio, Pivatelli e Cappello. Un Napoli deciso e concreto, quel giorno. 3 a 0 e la partita sembrava chiusa. Sembrava. Perché i rossoblu arrivarono al 3 a 2, infilando il portiere azzurro di riserva, Fontanesi. Ma gli orologi dicevano ormai che si era al novantesimo. “Arbitro, tempo!” Macché. Il signor Maurelli di Roma non fischiava. Tempo scaduto! E finalmente un fischio. Uno solo. Rigore per il Bologna. Tiro di Pivatelli, rete. Tre a tre. E scoppiò l’inferno. Invasione di campo, quasi 150 feriti, lacrimogeni, guerriglia. L’erba dello stadio come  calpestìo di scontri tanto emotivamente comprensibili quanto razionalmente deprecabili. E il senso di un’ingiustizia sportiva si insinuò senza ostacoli. Ne era stato beneficiario il Bologna. Per anni, quel magone ha stazionato dentro. Altri incontri col Bologna, nel tempo, altre sfide, vittoriose o perdenti. Ma solo domenica sera, forse complice la copiosa pioggia che cadeva con fare liberatorio, quel senso di oppressione, nascosto per tanti anni, è andato via. Ora quella del ’55 e questa del 2003 son due partite legate tra loro nell’immaginario destino del calcio che, in quest’ottica, sembra materia da Sibilla cumana: ibis, redibis… Andrai, tornerai. Tutto si tiene, anche nel mondo del pallone. E soprattutto nella testa di quanti vivono questa passione senza tempo. Mimmo Liguoro

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